Breaking records: Andrea Damante
Giovane, outsiser e superfocused sulla sua musica (con il nuovo singolo ALL MY LOVE), Andrea Damante, deejay e producer, è tornato nel suo habitat naturale: le perfomance dal vivo .
Photography RAFF GROSSO
Styling VERONICA BERGAMINI
Per Andrea Damante fare il dj non è un passatempo dilettantistico o un’alternativa goliardica, ma una vocazione e un mestiere, che non si può improvvisare. Nel 2017 il suo primo singolo “Follow my pamp” lo fa entrare nelle classifiche musicali, situazione che si ripete ad ogni suo pezzo; “Think About”, “Somebody To Love” e “Understatement pt.1” (uscito il luglio scorso) hanno raggiunto complessivamente i 45 milioni di streaming. Il 10 dicembre è uscito il suo nuovo singolo: “ALL MY LOVE”.
L'OFFICIEL ITALIA: Quest’anno sei entrato nella famiglia Warner, cosa ha significato per te?
ANDREA DAMANTE: Causa Covid ho avuto tempo a disposizione e con il mio management abbiamo investito sulle produzioni e nel reimpostare la strategia musicale, per arrivare anche al mercato estero. Abbiamo presentato il progetto in Warner, è piaciuto ed è iniziata la collaborazione. È stato un passaggio fondamentale perché la major sponsorizza una canzone in modo capillare, arrivando a più persone. Alla fine però, major o no, la differenza la fanno i dischi di qualità: una hit rimane una hit.
LOI: L’hai annunciato con un post Instagram: “Momenti alti, momenti bassi, scelte giuste e scelte sbagliate...” Mi racconti?
AD: In passato sono stato consigliato male e ho preso decisioni musicali e di produzione sbagliate, ho imparato la lezione ma ho perso tempo. Sono una testa dura, vado sempre avanti e ho cercato di sperimentare generi diversi, è arrivata la svolta con “Follow my pamp”, nel 2017. Se avessi fatto tre singoli così di fila sarebbe stato meglio ma è complesso fare sempre dischi di un certo livello e con i numeri giusti perché la concorrenza è alta. Serve tempo...
LOI: Quando hai capito che la musica era la tua strada?
AD: Probabilmente dalla terza elementare quando mi regalarono il walkman. Erano i tempi degli 883 e Jovanotti, avevo costantemente la musica nelle orecchie. Anche la mia famiglia è stata fondamentale. Da parte di mio padre sono quattro fratelli e quando ero piccolo passavamo le sere d’estate in Sicilia a suonare: chitarra, basso, pianoforte, batteria, sax... Sono cresciuto così, respirando musica. Poi, in seconda media mio padre comprò una consolle, metteva dischi anni ’60-70 e io lo aiutavo a sceglierli e cambiarli, da lì è partita la fissa... una grande fortuna per i vicini.
LOI: Quanto lavoro c’è dietro una canzone?
AD: Infinito. Mi chiudo in studio, con due o tre persone. Ci si fa un’idea sul progetto e sul sound e si inizia la session... la canzone viene fuori piano piano.
LOI: Mi spieghi la differenza tra un Producer e un Top Liner?
AD: Semplificando molto, il primo lavora sui suoni senza la voce, la cosiddetta “prod”. Il Top Liner è un cantante o chi scrive il testo della canzone e trova la quadra tra le parole e le note di quest’ultima. In un brano pop è fondamentale.
LOI: Le sonorità del tuo repertorio sono diverse...in che direzione vai?
AD: Mi sono allontanato dal sound di “Follow my pamp” perchè la musica è cambiata. Sono ritornato a una pop radiofonica con “Understatement pt.1”, mentre l’ultimo singolo “ALL MY LOVE” ha sonorità club ad anticipare quelle più house delle prossime uscite. Per questo pezzo ho lavorato con un bravissimo produttore Olandese. È il next step tra “Understatement pt.1” e i prossimi progetti.
LOI: Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
AD: Ascolto di tutto. Ho iniziato con la musica italiana, poi i Guns N’ Roses, i Queen e ho avuto anche un periodo, da fissato, di musica classica con Bach. Sono passato dalla techno, all house, alla tech-house... di tutto. L’artista che negli ultimi dieci anni ho ascoltato di più è Kygo, un maestro del suo genere. Estremo!
LOI: Pare che il primo remix avvenne in una chiesa sconsacrata di NY alla fine dei ’60, un dj mixò un pezzo di Manu Dibango con i Led Zeppelin. Se fossi stato tu, dove e che brani avresti scelto?
AD: Al Colosseo, con il capolavoro di Kim Carnes “Bette Davis Eyes” e “Carry Me” di Kygo.
LOI: Dai ’90, 2000 la figura del dj e della scena clubbing è cambiata...
AD: In quel periodo c’è stata la wave dei locali, dei deejay, con la dance esplosa anche in Italia. Nei primi dieci anni del Duemila il mondo della notte era malvisto e il ruolo del dj era più passivo. Dopo il periodo d’oro di Gabry Ponte, Benny Benassi, Gigi D’agostino c’è stato un blackout. Adesso la realtà della nightlife si sta riaffermando, è più pulita e più accessibile di un tempo. C’è la cultura del tavolo, della bottiglia, della festa, i club sono più party oriented, si va lì per ballare; fine. Prima era tutto più nicchia.
LOI: Le prime tre canzoni della tua playlist?
AD: “My Universe” dei Coldplay e BTS, “Tell It To My Heart” di Meduza e Hozier e “Alive" di Alok.
LOI: Hai citato i BTS, hai mai pensato di remixare un brano K-pop?
AD: Mi piace e funziona, è un sound a cui il nostro orecchio si deve abituare, ma spacca. Sta sul pezzo, sta in battuta e gira bene. Molti artisti americani stanno facendo collab di questo tipo. Va considerato che i mercati asiatico e americano sono vastissimi, il match dei due ha portato a numeri e ascolti molto alti. Le major hanno cavalcato l’onda. Avevo pensato di fare un pezzo del genere... ma potrebbe essere già tardi.