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Speaking about Values: Michele Lupi racconta a Pitti 106 l'evoluzione storica di Fay

Durante l'edizione di Pitti 106, il Men's Collections Visionary di Fay e Fay Archive ha raccontato il percorso del marchio del Gruppo Tod's. 

Fay Archive la collezione primavera estate 2025 (Courtesy of Fay)
Fay Archive la collezione primavera estate 2025 (Courtesy of Fay)

Già durante l'edizione invernale di Pitti, Fay aveva presentato negli spazi de La Polveriera nella Fortezza da Basso la Main Collection di Fay e i progetti legati a Fay Archive. Durante Pitti 106 a giugno Michele Lupi ha introdotto la nuova collezione primavera estate 2025. Partendo dalle origini del marchio nelle costiere del Massachusetts il marchio del gruppo Tod's ha combinato l'utilizzo di tessuti tecnici con materiali organici, presentando il nuovo Trench coat rivisitando il classico Fay 4 Ganci. Per la pioggia, viene prodotto il Morning Parka, con tessuto antipioggia "Pluvia", bottoni automatici gommati, maniche raglan e influenze strappate allo stile brit, come la fodera interna in tartan. Questa stagione il progetto collaterale Fay Archive si focalizza sul rapporto con il mare, la natura e gli spazi aperti con una collezione ispirata alla canzone canzone "Salty Dog" dei Procol Harum e alla figura del marinaio. La selezione, curata insieme a  Maurizio Donadi (nda che ha lavorato in passato per RRL Ralph Lauren, Levi’s Vintage Clothing e Armani), si struttura con capispalla, felpe e cargo pants, realizzati in cotoni lavati naturalmente e nylon. Partendo dall’heritage del marchio, nato nel Maine e acquistato dalla famiglia Della Valle negli anni Ottanta, il Men’s collection visionary Michele Lupi ha raccontato il suo percorso e l'evoluzione di Fay.

L’OFFICIEL ITALIA: Quando hai capito di essere interessato alla moda?
MICHELE LUPI: Non sono mai stato troppo attratto dalla moda, piuttosto dallo stile, peró sono sempre stato attratto dal mondo workwear, l’abbigliamento utilitaristico e le uniformi militari. A 14 anni ero interessato al legame che la moda aveva stretto con la musica, il movimento punk e new wave e l’estetica do it yourself che si manifestava con alcuni gruppi del periodo. E con Fay e il progetto Fay Archive siamo andati un po’ in una direzione opposta alla moda tradizionale fatta di tendenze, perché abbiamo deciso di seguire la nostra strada e la nostra storia. Prima di Fay ho avuto modo di lavorare nell’ambito dell’editoria, ero direttore di Icon, GQ e Flair, sono sempre stato affascinato dalle immagini, dalla produzione di contenuti di un marchio e dall’art direction che probabilmente ho ereditato da mio papà.

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Men's Collections Visionary di Fay e Fay Archive (Courtesy of Fay)

LOI: Com’è stato passare dal settore dell’editoria ad un marchio?
ML: Ho ricevuto una chiamata da Diego Della Valle perché aveva letto un articolo della rivista per cui lavoravo. Pensavo che fosse un appuntamento per parlare di questioni contenutistiche e progetti editoriali, mentre invece si è trasformato in una specie di colloquio. Ricordo che mi aveva detto questa frase: “Aziende come la mia diventeranno sempre di più delle media company per la creazione di contenuti". Ho vissuto bene il cambiamento, mi sono sempre piaciute le novità, chiaramente ci sono vantaggi e svantaggi. Quando sei a capo di una rivista hai abbastanza carta bianca, quando invece sei capo di un marchio bisogna prendere delle decisioni insieme al tuo team. Ci sono anche differenze sul timing: quando lavori sulle collezioni o a dei lanci, le tempistiche sono più dilatate rispetto ad una rivista. 

