L'Officiel Art

Exploring the Hydra: la conversazione tra Hans Ulrich Obrist e Daniel Birnbaum

I curatori Hans Ulrich Obrist e Daniel Birnbaum collaborano con vari artisti attraverso nuovi ed entusiasmanti media digitali.

Ritratto di Hans Ulrich Obrist di Thomas Bayrle.
Ritratto di Hans Ulrich Obrist di Thomas Bayrle.

Amici fin dagli anni ‘90, Hans Ulrich Obrist e Daniel Birnbaum si sono occupati di teoria della critica e della curatela attraverso una miriade di medium, dalle gallerie-appartamento alla Biennale di Venezia. Nel 2022, come co-direttore della Serpentine Gallery l’uno e direttore di Acute Art (una società di produzione per l’arte AR (realtà aumentata)/VR(realtà virtuale) l’altro; Obrist e Birnbaum sono in prima linea sul fronte della tecnologia e della new wave di espressioni artistiche.

DANIEL BIRNBAUM: La tendenza dominante nell’arte, nella teoria e nella filosofia quando si parla di nuove tecnologie è sempre stata di critica. Pensiamo al profondo scetticismo della Frankfurt School per quanto riguarda gli sviluppi tecnologici, oppure all’idea apocalittica di Martin Heidegger per cui la tecnologia segna la fine delle metafisiche. Ci sono eccezioni problematiche come il tecno-ottimismo del Futurismo italiano e del costruttivismo russo. Eppure, se guardiamo al XX secolo, troviamo momenti di grande affermazione tecnologica. Una o due volte per ogni secolo, arriva qualcosa di nuovo che disturba o che cambia il gioco. Quando si parla di AR e VR, non sappiamo come si relazioneranno con le strutture tradizionali, con il mondo e il mercato dell’arte, e per me, questo è un momento eccitante. Presumo che ci sarà una normalizzazione e commercializzazione di AR/VR, che è meno interessante dal punto di vista della sperimentazione. Ma la natura profetica dell’arte, non l’atteggiamento scioccamente religioso, è che di norma vedi il futuro attraverso la scelta del mezzo. Gli artisti stanno cercando di superare i limiti e stanno già quasi facendo cose che possono solo essere fatte nelle prossime forme d’arte. Gli artisti non stanno solo rimpiangendo tecnologie e memorie obsolete. Vogliono anticipare e affermare dei territori non ancora definiti che loro stanno esplorando.

HANS URLICH OBRIST: Per emergere, una nuova tecnologia ha bisogno di un po’ di tempo, ma si tratta di liberare e impiegare il potenziale poetico e interculturale di queste tecnologie, al di là della loro intenzione originale. Gli esperimenti tecnologici di Billy Klüver sono stati di grande ispirazione perché ci sono artisti che lavorano insieme a tecnologi. Nei Bell Labs di Klüver hanno scoperto come sperimentare delle novità nel campo dell’arte e della tecnologia, creando alleanze e collaborazioni. Siamo pronti per questi esperimenti.

L’OFFICIEL ART: Qual è stato il catalizzatore per creare mostre attraverso un mezzo che sembra più accessibile a persone che non hanno necessariamente una preparazione in storia dell’arte? Attualmente troviamo AR/VR nei nostri smartphone e social media. Sembra adattabile perché è già entrata nella nostra quotidianità?

HUO: Questi mezzi possono raggiungere persone al di fuori degli spazi e format tradizionali delle istituzioni. C’è una specie di potenziale democratico lì. Non tutti vivono in città dove ci sono grandi musei. Possiamo trovare il modo di andare oltre agli spazi espositivi. In più, queste opere sono organismi viventi che continuano a cambiare, a evolvere. Perciò potremmo immaginarci una simulazione live di un artista in una stazione ferroviaria e ogni giorno si vedrebbe l’evoluzione successiva. Credo ci sia un grande potenziale in questo senso per l’arte pubblica. Penso sia anche importante che sia gratuita, il che sarebbe congruo alla visione di Tim Berners-Lee per cui il World Wide Web è per tutti. Tuttavia, continuo a credere che ci sia ancora bisogno di spazi espositivi. In una mostra c’è la possibilità di esperienze multi-sensoriali che non puoi avere a casa sul tuo computer o sul telefono. Un esempio è la nostra recente mostra di Dominique Gonzalez-Foerster alla Serpentine. C’è un’attrazione per il panorama dei vecchi medium; c’è un Holorama e poi la VR espande le possibilità. Lo show è una Realtà Mixata! Non credo sia qualcosa che puoi sperimentare dal tuo salotto.

