Ikoyi, l'intervista a Jeremy Chan e Iré Hassan-Odukale
Una cucina audace, senza compromessi, di spezie e sapori intensi. Come la direzione di Ikoyi, il ristorante londinese di Jeremy Chan e Iré Hassan-Odukale, che Phaidon ha deciso di raccontare nel suo ultimo libro a tema food...
Sono passati sei anni da quando Iré Hassan-Oducale e Jeremy Chan hanno aperto Ikoyi a Londra, il ristorante che prende il nome dal quartiere di Lagos, Nigeria, dove è nato Iré, e dove Jeremy – inglese con origini cinesi e canadesi, un'infanzia passata ad Hong Kong – ha portato una cucina dai sapori speziati, audaci, forti, che gli ha fatto ottenere due stelle Michelin e scalare velocemente le posizioni di The World’s 50 Best Restaurants. Una storia che lo chef (conosciuto e amato dal pubblico italiano di Masterchef) racconta nel libro appena uscito con Phaidon, “Ikoyi - A Journey Through Bolt Heatwith Recipes”, e che non inizia nel più consueto dei modi. Laureato in filosofia abbandona un lavoro d’ufficio per provarsi in cucine importanti, una su tutte quella di René Redzepi al Noma. Fino a che l’amico d’infanzia Iré gli propone di dar vita a un loro progetto, che oggi ha anche una nuovissima sede.
L'OFFICIEL HOMMES ITALIA: Mi raccontate il momento in cui avete deciso di aprire Ikoyi? Quale era la vision e le aspettative?
IRÉ HASSAN-ODUKALE: Volevo fare il meglio possibile, non avevo delle aspettative, anche se è stato diverso da come mi aspettavo.
JEREMY CHAN: Non ricordo quasi, ero una persona differente, più ottimista ed entusiasta rispetto al futuro. All’inizio era pura voglia di fare, volevo mettere tutta l’energia che avevo,per migliorare e migliorare ancora, ma negli anni mi sono fatto anche tante domande. Sei anni non sono molti ma sono un tempo lungo, per la tua testa e per il corpo, quando passi così tante ore in cucina. Ora il mio approccio è differente, ho meno entusiasmo, sono più serio, sento forte la dedizione, la responsabilità, l’impegno.
LOHI: Come è cambiata la cucina?
JC: Nulla è cambiato, pur cambiando impercettibilmente ogni giorno. Abbiamo iniziato con poca conoscenza della cucina ma una passione per i sapori e gli ingredienti; mano a mano abbiamo imparato le tecniche, le cotture, a trovare il cibo da piccoli produttori britannici, a rispettare la micro stagionalità degli ingredienti, tutte cose che ci hanno dato più abilità, ma l'idea di base - una cucina a base di spezie, con particolare attenzione all’Africa Occidentale Sub-Sahariana - non è cambiata. Il menù oggi rispecchia la mia età e la mia esperienza fino a ora, ne è il riflesso; un'esperienza fatta di assaggi, di cucina, di viaggi, cose viste che mi hanno ispirato. Ed evolve - anche se penso che non sia così evidente, se non per me e il team -, perché facciamo qualcosa che è l’ombra del passato e si combina con altre ombre, perché ogni giorno impariamo miglioriamo.
LOHI: Iré, per te è cambiato il concetto di ospitalità?
IH: Ci muoviamo sempre nella stessa direzione, cercando di dare la migliore esperienza possibile agli ospiti, trasmettendo il messaggio che arriva dalla cucina.
JC: E non diciamo mai “è abbastanza”. A volte proviamo, non funziona, torniamo indietro, cerchiamo sempre di sperimentare.
LOHI: La tua cucina è conosciuta come “bold”, audace, perché?
JC: Perché è saporita, intensa, forte. E perché rischiamo,facciamo cose che gli altri non fanno, usiamo quantità di ingredienti che gli altri non usano, li abbiniamo in modo in cui gli altri non li abbinano. È audace perché non seguiamo una strada conosciuta ma abbiamo cura di ogni singolo dettaglio,facendo diventare ogni piatto unico.
LOHI: Quanto è importante l’estetica del piatto?
JC: A livello di esperienza, è essenziale quello che vedi. Nel cibo e anche nell’ambiente, per far sentire qualcuno a suo agio la palette di colori è fondamentale. Ma non vogliamo essere pretenziosi, non vogliamo essere il classico ristorante fine dining o quello gastronomico, vogliamo essere seducenti, deliziare, entusiasmare.
LOHI: Quindi che tipo di ristoranti siete?
JC: Siamo, certo, un ristorante costoso, ma non pretenzioso formale, e non vogliamo essere nemmeno cool o trendy. Ikoyi è un luogo rilassante, calmo, naturale, organico.
IH: Per il nuovo ristorante nello Strand abbiamo usato materiali quali il metallo, il sasso, il legno di quercia e la ceramica. Abbiamo aperto lo scorso dicembre ed è stato un lavoro enorme. Fare un trasloco di casa è duro, ma un ristorante...lo staff doveva entrare e il ristorante non era ancora finito... “insane” ma il risultato ci piace.
LOHI: Sostenibilità, cucina etica, zero-sprechi…
JC: Onestamente non seguo quello che succede e quello che fanno gli altri. Penso che sia nostra responsabilità fare un cibo speciale e usare completamente gli ingredienti che abbiamo. Ma il messaggio deve essere chiaro nel cibo che mangi, deve arrivare il sapore, e non deve aver bisogno di spiegazioni. Usiamo piccoli produttori, ma non vogliamo farne un marketing.
LOHI: Iré, in menù avete un tea pairing, è una nuova tendenza?
IH: Da tempo abbiamo un tea sommelier, che aiuta gli ospiti negli abbinamenti con il cibo e propone un tea pairing per il menù degustazione, una soluzione che non è amata solo da chi non vuole bere alcool.
LOHI: Qual è la vostra madeleine, il comfort food?
IH:Il “Jello fraise”che abbiamo in menù.
JC: Sono cresciuto ad Hong Kong, il mio sapore d’infanzia sono i noodles con olio di sesamo, cipolla primaverile e ginger.