The fab three: l'intervista all'artista Chiara Enzo
Indicata da Cecilia Alemani come una delle artiste più interessanti della Biennale, la pittrice veneziana Chiara Enzo lavora su piccola scala, insistendo su dettagli del corpo. L'artista si è raccontata a L’OFFICIEL ITALIA nel trambusto del count down prima dell’inizio della Biennale.
«Stavo attraversando un periodo personale molto difficile, mi sentivo estremamente limitata fisicamente e di conseguenza mentalmente»,racconta Chiara Enzo - classe 1989 ,nata e cresciuta tra i pittoreschi canali della Serenissima, - per spiegare la genesi della sua vocazione artistica. «Mi sono chiesta quale fosse la ragione della sofferenza che queste costrizioni si portavano dietro. Come trovare un senso, anche poetico, in quello che mi stava capitando? Nella disperata ricerca di una risposta, ho incontrato il mio personale concetto di esistenza. In contrasto con la diffusa rappresentazione dell’artista demiurgo che crea grandi lavori e ha una grande visione dell’insieme, mi sono concentrata su una diversa lettura della realtà. Non potevo abbracciare il tutto? Avrei allora spostato la mia attenzione su qualcosa di più tangibile: il mio corpo. La pelle, il nostro bordo, ciò che separa ‘te’ dall’esterno, una continua dicotomia dell’essere. Così è iniziata la mia esplorazione e, di conseguenza, la mia narrazione frammentata del mondo». Un’analisi intima e certosina del presente, un’esaltazione della vulnerabilità dell’uomo attraverso opere ad elevato contenuto emotivo. I dipinti di Chiara costituiscono la riprova schiacciante che l’arte della pittura non è morta, ma, al contrario, è in continua evoluzione: «Nonostante in Italia ci sia ancora questo retaggio di pensiero, non me ne preoccupo. La pittura è già stato definita più volte un linguaggio morto, eppure è sempre rinata». Le opere della Enzo hanno la capacità di mettere a nudo l’animo umano semplicemente approfondendone un particolare, il tutto in formato extra small (non superano mai le dimensioni di un volto umano). «Ci sono varie concause che mi hanno portato a lavorare sul piccolo, è un qualcosa che ho sempre sentito come strettamente legato alla mia poetica e alla costante ricerca di ridurre al minimo. Essendo poi una persona estremamente introspettiva, mi sono sempre distaccata dalle opere troppo grandi che si impongono sullo spettatore. L’obiettivo del mio lavoro è attrarre senza costrizioni, voglio creare un rapporto attivo tra l’opera e l’osservatore: anche solo il fatto che si debba (o si voglia) avvicinarsi per osservarla meglio, fa sì che si crei del movimento intorno al lavoro, il cui tratto caratteristico è il non essere mai statico». L’obiettivo è quello di creare una piccola finestra che aneli a qualcosa di inafferrabile:«L’immaginazione è l’elemento chiave: c’è un carattere mancante che ognuno deve completare per se stesso. Questo senso di assenza fa sì che ogni opera - con le sue apparenti incompletezze - richiami le altre. C’è un legame molto stretto tra un quadro e l’altro, si può anche concepire il mio lavoro come un’unica opera perennemente incompleta».
Nonostante un inizio di carriera più che promettende - nel suo passato, l’Accademia di Belle Arti di Venezia con Carlo Di Raco, la vittoria alla 101ma Collettiva Giovani Artisti della Fondazione Bevilacqua La Masa con relativo studio d’artista, il primo premio al Lydia! Premio all’Arte Contemporanea Emergente, indetto dalla Fondazione Il Lazzaretto (Milano) e la recente selezione tra gli artisti per il Premio Ducato- per la giovane artista la partecipazione alla 59° Biennale di Venezia è un’esperienza decisamente nuova.«È un grande salto per me, sono sempre stata praticamente sconosciuta nel panorama artistico e non ho mai partecipato ad un evento così importante, soprattutto una Biennale come questa, con la sua spiccata rappresentanza femminile e di altre minoranze! Conosco e stimo l’enorme lavoro scientifico della curatrice Alemani, la sua capacità di scavare nella storia e guardare a percorsi diversi. Nonostante trovi che il mondo dell’arte contemporanea sia ancora oltremodo maschilista, questo nuovo capitolo è sicuramente un ottimo passo avanti». A Venezia Chiara Enzo presenta un’elaborata riflessione sul corpo umano e sulla sua metamorfosi. «Mi sento stranamente molto tranquilla, sono convinta del mio lavoro. Trovo ci sia una certa fluidità, si può guardare da più punti di vista e alcuni aspetti potrebbero rientrare nelle altre tematiche affrontate dall’Esposizione. Mi sono lasciata trasportare dalla mediazione che viviamo della nostra fisicità: al giorno d’oggi chiunque vive la propria corporeità in maniera indiretta e mediata dalla fotografia, dalle immagini, dai social. Per questo ho lavorato con diversi tipi di frame video e fotografici, che riflettono al meglio il concetto contemporaneo di "corpo"».