By chance: Greta Esposito, Haroun Fall e Francesco Cavallo
Sono protagonisti di serie tv e nuovi volti del cinema italiano. Greta Esposito, Haroun Fall e Francesco Cavallo sono talenti da scoprire
Text by SILVIA FRAU
Photography FEDERICO DE ANGELIS
Styling LUCA FALCIONI
Ascoltandoli viene naturale pensare al caso. La zia che si fa dare le battute dalla nipote, il consiglio di calmare l’iperattività con la teatro-terapia o la mamma che iscrive il figlio a un corso di recitazione, invece che al solito campetto sportivo. È (solo) l’inizio delle storie di Greta Esposito, Haroun Fall e Francesco Cavallo. Ma per i tre nuovi volti della tv e del cinema italiano dopo viene lo studio, la volontà e il lavoro.
Insieme al divertimento e alla consapevolezza di poter essere se stessi ‒ sempre ‒, e allo stesso tempo, diventare qualcun altro. Allontanarsi, interpretando personaggi lontani dal proprio mondo e, in questi, ritrovare parti del proprio carattere. Fino a constatare come tutte le esperienze confluiscano, ognuna a suo modo, alimentando il proprio bagaglio. Tanto da pensare, forse in futuro, che il caso non esiste.
GRETA ESPOSITO
«Ho iniziato per gioco, mia zia faceva teatro dilettantistico, mi portava con sé, le “davo le battute” quando studiava le parti», inizia a raccontare Greta Esposito, ventenne. «Poi ho continuato a scuola e ho fatto parte nel coro del San Carlo fino ai 18 anni, è stato un periodo importante: il coro ti forma, ti dà disciplina, rispetto dell’altro, un atteggiamento che ho portato anche nella recitazione, che ho sempre visto in modo corale». Un’altra tappa fondamentale è la Scuola Elementare del Teatro di Davide Iodice «Per me rivelatrice. È un progetto anche con ragazzi speciali – come li chiamiamo noi –, con patologie, basata sulla diversità. Davide mi ha insegnato quello che è l’arte, che è condivisione, stare insieme, incontro». Un insegnamento che si è rivelato fondamentale per interpretare Antonietta, nel “Commissario Ricciardi” di Alessandro D’Alatri e Nico, la protagonista di “Mental” di Michele Vannucci, in onda su RaiPlay, entrambe giovani con patologie. «È stata una fortuna trovare registi che non volessero una visione stereotipata. Nico ad esempio è una ragazza schizofrenica ma è anche tante altre cose. Iodice, diceva sempre, “sii quello che sei, senza timore di doverlo educare, storpiare”, e questo c’è in ogni personaggio, ci sono sempre io. Volevo ci si potesse “riconoscere” nelle sue forze, debolezze, fragilità, che non fosse solo la sua malattia». Una storia totalmente diversa quella di “Qui Rido io”, di Mario Martone, dove interpreta Maria Scarpetta, figlia illegittima (amatissima) di Eduardo Scarpetta, attore e commediografo napoletano. «È stato un processo lento, Mario Martone mi ha chiamato per fare delle letture. E mi diceva “Guagliò, non è che ti ho preso, non ti ho preso. Sono provini”. Io stavo li e leggevo, poi lasciavo il copione e tornavo a casa. Attorno a me c’era Toni Servillo, Maria Nazionale, Gianfelice Imparato... Una sera chiama Toni e gli dice “Toni, c’aggià fa, a’ vo como fija a questa? E lui “Chella è proprio a’ figlia mia”, a quel punto mi disse di prendere il copione e metterci il nome. Mi sento immensamente grata nei confronti di Mario. Avevo 19 anni, non è scontato che ti capiti una occasione del genere». Dopo “Qui Rido io”, girato tra Napoli e Roma, Michele Vannucci la chiama per “Delta” e la porta in un luogo lontano, diverso, quasi straniante. «Sono rimasta quasi tre mesi sul Delta del Po: stavo con i pescatori, andavo alle aste del pesce, al mercato. Ho conosciuto un pescatore anziano, Panizza, che stava sull’argine di un canale, mi disse “sto qui e guardo”. Non lo capivo. Dopo cinque settimane lì, eravamo a Pomposa – l’unico paese era a un’ora e un quarto a piedi – iniziai a capire. A capire il silenzio, il territorio. Quando ho visto il delta del Po ho pianto». Nel film Greta interpreta una guardia ittica ambientalista – «nella vita reale non lo sono così fortemente, in modo tanto etico» –, sorella del personaggio interpretato da Luigi Lo Cascio. «Ho cercato di non pensare “oddio sto lavorando con Luigi Lo Cascio”, ma che bello lavorare con, e a stare in ascolto, cercare di “rubare” (in senso positivo) il mestiere. Non sentire il peso di un attore (lui è immenso) ma imparare. Abbiamo avuto modo di conoscerci, alla fine ci abbracciavamo e litigavamo davvero come due fratelli. Michele Vannucci, crea rapporti autentici». E la vita fuori dal set? «Studio, faccio l’università, conto di laurearmi per settembre. Oggi è una giornata di sole pazzesca, faccio le camminate, vado al mare, amo l’estate, sono un pesce, sto in ammollo per ore. E poi mi piace leggere, i miei amici di sempre, sono una ventenne. Mi piace tanto la mia normalità».
