Hommes

La moda secondo Virgil Abloh

Lo stilista americano riflette sul lato dichiaratamente commmerciale delle pre-collezioni, che costituiscono la base del guardaroba. «Non necessitano di alcuna ostentazione ispirazionale. Non tutto è per forza poetico»
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Mostre, collaborazioni, dj-set, la responsabilità di due case di moda, famiglia, viaggi. Rimarrà tutto in stand-by. È arrivata da poco la notizia del congedo medico di Virgil Abloh: tre mesi di riposo dalle sfilate, come ha comunicato lui stesso il 9 settembre tramite The Business of Fashion. Una dichiarazione che non è sinonimo di debolezza e dimostra ancora una volta la potenza mediatica del designer. L’uomo sulle passerelle di Virgil Abloh è moderno, indossa la gonna sopra i pantaloni e i guanti ricoperti di pietre e paillettes. E può dire apertmente di aver bisogno di prendersi del tempo per sé. Lo stilista stesso è persona del suo tempo: sensibile al potere delle strategie di mercato e di chi lo sta influenzando. Il concetto di pre-collezione elaborato da Abloh parte proprio dalla sua connotazione dichiaratamente marketing-wise. «Investigando quali sono i pezzi fondamentali del guardaroba, che tradizionalmente caratterizzano le pre-collezioni, ho deciso di celebrare il lato commerciale piuttosto che rinnegarlo, come la moda tende a fare. Quando asi pensa a una pre-collezione, gli abiti non necessitano di alcuna ostentazione ispirazionale. Non tutto è per forza poetico. Chiamiamolo nel modo in cui si chiama. Questi sono pezzi essenziali del guardaroba». L’ispirazione viene dalla strada, o meglio, dall’osservare i “cool kids” dettare le regole dello stile. «I ragazzi che fanno quello che gli pare e stabilisco- no le premesse per le novità di domani sono un continuo stimolo. Sono partito dall’idea che la moda ha dello streetwe- ar, ovvero, di qualcosa di connesso con la strada e con lo sportswear, quando in realtà lo sportswear oggi comprende tut- te le categorie del vestire, dal sartoriale allo sportivo e quello che sta nel mezzo. Questa collezione studia l’atto di perfezionare gli elementi fondamentali del guardaroba. Ha a che fare col convertire tutto ciò che normalmente viene considerato di basso livello, in qualcosa di più elevato». Ma se lo street non è più street come si può definire? «Lo streetwear è evoluto in qualcosa che si può chiamare “lifewear”. Forse suona come una forzatura, ma è indicativo di un clima sociale dove i vecchi valori attribuiti a una visio- ne più conformista del dress code sono stati sostituiti a favore di un approccio più libero. Un abbigliamento che, in realtà, abbraccia tutti i modi del vestire, dal molto casual, all’estremamente formale. E soprattutto, a mio parere, l’idea contemporanea di streetwear è quella di un abbigliamento che è assolutamente chic». I pezzi selezionati da Virgil Abloh per la pre-collezione S/S 2020 sono tutti degli evergreen. «Sono quei look classici che hanno superato il test del tempo: la sahariana, la giacca safari, l’aviator, la giacca a vento, il piumino e così via. Un motivo come il desert camouflage è così intrinseco allo streetwear che il suo valore emozionale corrisponde quasi a quello del Monogram Louis Vuitton, che ho usato. Si potrebbe dire lo stesso delle tasche dei cargo, che sono state interpretate come se fossero delle borse integrate ai pantaloni sin dalla S/S 2019. Per la pre-collezione S/S 2020, quei look con tasche multiple sono stati ricoperti da collages di dipinti di Raffaello». Pezzo forte l’“office jumper”. «Sul maglione girocollo di jacquard è raffigurata una foto di gruppo dei membri di Louis Vuitton con addosso un maglione. Tutti quanti sono stati rappresentati come delle figure anonime, senza genere, né razza, senza un’identità preconcetta. Perché siamo tutti una cosa sola». Il suo incarico a nuovo direttore creativo della divisione maschile di Louis Vuitton, successore di Kim Jones (oggi a capo del menswear di Dior), viene annunciato pubblicamente nel marzo del 2018, due mesi prima della sua sfilata d’esordio. Michael Burke, attuale Ceo della Maison, dichiara subito dopo il suo insediamento: «Ho seguito con grande interesse l’ascesa di Virgil, con cui ho lavorato da Fendi nel 2006, e sono entusiasta di vedere come la sua innata creatività e il suo approccio anticonformista lo abbiano reso così influente, non solo nel mondo della moda ma anche nella cultura pop di oggi. La sua sensibilità per il lusso e il savoir-faire sarà la chiave per portare il menswear di Louis Vuitton verso il futuro». Aspettative che non ha deluso. Il suo entourage composto da celebs, tra cui A$ap Rocky, le Hadid, le Kardashian, Kanye West, non ha fatto altro che aumentarne la popolarità.


Foto Fumi Nagasaka

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