Miriam Schapiro l'artista "Shape Shifter"
Negli Stati Uniti i diritti alla riproduzione sono sotto attacco e i corpi delle donne diventano ancora una volta un campo di battaglia. Ecco perché l’opera d’avanguardia dell’artista femminista Miriam Schapiro ridiventa con urgenza rilevante.
Sul finire degli anni ’60 il movimento di liberazione delle donne guadagnava popolarità attraverso gli Stati Uniti, dando vita alla fine del decennio al movimento per la salute delle donne. All’epoca, quando le attiviste sollecitavano le donne a prendere il controllo della loro salute riproduttiva - spesso iniziando con specchi portabili, pile tascabili e speculum - l’arte delle donne di quel periodo si concentrava similmente sul sistema riproduttivo femminile. Molte artiste che avrebbero poi definito il movimento della women’s art negli anni ’70 stavano già sperimentando negli anni ’60 l’iconografia vaginale. Dai cofani delle macchine dipinti con le vulve di Judy Chicago insieme alle sue ceramiche anatomiche alle labbra in porcellana, terracotta e le sculture in ceramica smaltata di Hannah Wilke fino ai dipinti yoni, le sculture e i lavori Xerox di Barbara T. Smith. Allo stesso modo, Miriam Schapiro aveva approcciato questo simbolismo radicale attraverso un’altrettanto radicale tecnologia, utilizzando i primi computer per creare una serie di dipinti tra il 1967 e il 1971.
«Per una volta nella storia dell’arte, non era il pene a essere elogiato, e nemmeno l’onnipresente simbolo fallico, era l’inno di una donna al suo corpo. Finalmente si poteva acclamare quella componente dell’anatomia femminile». Miriam Schapiro è ampiamente riconosciuta come la leader del movimento della women’s art. Prima di abbracciare le idee femministe, si era formata all’Università dell’Iowa dove aveva incontrato suo marito, il pittore Paul Brach. Si era trasferita a New York nel 1952 e aveva fatto parte della promettente scena artistica dei quartieri downtown, dove si era affermata come pittrice di tutto rispetto, nonostante le barriere poste alla partecipazione femminile all’arte. Integrando temi legati alla femminilità nelle sue astrazioni sensuali, Schapiro esponeva regolarmente in spazi importanti, inclusa la Tanager Gallery, il Museo di Arte Moderna e la André Emmerich Gallery, dove nel 1958 era stata la prima donna a ottenere una personale. Schapiro era pienamante consapevole che, malgrado il suo relativo successo, era sempre vista come la moglie di un artista e “donna artista”, una situazione che ha cambiato il corso della sua carriera quando si è trasferita in California nel 1967 perché Brach potesse presiedere l’appena formata facoltà d’arte presso l’Università di California San Diego.
Miriam Schapiro è ampiamente riconosciuta come la leader del movimento della women's art. Prima di abbracciare le idee femministe si era formata all'Università dell'Iowa.
Sebbene non le fosse stato inizialmente offerto un lavoro, Brach aveva convinto l’università a prendere Schapiro come docente. In un dipartimento dominato da maschi, Schapiro non aveva colleghe con cui condividere il crescente interesse per il movimento delle donne. Come risultato, Schapiro si era ritirata nel suo studio, finché non aveva scoperto dei collaboratori di tutt’altro tipo: la comunità scientifica. Dentro e fuori dal campus della UC San Diego, si era confrontata con ingegneri in prima linea della computeristica nella fisica applicata, nell’energia atomica e nell’arte, il tutto mentre il movimento delle donne guadagnava popolarità e le femministe esaltavano le possibilità delle tecnologie liberatorie. A cominciare dal 1967, l’artista ha utilizzato computer equipaggiati con un software fatto apposta per sviluppare un gruppo di astrazioni dipinte con uno spettro di rosa tramonto, gialli del deserto e oceani metallici. Aveva molti collaboratori, incluso Jef Raskin, a cui viene ampiamente attribuito il ruolo del visionario dietro le quinte del Macintosh di Apple; Jack Mance, uno studente d’arte; e David Nalibof, un fisico che lavorava alla General Atomic a La Jolla.
