Interviste

Women’s rights: l'intervista a Donata Columbro

Con una donna su tre che a livello globale subisce violenza sica, sessuale o psichica nel corso della vita, siamo ancora lontani dalla parità di genere. Il numero dei femminicidi, la percentuale elevata di disoccupazione femminile e il gap salariale e di percorsi di carriera anche in Italia evidenziano che c'è ancora molto da fare...

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Un ritratto della giornalista Donata Columbro

Parliamo di questa tematica con donne che per i diritti si battono da sempre, combattendo la disinformazione, dando voce a chi non ce l'ha, offrendo un rifugio concreto alle vittime di violenza, e dando un esempio con percorsi di carriera eccellenti in cui il messaggio di empowerment femminile diventa parte integrante della cultura aziendale.

Donata Columbro, giornalista e autrice di “Ti spiego il dato” e “Dentro l’algoritmo”, pratica “il femminismo dei dati”, che “ci mette davanti alle dinamiche di potere con cui vengono raccolti, analizzati e usati”.

L’OFFICIEL ITALIA: Di fronte a un fenomeno, quello della violenza di genere, che viene negato, sottovalutato, minimizzato, disporre di dati su cui fondare qualsiasi ragionamento e possibile strategia di contrasto è fondamentale. Ma perché è così complicato?

DONATA COLUMBRO: Ci sono voluti 50 anni di studi di genere perché l’ONU nel 2022 fornisse 53 indicatori globali (adot- tati dall’ISTAT) per definire il femminicidio. Un numero elevato di indicatori per non tralasciare alcun livello di violenza, che includono anche gli omicidi commessi dai datori di lavoro o il trattamento riservato alle donne dalle forze dell’ordine. In tutti questi anni sono cambiati i criteri delle statistiche, per cui il paragone temporale può avere poco senso. E ci sono ancora categorie molto poco monitorate, ad esempio non abbiamo dati disaggregati sulla violenza di genere esercitata sulle donne disabili.


LOI: E come spieghi il negazionismo?


DC: La fase negazionista sulla violenza di genere è molto simile a quella sul cambiamento climatico: chi nega guarda al locale, mentre si deve guardare alle discriminazioni strutturali e sistemiche. Per il negazionista dovremmo accontentarci dei miglioramenti della società nonostante almeno 100 femminicidi all’anno. Così nonostante l’Italia abbia uno dei più alti tassi di disoccupazione femminile e di part time rispetto agli altri paesi europei, i negazionisti citano settori a prevalenza di personale femminile come la scuola, ma sono i classici lavori di cura cui si è sempre confinata l’attività delle donne, e dove la percentuale di lavoratrici, che costituiscono il 99% della base della piramide, non fa che abbassarsi quan- do si sale di livello, basta guardare ai professori universitari, in larga maggioranza uomini. In generale basta guardare alla detenzione del potere, tolto qualche caso eclatante soprat- tutto nelle grandi città. Sono uomini i sindaci dei piccoli comuni, uomini al vertice di aziende ed amministrazioni, sono uomini i direttori dei giornali, quelli delle scuole di giornalismo, i direttori delle fondazioni... Altra tesi sostenuta dai negazionisti del gender gap a dimostrazione che le donne sono messe meglio, è che ci sono più suicidi tra uomini. Ma questo avviene solo perché è difficile aderire agli standard di maschilità tossica per cui l’uomo non riesce a mettersi in discussione


LOI: I femminicidi in Italia aumentano? Diminuiscono? Sono stabili?


DC: Se i dati sulla violenza forniti dall’Onu attestano che il fenomeno nel mondo persiste ovunque, da noi il numero dei femminicidi è stabile, intorno ai 100 all’anno, però in Italia sono diminuite tutte le altre tipologie di omicidi, meno questa. Nel report Istat viene anche sottolineato che in Ita- lia le donne uccise sono mediamente più anziane rispetto al resto d’Europa. Spesso si tratta di femminicidi conseguenza dell’incapacità del maschio, che vede esaurita la funzione di cura della donna, a trasformarsi a sua volta in care giver. Per cui la donna ormai incapace (per malattia, per debolezza) di accudire gli altri oltre che sé stessa viene soppressa. Quello che è fondamentale per comprendere il fenomeno è che i casi non vanno considerati in modo morboso come casi singoli: generalmente il femminicidio è scatenato dall’incapacità di accettare di non avere il controllo sulla partner.

«La fase negazionista sulla violenza di genere è molto simile a quella sul cambiamento climatico».

LOI: Hai definito internet una “tecnologia che alimenta le oppressioni sistemiche esistenti nella nostra società”


DC: Internet diventa tossico perché le piattaforme premiano la discussione polarizzante, le tematiche divisive. I dati dell’osservatorio sull’odio online vedono al primo posto tra i bersagli degli haters categorie che subiscono discriminazioni anche nella vita offline, le donne, la comunità lgbtq+, le persone disabili... Le persone che rischiano di più sono le vit- time di discriminazioni intersezionali, quelle che apparten- gono a più categorie di minoranza. Le battaglie femministe contro la discriminazione chiedono un mondo migliore per tutti, senza ostacoli di stereotipi.


LOI: Avere per la prima volta in Italia una donna premier ha cambiato qualcosa?


DC: Avere Giorgia Meloni non ha cambiato niente, e lo dimostra la stabilità in un anno dei dati relativi al gender gap. E non cambia neanche a livello di rappresentazione, visto che non usa il femminile per definirsi, perché la carica è vista di prestigio maschile. Rimane un token.


LOI: Come si esce da questa situazione?


DC: Credo sia importante trovare momenti di confronto col- lettivo: non si deve delegare la ricerca di possibili soluzioni solo allo stato. Me lo ha fatto capire un libro di Giusi Palomba, “La trama alternativa”, metà romanzo, metà saggio, su un uomo alleato delle donne che esercita una violenza. La comunità decide di non consegnarlo alla giustizia, per iniziare invece un percorso di trasformazione.


LOI: Altri autori che consigli sul tema?


DC: Azzurra Rinaldi, che si occupa di gender gap in tema di lavoro ed economia, e Linda Laura Sabbadini, pioniera della raccolta dei dati di genere.

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