Women's rights: l'intervista a Giorgia
Da sempre voce della musica italiana, Giorgia Todrani in arte Giorgia, è stata spesso definita la Whitney Houston nostrana, ha pubblicato 14 album e venduto oltre 7 milioni di dischi. Ha iniziato a cantare “seriamente” già da giovane, ma la sua voce si fa sentire anche quando si tratta di temi di attualità. Sua mamma l’ha cresciuta con la voglia di lottare per la parità, e nel corso degli anni la cantautrice e l'interprete di Gocce di memoria, Vivi davvero, Tu mi porti su e Di sole e d’azzurro, in più occasioni ha parlato di femminismo gentile, schierandosi apertamente contro la politica italiana e le leggi discriminatorie nei confronti delle donne e della comunità LGBTQIA+. L’abbiamo incontrata per capire scattare una fotografia dell’universo donna in Italia, anche in vista della sua partecipazione alla 74esima edizione del Festival di Sanremo in qualità di co-conduttrice.
L’OFFICIEL ITALIA: Come vedi la situazione dei diritti delle donne in Italia?
GIORGIA: Io ho iniziato a lavorare negli anni' 90 e dal mio punto di vista sicuramente dei passi in avanti sono stati fatti, diciamo a livello di mentalità, di considerazione del ruolo delle donne, credo però ci sia ancora molto da fare. Perché la questione fondamentale sia culturale e di mentalità è molto più profonda e complicata da trasformare. Mi ricordo le battaglie degli anni’ 70, ci sono ancora delle scritte sui muri per Roma, il famoso femminismo per come è stato inteso, ovvero un atto aggressivo, era in realtà la richiesta di essere accettate in quanto donne. Ed era il minimo. Da secoli le donne si fanno carico della famiglia, fanno dei salti mortali per conciliare lavoro e figli, ma non ci si chiede quale sia lo sforzo fisico e mentale in questo senso, quasi come fosse scontato. Noi dovremmo lavorare proprio sulla sulla considerazione del ruolo della donna e della persona e quindi cercare di equiparare i diritti che hanno gli uomini. Certo il cambiamento grande lo si può fare grazie alle nuove generazioni e alla collaborazione di tutti i membri del nucleo famigliare, dove anche il papà, il compagno, condivide le responsabilità, questo rende la vita più facile a tutti, molto più equilibrata anche per i figli. In definitiva penso che rispetto a 40 anni fa sicuramente abbiamo conquistato maggiori diritti, ma non si può dire che siamo al 100% tutelate. Una donna che ha intenzione di fare figli viene assunta con maggiore difficoltà, non guadagna gli stessi soldi di un uomo a parità di ruolo, non bisognerebbe stupirsi se accade per qualcuno, dovrebbe essere assodato che l’eguaglianza è fondamentale. Vanno smantellate le convinzioni patriarcali, non togliamo nulla a nessuno, chiediamo solo quello che ci spetta in quanto esseri umani.
LOIT: Quando hai iniziato sei stata considerata diversamente?
G: Quando ho cominciato mi ricordo, entravo in studio e comunque ero percepita “solo” come la cantante, ero diretta dai produttori, dai tecnici che mi dicevano “mettiti lì e canta”. A poco a poco noi artiste siamo riuscite a cambiare le cose, ci siamo imposte. Oggi ci sono donne sia produttrici che autrici, padrone della propria vita magari contrattuale con una casa discografica. Per un uomo era automatico pensare che la canzone era stata scritta da lui, magari prodotta, che avesse fatto tutto da solo. La musica in generale non la si crea da sola, è fatta da un team in cui il cantante è coinvolto. Noi donne ci abbiamo messo di più a conquistare la nostra credibilità, sembrava ci fosse sempre qualcosa da dimostrare, da conquistare. Anche questo deve cambiare, se non vale dall'altra parte non deve valere neanche per noi, oppure deve valere anche per loro. Nessuna discriminazione a partire dal sesso e mi sento di dire, anche per chi vive diversamente la propria sessualità.