Mentre quegli uomini forse non avevano compreso appieno le idee alla base dell’opera di Schapiro - e l’artista aveva scelto di non discutere con loro il vero senso del suo lavoro - lei è rimasta fedele al suo simbolismo femminile. Sebbene il suo metodo sia cambiato nel tempo, Schapiro è sempre partita da una semplice forma tracciata a mano relativa all’iconografia vaginale. Lo schizzo veniva poi tradotto in numeri che rappresentavano dei punti su di una griglia che un computer programmato ad hoc faceva ruotare nello spazio, stampando 50 vedute dello schizzo originale dell’artista. Queste nuove immagini rappresentavano delle versioni radicalmente alterate della forma origi- nale che spesso diventava irriconoscibile per via dell’estrema scorciatura o della drastica rotazione. In certi casi, Schapiro manipolava i disegni - capovolgendoli, duplicandoli e combinandoli tra loro per creare delle nuove configurazioni ancora più complesse. Una volta che aveva selezionato la sua forma, Schapiro pianificava la composizione e poi usava un proiettore opaco per ingrandire l’immagine su tela, tracciare la forma a matita, fissarne col nastro adesivo i contorni e verniciare a spruzzo. Infine, rimuoveva lo scotch. Pur seguendo questa formula basica, l’opera di Schapiro presenta una varietà pressoché infinita di tecniche e di scelte cromatiche. In “Grande Bue”, Schapiro notava che: «I rosa pallido descrivono il sensuale passaggio attraverso cui emerge la vita, mentre l’arancione brillante descrive l’orgoglio e l’assertività del corpo femminile».
In un pezzo come “Buco della serratura” Miriam Schapiro rende la sua forma, un gioco sul troppo del nudo reclinato, in una soprendente tridimensionalità. La sottile gradazione della forma crea l’illusione di un oggetto nello spazio, mentre lo sfondo bianco e blu diventa un cielo. “Giardino occidentale”, d’altro canto, diventa una meditazione proprio mentre viene realizzato: i sottili strati di vernice a spruzzo verde, gialla e oro rendono visibili le quiete linee a matita dell’artista, dando l’impressione che l’immagine prenda corpo proprio nel momento in cui l’osserviamo. Schapiro condivide la flessibilità delle sue immagini con l’osservatore. In molti dei suoi lavori, soprattutto in quelli su cui si concentra sui contorni senza riempire le forme, presenta delle illusioni ottiche che sono aperte a un gioco perpetuo e a interpretazioni mutevoli. Nelle “Serie Mylar” l’osservatore deve negoziare se lei stia entrando in uno spazio impossibile o se, invece, si stia confrontando con una cosa, forse addirittura un corpo. Un disegno con nastro adesivo con mylar riflettente come sfondo è un lavoro che implica un pubblico: vedere l’opera da una certa prossimità, senza entrare a far parte della composizione è impossibile. In effetti, il disegno forza gli osservatori a confrontarsi con la loro partecipazione all’opera. Nel contesto del femminismo, questa partecipazione imita quella delle donne che reclamano le proprie menti, i corpi e, sostanzialmente, la loro posizione sociale al di fuori del patriarcato. Grazie al movimento per la salute delle donne, le donne sono diventate attrici della loro stessa anatomia, arrivando a conoscerre i propri corpi e a determinare il proprio destino. Non solo hanno preso possesso della propria salute sessuale e riproduttiva, ma hanno ampliato la partecipazione femminile alla cura ginecologica.
Gruppi come The Janes, la rete di aborti clandestini che praticava migliaia di aborti sicuri e gratuiti alle donne tra la fine degli anni ‘60 e gli inizi dei ‘70 (prima della sentenza Roe v. Wade), supportava un sistema sanitario “di donne, per donne”, sollecitando la partecipazione della società civile. Il lavoro a computer di Schapiro portava avanti il determinismo anti-biologico all’interno del movimento. Mentre Miriam Schapiro creava quei dipinti, Shulamith Firestone pubblicava la sua fondamentale “La dialettica dei sessi” (1970), che invita le donne a esercitare controllo sul proprio funzionamento riproduttivo. È celebre la richiesta di Firestone di: «Liberare le donne dalla tirannia della riproduzione con ogni mezzo possibile». Secondo l’autrice, la tecnologia, incluso l’intero spettro di tecnologie riproduttive come il controllo delle nascite, l’aborto e la fecondazione in vitro è necessaria per un significativo cambiamento sociale. Mentre il testo di Firestone devia verso un tecno-ottimismo e partendo dal presupposto che il cambiamento della biologia possa curare le malattie sociali, i lavori di Schapiro invitano ad abbracciare le tecnologie in un modo più ricco e aperto. Nel corso degli anni ‘70 Schapiro diventa famosa per le varie collaborazioni femministe. Nel 1971 crea il Feminist Art Program con Judy Chicago presso il CalArts. Avevano collaborato con gli studenti per dare vita a Womanhouse, una installazione incentrata sul lavoro domestico e sulla svalutazione del lavoro femminile. Negli anni successivi, Schapiro aveva sviluppato la sua pratica del collage femminista (definito “femmage” in un articolo co-firmato da Schapiro e Melissa Meyer), in cui integrava dell’artigianato tessile prodotto da altre donne. Nei suoi primi lavori a computer, Schapiro offre anche un altro modello di collaborazione femminista. Lavora con le tecnologlie per produrre una visione utopica di ciò che succederebbe se le donne avessero controllo completo del proprio corpo, mentre invita lo spettatore a unirsi a lei nel determinarne il significato.