Da Dior, la moda è impegno
Maria Grazia Chiuri ha un grande merito: è una delle figure che più hanno influito nel cambio di prospettiva della moda attuale. Sin dal suo arrivo chez Dior ha messo in chiaro che lei, sì, era lì per fare sognare le clienti (e di conseguenza fare vendere i pezzi in boutique) ma sentiva anche l’urgenza di intavolare un dibattito sul femminile attraverso i suoi look. L’operazione le è riuscita su tutti i fronti e sebbene un certo snobismo francese la guardi ancora con sospetto, la svolta da lei impressa come direttrice creativa probabilmente resterá negli annali della griffe. Ora che ha pienamente assunto il ruolo di leader di un fashion business bello e impegnato probabilmente sente la responsabilità di fornire sempre spunti di riflessione, o almeno così viene da pensare nel ritrovarsi di fronte al computer con le immagini del contributo video pre-sfilata. La regista Alina Marazzi ha avuto libero accesso agli archivi di un’altra artista, Lucia Marcucci, che a partire dagli anni ‘60 aveva iniziato un percorso di sperimentazione in cui si fondevano l’arte visiva, i suoni e il linguaggio, l’identificazione di parole chiave, dai significati chiave per la società del tempo. Il risultato è un docu-film denso di stimoli e informazioni. Tanto che quando inizia lo show vero e proprio la mente è mezza distolta da quello che dovrebbe essere dal motivo principe del collegamento, le proposte per la Primavera-Estate 2021. In passerella c’è un vago sentore retrò, quasi che un collettivo di grandi donne del passato si fosse materializzato e subito avesse mescolato il proprio stile a suggestioni contemporanee. Gli abiti sono quasi sempre lunghi, fluidi, spesso trasparenti, mises perfette per la sera e vissute invece con piglio diurno, combattivo, metropolitano. Un esercito di dress da riscaldare con giacche dai richiami etnici nei tessuti o spolverini dai volumi morbidi. Questa l’idea di base, sviluppata in plurime varianti, magari con un top a fascia quando l’ensemble evolve in lunga gonna o morbidi pantaloni. O con la rilettura della Bar Jacket, ammorbidita da un sistema di lacci che ne rendono modulabile la silhouette. Il tutto mentre la compositrice Lucia Ronchetti guida un coro di voci femminili in una scenografia che, in distanza ricorda le vetrate di una cattedrale, salvo poi rivelare i collage proprio di Marcucci. Una performance più che una sfilata: molto cibo per la mente, da digerire con calma.