DB: Abbiamo presentato della VR all’interno dei musei, ma queste tecnologie creano dei modi completamente nuovi di distribuzione dell’arte, dove ti connetti alle audience locali che non sono solo pubblico, ma anche parte della produzione.

Ritratto di Daniel Birnbaum di Thomas Bayrle.

LOA: A questo proposito, l’immagine è diventata onnipresente, con più pittori, meno partecipazione, più location finite in gallerie e meno performance. Pensate che AR/VR siano la soluzione? La posizione geospaziale è un nuovo aspetto che gli artisti dovranno considerare? Che ne sarà della partecipazione?

DB: La VR può intrecciare componenti nel mondo reale e il dialogo e le possibilità di giustapposizione e specificità di un sito sono affascinanti. Nina Chanel Abney è un’artista molto impegnata politicamente, perciò quando abbiamo lanciato il suo “Imaginary Friend” come parte della marcia anti-razzista a Washington, è stato molto diverso rispetto a quando aleggiava su Hyde Park. È un po’ come con i graffiti. Capisco perché Kaws sia interessato alla AR, perché lo riporta indietro alla street art e alle attività più o meno illegali per le strade di New York. Le mostre di Acute Art si sono svolte in ogni continente, dall’America Latina agli USA, all’Asia, all’Europa. È un nuova specie di biennale elettronica che raggiunge tipologie di pubblico differenti. 

HUO: Se si parla di partecipazione, penso a come le istituzioni possano fornire una infrastruttura partecipativa per la tecnologia e i videogames. Il nostro progetto con Kaws ha avuto circa 150 milioni di persone in contatto con lo show. Per rispondere alla domanda, dobbiamo guardare ai videogames. Nel 2022, 2.8 miliardi di persone (un terzo della popolazione mondiale) giocherà con i videogames, e la partecipazione ha un ruolo importante, come C. Thi Nguyen dimostra nel suo libro “Games: Agency as Art”. Molti visual artist hanno modificato e sovvertito i videogames esistenti. Alcuni artisti entrano nei giochi mainstream, aprono a un nuovo tipo di pubblico e di engagement, come ha fatto Kaws con il suo progetto per Fortnite, Acute e The Serpentine. Man mano che le macchine per giocare diventano più accessibili, vediamo sempre più artisti inventare i loro giochi per creare dei mondi virtuali di partecipazione e inclusione. Un grande esempio è Danielle Brathwaite-Shirley. È una incredibile e prolifica artista, archivista e game designer il cui lavoro si focalizza sui trans neri. Impiega tecnologie come il videogame design, CGI, l’animazione e i suoni per archiviare le esperienze dei Black Trans, creando giochi e spazi con e per la comunità dei Black Trans. Poichè disegna e costruisce mondi fisici e virtuali, l’interattività ha un ruolo dominante in ogni aspetto della produzione e presentazione. Chi guarda è anche implicato nel come ogni opera progredisce ed è percepita. Immaginiamo giochi digitali non prodotti per la sensibilità di un pubblico, ma uno in cui i giochi sono un benefit dei nostri piaceri soggettivi. Questa è l’idea su cui lei esprime maggiore diversità, accessibilità, realtà e inclusività, che è cruciale.

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“Graft and Ash for a Three Monitor Workstation (Still),” 2016, di Sondra Perry, courtesy dell'artista.

LOA:  Abbiamo sostanzialmente gamificato le nostre estensioni digitali che ora hanno permeato le nostre relazioni interpersonali. La nostra comprensione del relazionarsi alle persone ci aiuta ad affermare qual è lo scopo dell’arte, mentre cambiano i nostri processi di visione?

