Mangiare bene per essere felici
Nel trattato “Fisiologia del gusto”, Jean Anthelme Brillat-Savarin scriveva che “nel nutrirci proviamo un benessere indefinibile, proveniente dall’istintiva certezza che, col fatto stesso di mangiare, compensiamo le perdite subite e prolunghiamo la nostra esistenza”. Il trattato risale all’inizio dell’800 e Savarin era un magistrato consigliere della corte di cassazione che durante il Terrore post Rivoluzione francese se l’era svignata in Svizzera. Lì, al sicuro dalla ghigliottina mangiava un sacco e conduceva una di quelle vite in cui parlare di quello che fai è più importante che farlo. Dal chiacchierare allo scrivere il passo è breve. Così, “Fisiologia del gusto” è diventato il riferimento teorico della cultura culinaria che ha influenzato per sempre il modo di scrivere di cucina. Non a caso quando nel film “La grande abbuffata” di Ferreri, Tognazzi, Mastroianni, Noiret e Piccoli decidono di mangiare fino a morire, lo citano con grande rispetto. Il nichilismo della borghesia annoiata è stato sostituito dal desiderio di vivere in eterno, di conseguenza anche il rapporto con il cibo è mutato. Non si mangia più solo per godere il più possibile, si mangia per stare meglio. I primi passi in questa direzione sono stati fatti nel 900, quando aumentava la libertà, prima per le classi agiate e poi per tutti di scegliere di cosa cibarsi. William Hay con la dieta dissociata, il metodo Atkins, la più recente Dukan. Tutti regimi controversi perché deviano da quella che è l’opinione scientifica ufficiale, cioè che la virtù nel mangiare sia un misto di moderazione e variabilità nei cibi. Oggi la filosofia del benessere è al massimo storico e il cibo non è più considerato solo il catalizzatore di un corpo sano e performante. Il discorso ha preso una piega più metafisica e si è spostato sull’emotività. Le neuroscienze hanno reso ridicolo e obsoleto il dualismo cartesiano mente-corpo individuando connessioni abbastanza precise tra le due entità. Ci aiutano quindi a individuare cosa fa bene alle emozioni anche in ambito gastronomico. La regina scientifica di questa teoria è Felice Jacka, professoressa di psichiatria nutrizionale epidemiologica all’Università di Deakin, in Australia, direttrice del centro Food And Mood e presidente dell’International Society for Nutritional Psychiatry Research (ISNPR). La sua carriera accademica è germogliata da un’esperienza personale come racconta lei stessa. «Da giovane soffrivo di ansia e depressione. Prima di superare i trent’anni però sono guarita intervenendo su tre fronti: il sonno, l’esercizio fisico e la dieta». Jacka studia gli effetti del cibo sul corpo e sulle emozioni; dopo oltre 150 pubblicazioni su riviste scientifiche anche molto importanti, l’ostruzionismo della comunità degli psichiatri cessa e le sue intuizioni vengono riconosciute per quello che sono: giuste. «Non esiste però la ricetta magica per guarire ogni turbamento della psiche», dice, «i miei sono studi empirici. Per quanto rigorosi non rispondono alle esigenze individuali, ma funzionano su una certa percentuale di persone». Le scoperte più interessanti provengono dalla sua tesi di dottorato, per realizzarla ha esaminato oltre 1000 individui. «Eliminare la carne rossa dalla dieta riduce la salute mentale, soprattutto nelle donne», scrive la scienziata. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che la carne rossa, mangiata in quantità elevate è cancerogena. Jacka al pericolo di malattie fisiche aggiunge quello di malattie mentali, «mangiare molta carne rossa aumenta il rischio di ansia e depressione. Ma 65-100 grammi a settimana riducono della metà il rischio di ammalarsi di questi disturbi». Sarebbero gli acidi grassi come l’omega-3 della carne a fare bene alla mente. Si tratta però di uno studio fatto su pazienti australiani che si nutrono di prodotti provenienti da allevamenti australiani; la dieta del bestiame in europa potrebbe essere diversa e portare a risultati differenti. Decisamente più normale è l’elogio del pesce, contenuto nello stesso studio. «Tre volte a settimana può essere molto utile per i pazienti affetti da depressione perché contiene omega-3 e acidi grassi polinsaturi, che migliorano la vita delle nostre cellule». Parlando di emozioni, l’effetto più evidente consiste nella riduzione della sintomatologia ansiosa. Felice Jacka non è neppure una fan della dieta vegetariana, perché «aumenterebbe il rischio di sviluppare disturbi mentali, soprattutto negli uomini. Togliere la carne senza rimpiazzare vitamina B, ferro, zinco e proteine, può portare a depressione o altre malattie». Stando ai suoi studi non si dovrebbe esagerare, né privarsi di nulla.