LOIT: Secondo te perché c'è uno stigma a parlare di violenza contro le donne e perché secondo te i racconti di chi ha subito violenza spesso non vengono capiti o minimizzati?
G: Secondo me parte dalla mentalità che dietro una violenza si celi una responsabilità da parte della donna che l’ha subita. La famosa frase “se l'è cercata” o “sicuramente la ragazza ha fatto qualcosa”. Questo è lo stigma. Penso che sia il rifiuto che una violenza, piccola o grande che sia possa realmente accadere all’interno di una società, che rifiuta il fatto che un uomo possa dire o fare certe cose. Ti faccio un esempio, ho recentemente visto questo film italiano intitolato “Educazione Fisica” di Stefano Cipani con Angela Finocchiaro, Sergio Rubini, Giovanna Mezzogiorno e Claudio Santamaria dove si parla di una violenza in ambito studentesco. I genitori di tre studenti di terza media vengono convocati nella palestra della scuola dalla preside. La preside ha da comunicare una notizia choc: una compagna di scuola dei loro figli li accusa di averla assalita, immobilizzata e stuprata proprio nella palestra in cui i genitori sono convenuti. E gli adulti passeranno dall'incredulità al desiderio di salvare i propri ragazzi ad ogni costo, screditando la vittima e negando qualsiasi responsabilità. I genitori di uno studente si interrogano, gli altri convengono che non sia possibile, che è un’invenzione della vittima. C’è una profonda negazione. Quindi io che ho un figlio maschio, mi sono immedesimata, e quindi per cercare di cambiare questo modo di affrontare situazioni spiacevoli, gliene parlo molto spesso, affinché capisca. Invece di affrontare e cercare di capire, c’è il rifiuto ad accettare il problema, perché comporta un cambiamento e l’essere umano il cambiamento fa fatica ad accettarlo, lo vive sempre come un problema, come un lutto. Molte cose continuano ad andare male perché si fa fatica a farle diversamente, un’avversione evolutiva e migliorativa di alcuni grandi tematiche. Poi nel nostro caso da italiani siamo un popolo che tende a dire “vabbè, poi vediamo no” e per certi versi è anche positivo, non siamo bellicosi, non abbiamo una natura tendente allo scontro, però mi viene da dire che è ora di prendere in mano la situazione, siamo un po’ lenti, siamo quasi pigri verso il cambiamento.
LOIT: Quali pensi sia il modo giusto per affrontare questa conversazione sulla condizione delle donne?
G: Credo che l'unico modo sia veramente parlarne, ma bisogna anche parlarne con garbo, perché se ne parliamo da arrabbiate si ottiene l'effetto opposto, anche se si tratta di un diritto e non di una richiesta. Volete che ne parliamo con amore? Ok ve lo diciamo con amore. Ci vuole sensibilità condivisa, in particolare se si tratta di una violenza. Perché quando una donna subisce violenza c'è una devastazione psicologica, fisica, psicologica, emotiva che va accolta non va messa in discussione. Abbiamo il compito di rendere questa conversazione un argomento che porta cambiamento e coscienza, non deve essere considerato un problema, ma deve essere capito lo sbaglio, il torto e la modalità con cui fronteggiarlo. Bisogna saper ascoltare, non mettere sempre in dubbio, serve anche smantellare il pensiero che certe attività siano solo appannaggio maschile, un concetto sedimentato nelle società da tempi immemori. Le streghe se ci pensiamo erano donne intraprendenti, con un bagaglio di conoscenze che erano sempre state nell’ambito da maschile, per questo erano osteggiate, punite e uccise. La società pensa che una quando una donna fa un lavoro da uomo lo fa bene, se lo fa anche come lo farebbe un uomo ancora meglio, e per me non è nemmeno così. Una donna dovrebbe poter svolgere qualsiasi professione con il valore aggiunto di poterlo fare a suo modo, con una prospettiva femminile. La famosa frase “una donna con le palle” non dovremmo usarla, non ha senso, una donna è tosta tanto quanto un uomo, ma deve poter rimanere donna, non deve trasformarsi per compiacere le aspettative della società e di nessuno.