DB: Non c’è dubbio che stia accadendo. Potrebbero fare un po’ paura tutti i meccanismi di controllo e le aspettative che il mondo delle macchine introduce e per cui ci lasciamo dominare acriticamente nel nostro quotidiano. C’è da sperare che l’arte in questi spazi lavori in senso opposto piuttosto che creare frizioni, che si espanda a livello di possibilità, anziché semplicemente acconsentire. Probabilmente l’AR interattiva più efficace è quella in cui siamo stati coinvolti con Olafur Eliasson. Potresti piazzarti il suo sole e nuvola a casa, sopra al tuo cane o vicino al tuo fidanzato. Era un modo di interagire con la pandemia e, per un artista ecologico come Olafur, una maniera per esaminare come abitiamo il pianeta e ci relazioniamo con il mondo naturale. Quando abbiamo lavorato con Tomás Saraceno, ci ha ricordato che il mondo virtuale non è in una qualche sfera differente, non aleggia da qualche parte in paradiso; è reso possibile dall’elettricità e connesso attraverso delle schiere di server. Abbiamo creato una mostra con un grande ragno e uno più piccolo attorno alla Serpentine Gallery che doveva essere scoperto dal visitatore. Saraceno sta cercando di scrivere la fenomenologia del mondo tecnologico e del nostro mondo contemporaneo per sviluppare idee sulla biodiversità e la diversità tecnologica. I suoi grandi ragni virtuali che abbiamo piazzato in tutto il mondo fanno parte del progetto; è un gioco partecipativo che può sembrare superficiale come i social media, ma in realtà ci aiuta a comprendere i ragni veri e i loro movimenti.

LOA:  C’è un aspetto ambientale dell’AR/VR di cui non abbiamo parlato nel dettaglio.

DB: La tecnologia non è innocente; sappiamo che consuma energia ed elettricità, ma è tutto relativo se lo paragoniamo alle spedizioni d’arte che attraversano il mondo come finora siamo stati abituati. Il modello della fiera d’arte che abbiamo applicato per 25 anni e più non esisterà per sempre. Ci sono altre possibilità e la AR e VR faranno parte di nuove formazioni e nuove possibilità istituzionali. Dai primi anni ’90, c’era questo meraviglioso scenario da sogno in cui le biciclette in cima a qualche montagna scatenano concerti a Mosca, Londra e New York con piccoli computer in tasca che avevano pre-programmato robot in tutto il mondo. Oggi la cosa non è più futuristica. Abbiamo questi piccoli computer nelle nostre tasche e partecipiamo a eventi culturali distribuiti a livello globale. Non c’è bisogno di robot pre-programmati, l’AR è molto più facile. Lo stesso show potrebbe accadere in diverse città nello stesso momento. Questa non è la risposta a tutti i nostri temi, ma un’occhiata sulle nuove formazioni, comparate allo spedire opere e far volare le persone dall’altra parte del mondo. È certamente ancora presto, ma sta già accadendo.

HUO: È al centro di ciò che facciamo alla Serpentine. Attiviamo campagne ambientali con artisti che analizzano come la tecnologia possa essere usata per comprendere la coordinazione. Proviamo a immaginare milioni di persone che partecipano a giochi in cui si innalza la consapevolezza ambientale. Potremmo usare i giochi in questo modo, elaborare idee differenti su come queste tecnologie possanno essere usate al servizio della società. Ecco perchè dobbiamo ascoltare gli artisti e porli al centro di questo dibattito. Ogni azienda, ogni ente dovrebbe avere un artista in residenza o un artista a bordo. È il momento di farlo, dobbiamo ascoltare gli artisti che ci consentono di immergerci in una moltitudine di realtà alternative del passato, del presente e del futuro. Queste tecnologie possono essere usate per cambiare completamente la nostra consapevolezza in materia di ambiente. Philip K. Dick una volta ha detto: “La realtà è ciò che, quando smetti di crederci, non sparisce”».

KAWS: New Fiction, vista dell'installazione, Serpentine North, Londra, 2022; foto di Jonty Wilde, courtesy dell'artista.

LOA: Cosa fareste con la tecnologia?

DB: Hans ed io abbiamo una grande biennale globale irrealizzata, chiamata The Hydra. Hydra, nella mitologia greca, è una creatura con molte teste e quando un eroe cercava di combatterla le tagliava una testa, solo che c’erano altre teste a rimpiazzarla. Implementare tutte queste possibilità significherebbe dare vita a una Hydra elettronica, con teste in tutto il mondo che dovrebbero essere connesse. Si potrebbe essere in otto posti simultaneamente, ma con molti artisti. Questo è il nostro progetto non concretizzato, ma quando le persone leggeranno la nostra intervista, sono sicuro che ci inviteranno e ci daranno una chance.

HUO: Abbiamo le piantine per i vari piani. Abbiamo anche già il logo.

DB: Hans ha fatto dei disegni elettronicamente per il logo.

LOA:  Quale metodologia critica può essere applicata all’AR/VR?

