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Francesca Mannocchi racconta "Lirica Ucraina"

La reporter restituisce in un documentario di 84 minuti il dramma umano della vita quotidiana degli Ucraini durante l'invasione russa, a partire dalla scoperta delle fosse collettive di Bucha. 

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LOI: Come nasce il tuo documentario? Personalmente, mi auguro che riporti l’attenzione su questa guerra che dura ormai da 1000 giorni e che è passata da un anno a questa parte in secondo piano, di cui la gente è  “stufa”, dimenticando, e disumanizzando chi invece la vive tutti i giorni sulla propria pelle
Francesca Mannocchi:  “Lirica Ucraina” nasce dal desiderio di organizzare le decine di ore di repertorio che avevo dei tanti mesi trascorsi in Ucraina in un documentario che tentasse di spostare in un linguaggio filmico un insegnamento che in realtà a me arriva dalla letteratura, e arriva da quella che forse è stata la più grande, ed è la più grande, narratrice del trauma post-sovietico che è Svetlana Alexievich, che ha fatto dell'ascolto dei testimoni, dei sopravvissuti, delle figure più in ombra dei conflitti il punto cardinale della sua letteratura. Il tentativo era proprio cercare di restituire il senso della guerra attraverso le voci delle storie minuscole, delle vite ordinarie, quindi dei bambini, delle donne, delle madri, delle vedove e mostrare quanto queste vite, queste anime, questi corpi siano consumati dalla guerra. Nel tentativo di fare proprio quello che Alexievich fa nella letteratura, cioè fare sì che un coro di voci diventi un'unica voce che racconta la guerra ed è il motivo per cui in questo film non c'è la mia voce, non c'è un voice-over, non sono intervistati politici o analisti, è proprio la guerra così come si presenta nella sua forma più cruda, non necessariamente peggiore, più cruda: perché c'è l'estrema solidarietà e c'è l'estrema violenza. Quello che dico sempre, che mi spinge a raccontare le guerre, ma più in generale diciamo le zone di crisi e conflitto, di qualsiasi conflitto, sia appunto la guerra o gli effetti delle crisi climatiche o le grandi migrazioni, è che sono esperienze in cui l'essere umano, e dunque l'animo umano, si manifesta nella sua assoluta autenticità. C'è l'autenticità della solidarietà, ma c'è anche l'autenticità dei sentimenti meno nobili, e quindi la violenza, e quindi la vendetta, e quindi la ritorsione. Quello che mi piacerebbe è che lo spettatore, di fronte a questa autenticità, si chiedesse: cosa farei io al posto di queste persone, cosa farei io al posto di questa donna? Ma anche: al posto di questo soldato?

LOI: Come è stato accolto il film alla Festa del Cinema di Roma, dove è stato presentato in anteprima?
FM: La prima è stata per me molto emozionante, è stato emozionante vedere per la prima volta queste immagini e sentire queste voci su un grande schermo e devo dire che il pubblico della prima proiezione l'ho trovato un po' stordito, non si alzava nessuno alla fine. E penso che questo sia dovuto anche in parte a quello che dicevi, cioè l'idea che questa guerra l'abbiamo un po' persa dai radar, no? E quindi improvvisamente, dopo tanti mesi in cui ci stiamo confrontando con la catastrofe, la carneficina palestinese e con tutto quello che geograficamente comporta, i colori, gli ambienti, i volti, ci siamo ritrovati, vedendo questo film, in una sala di fronte al gelo dell'inverno dell’Est e penso e spero che ognuno di noi osservando queste immagini si sia chiesto: dove è finita la mia sensibilità rispetto a questa guerra che è ancora in corso e che peraltro vive un momento particolarmente delicato nel suo svolgersi?

LOI: Tu adesso tornerai a Gaza, andrai in Libano, cosa farai nel tuo prossimo futuro? 
FM: No, a Gaza purtroppo noi giornalisti internazionali non possiamo entrare dall'inizio dell’offensiva. Tornerò in Palestina, sì, la prossima settimana, in Israele e Palestina e in realtà mi piacerebbe molto tornare a raccontare dei luoghi da cui, comprensibilmente, quest'anno mi sono distratta. Mi piacerebbe molto tornare in Afghanistan e senz'altro mi piacerebbe tornare in Ucraina. Le guerre sono imparagonabili, ma quello che mi interessa è cercare quello che nei tratti umani lavora e scava nel medesimo modo in tutte le guerre, e quello che cerco nelle lunghe settimane, nelle lunghe giornate che passo in questi scenari, sono i punti in comune che tutte le guerre. Le differenze tra un paese e l’altro non le menziono ma semplicemente perché non vado a cercare similitudini in situazioni che sono storicamente, geograficamente, politicamente non paragonabili. Quello che mi interessa è far emergere l'esperienza della guerra. Che avvenga in un campo profughi palestinese o in una capitale o nel freddo dell'inverno ucraino è lo stesso: vado a cercare cosa resta delle vite di prima.

LOI: Tu accompagnerai in qualche modo il film, cioè avrai degli incontri con gli spettatori?
FM: Sì, dovevamo farlo in realtà adesso, immediatamente dopo averlo presentato a Roma, ma io appunto devo ripartire quindi il film uscirà alla fine di novembre nei giorni intorno al 25, 26, 27 e 28, ci saranno proiezioni a Roma, Bologna, Firenze, Milano, Torino tutte accompagnate da me.

Per me è molto importante perché ho la sensazione che bisogna non solo mostrare ma anche parlare, tornare a parlarne di questo conflitto e chiederci davvero se ci siamo così tanto abituati anche all'idea della sostituzione di quelle che consideriamo emergenze ma che non sono emergenze, sono emergenze che diventano crisi strutturali, diventano cronicità e se ci pensi sia l'Ucraina sia ormai l'offensiva su Gaza ma in parte anche quello che sta accadendo in Libano è ormai velocissimamente trasformato in una cronicità, non più in un'emergenza e questo è davvero pericoloso.

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