LOIT: Parliamo anche della tua partecipazione a Sanremo. Potrebbe essere quella anche un'occasione per portare alla luce una conversazione su tematiche femministe?
G: Quest'anno il meccanismo della partecipazione alla conduzione sia diverso quindi non non ho sentito parlare di momenti di conversazione. Io sono profondamente convinta che dare l'esempio si più importante del fare un discorso. Non so se avrò tempo e modo di intavolare una conversazione sul tema delle donne, sul palco oltre ad Amadeus sarò affiancata da altre artiste e da Marco Mengoni, siamo tutti diversi e tutti diamo valore aggiunto. Confido nel fatto che con la coscienza e la consapevolezza sapremo portare un esempio concreto: il coesistere in armonia, uomini e donne, tutti. Questo è un bell'esempio secondo me.
LOIT: In passato hai dichiarato che tua mamma ti ha insegnato il femminismo gentile. Puoi spiegarci questo concetto?
G: Io sono nata e cresciuta in una famiglia di donne dalla parte di mamma, tre sorelle, una nonna che teneva in piedi tutto. Dalla parte di mio padre c'era una donna che teneva in piedi tutto, ma era esaltata di più la componente maschile del nucleo famigliare composto da sette figli, sei figli maschi e una femmina, quindi ho vissuto gli esempi di queste due famiglie, in cui le donne erano una forza della natura. Mia madre, anche grazie all'esempio di sua madre, mi ha con grande naturalezza fatto capire che le donne possono tutto, mi faceva leggere i romanzi di Virginia Woolf. Ricordo che non mi sono neanche mai interrogata sul fatto che la donna non potesse fare delle cose perché l’ho visto con i miei occhi: una mamma che lottava per i suoi diritti, che seguiva le battaglie del femminismo, che faceva i miracoli tra casa e lavoro. Lo definisco femminismo gentile perché non c'era la lotta dura senza paura, ma era un esempio di lotta senza paura, senza perdere la femminilità, senza non necessari indurimenti. Senza rinunciare all’essere donna, né ai diritti, ho avuto esempi di donne che non si sono mai date limiti solo perché la società glieli dava. Lasciando casa ho capito che non era così facile come mia madre mi aveva fatto credere che fosse, ho avuto nel mio percorso parecchie persone, uomini e donne, che mi dicevano che una certa cosa non la poteva fare. Io semplicemente ho reagito provandoci, perché la mia educazione mi ha dato la possibilità di capire che sono io l’artefice del mio destino e che essere donna non è un handicap.
LOIT: Quali sono le difficoltà che vivono le artiste donna?
G: Io penso alla apripista come Elisa che cantava e produceva anche i dischi, scrivendo i suoi testi, oppure Marina Rei anche che si sedeva alla batteria e suonava. Senza dimenticare grandi artiste come Patty Pravo, la figura ribelle di Loredana Bertè, un’icona come Mina che comunque hanno ricoperto ruoli diversi come artiste e non solo come cantanti, portando avanti la loro carriera e guadagnandosi quella credibilità senza paura. I modelli li abbiamo già avuti, però di piccole ritrosie se ne trovano ancora, come quando vuoi cambiare un pezzo e il fonico ti chiede diverse volte se sei sicura “sì sono sicura, perché non sono solo una cantante”. E poi c’è il tema dell’immagine oggi. Elodie che esercita la sua libertà di donna volendosi vestire come desidera, una libertà che però viene osteggiata, mentre nessuno va a dire a Damiano dei Maneskin “mettete una maglietta” quindi perché dobbiamo riservare ad Elodie un trattamento diverso? Perché mistificare il corpo femminile? Si fa spettacolo come l’artista desidera. Io mi ricordo quando nel 2003 realizzai un video per una canzone che si chiama “Spirito Libero” in cui ero piuttosto nuda rispetto al mio solito modo di apparire al pubblico. Il video era diretto da Luca Tommassini e non c'erano i social, ma mi massacrarono sui giornali, soprattutto i fans proprio perché non accettavano questo mio modo diverso di esprimermi. Questo cambiamento anche nell'immagine era comunque frutto di un momento anche di vita, di riscoperta della mia femminilità, di mettermi in gioco. Venne vissuto come un atteggiamento scandaloso, ma non era affatto così e se lo fa un uomo non viene toccato, ancora oggi, e anche sui social. Questo non può più succedere.