DB: Non credo che lo sappiamo ancora. Le forme d’arte sono così nuove che stanno ancora cercando una specificità. Forse è un discorso diverso rispetto a quello a cui ci siamo abituati a partire dalla critica d’arte di Charles Baudelaire. Forse non è applicabile. So, per esempio, che David Joselit ha cercato di scrivere degli NFT partendo dalla prospettiva di Duchamp. Penso sia un progetto di grande interesse per le domande che pone, ma non proverei nemmeno a dire qualcosa ora. Dovremo parlarne in un altro momento.

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“The London Mastaba,” 2016-18, by Christo e Jeanne-Claude; Serpentine Lake, Hyde Park, London.

LOA: Che relazione vedete tra l’AI -intelligenza artificiale - e l’AR/AV? Credete che a un certo punto ci sarà un’apertura affinchè l’AI crei dell’AR/VR all’interno di linee guida istituzionali?

DB: Ci sono idee distopiche e apocalittiche sull’AI che sarebbe una forza spaventosa e più minacciosa del cambiamento climatico o delle armi nucleari, ma i pezzi di realtà aumentata hanno già in sè dell’AI. Abbiamo realizzato questo pezzo di VR con Jeff Koons, dove una ballerina ti riconosceva se ti vedeva una seconda volta e sapeva se tu eri già stato lì in precedenza. Ci sono già cose meno roboanti e grandiose in molti di questi progetti. L’accelerazione della tecnologia procede in modo più o meno verticale, diventa acuta, e questa è una delle ragioni per cui si chiama Acute Art. A un certo punto, la velocità con cui la tecnologia è verticale e nessuno riesce più a coglierla. Ed è lì che vengono fuori le singolarità; l’iper-umano prende il controllo e non è più umano - non è più comprensibile per noi che siamo dei soggetti finiti. Questo è il seminario di filosofia che vorremmo seguire prima o poi. 

HUO: È un altro tema immenso: la relazione tra l’arte e l’AI, mentre ci adattiamo a nuovi input. Ci sono state diverse mostre alla Serpentine legate all’AI. La prima è stata quella di Ian Cheng, “BOB”, poi abbiamo avuto le due di Hito Steyerl e Pierre Huyghe, e successivamente una di Alexandra Daisy Ginsberg. È un cambiamento cruciale per lo status dell’opera d’arte e allude all’idea di opera d’arte come un organismo vivente. Un altro grande esempio è Philippe Parreno con “Echo2”, alla Borsa di Parigi, dove la sua costituzione cambia continuamente, grazie all’ausilio dell’AI.

DB: La nuova tecnologia non solo cambia il modo con cui possiamo produrre opere d’arte, distribuirle e raggiungere un pubblico. Riguarda anche l’ontologia dell’opera: il che cos’è un’opera. La fotografia ha reso possibile la massiccia distribuzione di immagini cinematiche e ha cambiato ciò che è l’arte. Poi è accaduto di nuovo con l’introduzione delle nuove tecnologie  - con la televisione e internet - e ora siamo nel mezzo di un cambio di paradigma così confuso e forse addirittura più drastico. L’opera d’arte è diventata un qualcosa che sembra essere vivo. Forse non è viva come lo sono una pianta o un animale, ma ha un suo agito e continua a cambiare.

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BOB, 2018, di Ian Cheng, vista dell'installazione, Serpentine Gallery, Londra; foto di Hugo Glendinning.

LOA: È stata un’evoluzione naturale?

DB: Ne stavo giusto parlando con Sanford Kwinter, che era molto interessato a questi sviluppi della controcultura, soprattutto in California. Mi ha ricordato la canzone dei Beatlles “Lucy in the Sky with Diamonds” e i primi tempi delle droghe altamente psichedeliche - perciò ho chiamato la mostra dedicata all’AI organizzata da Acute Art a Seul, “Kaleydoscope eyes”. È per ricordare alla gente che le radici delle odierne possibilità tecnologiche affondano a 50 anni fa - la gente all’epoca sognava queste possibilità che oggi stanno diventando mainstream.

HUO: Forse dovremmo dire che questa conversazione è il Capitolo Uno. Non possiamo giungere a una conclusione perché i temi sono infiniti. È bello che ci siamo fermati da qualche parte nel mezzo. Allude a quell’infinità. Perciò smettiamo di parlare ora.

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Hivemind, 2022, di Calum Bowden, Joanna Pope, Will Freudenheim e Seamus Edson; image courtesy Trust.“Power Plants,” 2019, di Hito Steyerl; vista dell'installazione, Serpentine Gallery, London; courtesy dell'artista, Andrew Kreps Gallery New York e Esther Schipper Gallery Berlin.

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