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The fab three: l'intervista all'artista Mire Lee

Indicata da Cecilia Alemani come una delle artiste più interessanti della Biennale, la coreana Mire Lee crea installazioni che ricordano intestini o sezioni del corpo trasudanti di liquidi. L'artista si è raccontata a L'Officiel Italia nel trambusto del count down prima dell’inizio della Biennale. 

shelf furniture person human

Mire Lee sfida le etichette del sistema dell’arte. Le sue installazioni scultoree sono sgradevoli e fortemente materiche, il più delle volte ricordano intestini o parti del corpo sezionate che trasudano liquidi che alludono ai fluidi corporei. Nonostante i sentimenti di repulsione, i suoi lavori prendono vita con movimenti che attraggono gli spettatori che vengono coinvolti istantaneamente dal lessico meccanico e viscerale: cascate di frattaglie si uniscono a dispositivi cinetici composti con materiali industriali come tubi di silicone, catene, cemento e strutture in acciaio; si contrappongono alla consistenza degli spruzzi di glicerina, di altri liquidi appiccicosi, all’argilla naturale e ai linguaggi audiovisivi dei video. Nella sua totalità, le composizioni dell’artista contemporanea creano entità atipiche e organismi disfunzionali che si allontanano dai canoni della bellezza oggettiva. 

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Distaccata da ogni genere di social media, l’artista contemporanea predilige l’anonimato, vive e lavora tra Amsterdam e la Corea del Sud ed è laureata in scultura e in media art presso la National University College of Fine Arts. Rappresentata da Tina Kim Gallery a New York, Mire Lee ha esposto le sue creazioni nelle grandi istituzioni: “Carriers” al Art Sonje Center e “War is Won by Sentiment Not by Soldiers” all’Insa Art Space di Seul, “words were never enough” alla Lily Roberts di Parigi, “Het is of de stenen spreken” all’Art Institute di Utrecht e l’anno scorso era nella lista Future Generation Art Prize. La sua ultima mostra “HR Giger & Mire Lee” al Schinkel Pavillon di Berlino, è un dialogo tra gli apparati di Lee e le creature xenomorfe del maestro H.R. Giger, come Necronom IV, i diari erotici e gli sketch per il film “Alien” di Ridley Scott. Sessualità, corporeità e tecnologia convivono stabilmente nella macro area che analizza le relazioni tra essere umano e tecnologia alla Biennale di Venezia 2022. La sua opera esposta è un insieme di cellule impazzite animate dalle gestualità concitate di una macchina che ricorda il sistema digestivo di un animale. «Per la Biennale di Venezia ho realizzato una serie di sculture con molti buchi e gocce di liquidi rossi, sia a terra che appese a una struttura scheletrica simile ad una impalcatura» ha spiegato Mire Lee «Durante la realizzazione del lavoro, ho fantasticato su un ipotetico essere indefinito il cui nucleo e superficie interna ed esterna si confondono. Il mio è un tentativo scultoreo di fornire queste immagini, trovo una sublimità in questo stato infinitamente aperto, vulnerabile e miserabile». 

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Quest’anno gli spazi della Biennale raccolgono i lavori di artiste donne con una percentuale dell’ottanta per cento su tutti gli artisti selezionati, e in merito Mire Lee sostiene che ancora oggi, nel mondo dell’arte, uomini e donne possono essere molto uguali oppure molto differenti: «Dire che siamo uguali significa credere nell'universalità e nell'uguaglianza. Dire che siamo diversi è mettere una piccola pausa prima dell'utopia. Le differenze implicano conflitto ma sono anche il luogo dove nasce la poesia. Come artista, scelgo di vedere le differenze perché è sempre di più interessante». Tra le collettive a cui ha partecipato, “Contamination” presentata nel 2021 alla Kunstaverein Freiburg che racchiuse il tentativo di rappresentare utopicamente incontri, contatti e coalizioni come processi di contaminazioni tra artisti. Una riflessione sull’identità e gli immaginari che tendono ad essere incentrati su un soggetto razionale e autodeterminato - spesso eterosessuale, bianco e maschio - che pretende di rappresentare esclusivamente l'essere umano nella sua forma più pura. Per la mostra Faces del 2016 aveva presentato un installazione affiancata da un cortometraggio che riproduceva immagini ravvicinate di donne, un’opera che in origine si chiamava “Andrea, in my mildest dreams” proprio perché Andrea potrebbe essere chiunque essendo un nome utilizzato per entrambi i sessi. L'installazione presentava una serie ciclica di filmati di attrici porno in situazioni non sessuali, ambientati in una piscina di liquido siliconico. Un’opera che strizza l’occhio all’industria pornografica giapponese e allude alla violazione della libertà e allo sfruttamento della figura femminile. Infatti a guidare la pratica artistica di Lee è una schiera di donne femministe, impegnate nelle battaglie dell’emancipazione. Una tra queste Simone de Beauvoir che difendeva il suo pensiero, perché come diceva lei: "Donna non si nasce, si diventa”.. 

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