LOIT: Cosa si può fare per cambiare le cose?
G: Farle! Fare tesoro del passato, non ripetere gli errori, informarsi, educare alla conoscenza. Ho studiato storia con mio figlio, in particolare una lezione sulla seconda guerra mondiale e è venuto alla luce un pezzo di storia non particolarmente noto. Nel 1942 ci furono due mobilitazioni per portare le donne nella difesa aerea russa, che era completamente sguarnita. Da una parte c’erano le donne soldato e dall’altra le donne soldato pilota. Alla fine della guerra, oltre 121.000 donne hanno prestato servizio come artiglieri o serventi nell'artiglieria antiaerea e circa 80.000 in aviazione o in posti di scoperta e di osservazione. L'Unione Sovietica fu la prima nazione a consentire alle donne pilota di bombardieri di compiere missioni di combattimento, le chiamavano "streghe della notte". Nonostante il loro enorme contributo alla vittoria, in URSS solo una piccola parte ricevette delle decorazioni. Solo a 95 di esse venne assegnato la massima onorificenza di Eroe dell'Unione Sovietica, spesso postuma, solo dopo gli anni '60. Un’altro mondo che ha sempre avuto resistenza nei confronti delle donne è quello dello sport. Ora si vedono le ragazze giocare a calcio, allenatrici donne in qualunque disciplina, mentre prima c’erano solo gli sport “da uomo e da donna”. Qualcosa lentamente si muove, accade, quando non dovremmo più sottolinearlo vorrà dire che non ci sarà già bisogno di parlarne.
LOIT: Esiste lo spirito di sorellanza, o le donne sono le peggiori nemiche delle donne?
G: Noi donne viviamo sempre in gara, è inconscia l’idea di dover piacere, perché la società ce lo fa credere da sempre. Siamo spesso in competizione fra noi, per conquistare un posto, un traguardo perché altrimenti arriva un’altra, più bella e brava che me lo porta via. Questo modo di pensare va estirpato, perché il successo di una donna amplifica e getta le basi per il successo di un’altra. Dovremmo spalleggiarci, muoverci coralmente.
LOIT: Cosa significa infatti essere donna per te oggi? E ci sono delle canzoni tue o di altri artisti che ti piacciono, artiste che ti piacciono, che secondo te sono portatori di messaggi di sorellanza?
G: Ho partecipato ad una canzone scritta da Elisa due anni fa e che si chiama “Luglio” in cui cantiamo io, lei, Elodie e Roshelle. Il testo parla proprio di questo, cioè di dell'unione al femminile. E lo fa in una maniera molto dolce molto. Il messaggio viene portato non con aggressività ma con con amore. Da ragazza ho scritto questa canzone, prodotta da Pino Daniele, che si intitola “Che amica fai” ed era un modo per dare valore all'unione al femminile. Ci sono state altre collaborazioni molto belle e importanti, come con Laura Pausini, Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Fiorella Mannoia, Gianna Nannini dimostrando che queste credenze secondo cui tante donne insieme litigano sono solo dicerie create dagli uomini per dividerci. Non voglio generalizzare, però è un tema di interesse, di gioco di business che ci preferisce ognuna per la sua strada. Invece il confronto è bello, necessario e importante in ambito professionale, anche per darsi dei consigli, per cambiare il sistema perché funzioni meglio per tutte chiedendosi come ci si trova con un tale manager, team, casa discografica. Significa prendere in mano le cose, aumentare la propria presenza, farla sentire, aumentare il nostro potere che è più grande se siamo unite piuttosto che isolate.