LOI: Chi sono stati i tuoi mentori nella vita?
ML: Mio padre é stato un grande art director italiano, mi ha tramandato la sua sensibilità legata al visual, ma ha sempre osteggiato ogni forma di nepotismo. Luca Grandori che ha intuito la mia attitudine al giornalismo e Diego Della Valle che mi ha fatto fare il salto e con cui ho un bello scambio. Joe Strummer (nda il cantante dei Clash), perché in maniera indiretta mi ha insegnato l’attitudine energetica, il potenziale delle cose scarne e dirette provenienti dal movimento punk.

LOI: Come hai visto cambiare Fay negli anni?
ML: Nasce nel 1987 in Massachusetts, come marchio che produceva le uniformi dei pompieri americani. Successivamente è stato comprato da Diego Della Valle del Gruppo Tod's ed è considerabile come una delle prime esperienze italiane dell’abbigliamento workwear. Nel corso storico del marchio è stato bello vedere come veniva interpretata la Giacca 4 Ganci, ad esempio l’avvocato Agnelli indossava il suo completo sartoriale da business sopra la giacca da pompiere. Esiste un repertorio di immagini incredibile, come anche l’avvocato Montezemolo, Susanna Agnelli o Niki Lauda e in quel periodo il marchio possedeva un percepito di origine italiana. Poi quando sono arrivato in azienda ho cercato di ripristinare la storia originaria del brand con le campagne, perché dal mio punto di vista era necessario fantasticare sulle avventure di Fay. Poi abbiamo lanciato il progetto Fay Archive che ci ha permesso di ragionare sul valore dell’archivio, rispettando la coerenza e il dna del brand.

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Luca Cordero di Montezemolo, Niki Lauda, Susanna Agnelli con la giacca "4 Ganci". (Courtesy of Fay)

LOI: In che modo cercate di valorizzare la vostra comunicazione?
ML: Presentando storie incredibili, come quelle del progetto di Fay Archive in cui abbiamo coinvolto 50 personaggi che interpretavano il brand mostrando le loro professioni più disparate: dall’affumicatore di arringhe, al taglialegna. Ma per me la cosa più rilevante è mantenere un punto fermo sulla coerenza tra il prodotto e la comunicazione. È chiaro che il prodotto vuole i suoi tecnicismi qualitativi, ma raccontarlo in maniera diretta con una storia è completamente differente.

LOI: C'è qualcosa che cambieresti del fashion system?
ML: Direi i comunicati stampa, le aziende comunicano qualunque notizia, con tanta libertà e spesso è panna montata che si smonta da sola. C'è anche un acquisto compulsivo da parte delle persone. Recentemente sono stato a Tokyo, ho notato che tanti marchi possiedono all’interno dei propri store una selezione vintage con dei pezzi rilavorati. È ovvio che non possiamo continuare a produrre con questi numeri, ad un certo punto dovremmo per forza andare a rilavorare capi già esistenti.

LOI: A proposito come si rinnova la Giacca 4 Ganci?
ML: Prima di tutto è necessario parlare di coerenza e rispetto dei valori del brand, io non proporrei mai interpretazioni “troppo moda” per un oggetto che di nascita è umile ed è legato all’abbigliamento da lavoro. Si puó si sperimentare con lavaggi, materiali, tessuti e canvas, ma sempre mantenendo la stessa credibilità.

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LOI: Che rapporto ha ora Fay con l’America?
ML: Abbastanza leggero, se lo vediamo come marchio a tutto tondo è prettamente italiano, ma il fatto che sia un marchio originario americano ci dà la possibilità di focalizzarci sul workwear, la natura oppure il rispetto degli spazi - essendo nato nei grandi spazi dell’East Coast - per poi confrontarsi con l’ambiente urban italiano.

LOI: E il mercato di Fay? 
ML: All’80% è italiano, peró sta iniziando ad esserci attenzione dal Giappone, dalla Korea e anche dall’America.

LOI: Che consiglio daresti alle persone che vorrebbero intraprendere una carriera simile alla tua?
ML: Essere sempre generosi e dare tanto, ma anche essere appassionati ed entusiasti del proprio lavoro, senza avere il pensiero fisso di avere subito qualcosa in cambio. E poi avere la capacità di tenere viva la curiosità, perché se venisse a mancare quello stimolo, sarebbe un problema.

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