HAROUN FALL
Anche per Haroun Fall, 25 anni, origini italo-senegalesi, tra i protagonisti della nuova serie “Zero”, in onda questo aprile su Netflix, almeno inizialmente, ha scelto il caso. «Da piccolo ero iperattivo e mi era stato consigliata la teatro-terapia. Quando in terza media ho interpretato uno dei Bravi dei Promessi Sposi alla recita era presente una docente del liceo teatrale del Nuovo di Torino, l’unico in Italia che oltre alle materie curriculari fa canto, dizione, voce, recitazione, danza... Mi disse che avevo talento, di fare una audizione. Provai». Cinque anni – «sei causa una bocciatura in condotta» – dove si forma e inizia a prender parte a produzioni, spettacoli. «Avevo passato il provino per l’accademia del musical di Bologna, ma decisi di andare a Roma, mi presero al Centro Sperimentale, diretto da Giancarlo Giannini, dove studiai tre anni teatro e cinema. Da allora, d’accordo con il mio agente, partecipo anche a provini “fuori ruolo”, sapendo che quel personaggio – per sceneggiatura e fisionomia fisica –, non è pensato per me. Il mio obiettivo come persona, attore e artista, è di dare un volto a dei personaggi che non sono convenzionali; penso a quello che ha fatto Quentin Tarantino in “Django” con Jamie Fox, il periodo storico non era adatto a raccontare una storia di afro discendenti. Vorrei portare in Italia l’idea di essere un attore nero inseribile in qualsiasi contesto, interpretare un medico, un avvocato... A livello socio-culturale vediamo le persone di colore quasi solo come migranti. Vorrei creare un immaginario diverso. Sono un ragazzo di seconda generazione, mia mamma biologica era italiana, mio padre senegalese. Ma il mio ceppo culturale è italiano, ho vissuto, studiato, mi sono formato qui». Una identità che diventa sempre più importante. «Fondamentale. Prima fare l’attore era un gioco, negli ultimi anni è diventato serio e complesso. E se posso con il mio lavoro dar voce a queste istanze lo faccio, come nel contesto del Black Lives Matter, quando ho parlato in piazza del Popolo». Dar voce, visibilità, è anche l’argomento di “Zero”, la serie Netflix in uscita il 21 aprile. «Parla di un ragazzo che ha il potere dell’invisibilità; questo gli permette di vedere le cose sotto un’altra prospettiva. Zero è una persona che non considereremmo, è un “portapizza”, ma tramite il contatto con Sharif, il mio personaggio, e agli altri della crew riesce a riscoprire i valori di amicizia, amore e del posto in cui vive, il quartiere della Barona di Milano». L’altro film a cui Haroun (su Instagram è Herry) ha lavorato è “Space Monkeys” di Aldo Iuliano con Souad Arsane, ma qui aleggia il mistero. «In entrambi i lavori il direttore della fotografia era Daniele Ciprì, un onore lavorare con uno dei più grandi maestri del cinema a livello fotografico. E una grande crescita, ci ha insegnato come utilizzare il nostro corpo a favore della luce». Haroun ha una visione molto seria del mestiere di attore: «Molti la fraintendono con una visione pop, di immagine.
Ma l'attore è una persona che lavora, che deve avere una preparazione culturale, non lo fa per essere riconosciuto. Penso a Gassman, Sordi, Mastroianni, a Denzel Washington». Tutti attori che, «sono ricordati per i loro personaggi, per l’impegno a livello morale, artistico, sociale», e questo è anche il suo ideale. «E poi voglio ricordare da dove vengo, nessuno mi ha regalato niente, da piccolino ho avuto una vita complessa, poi ho incontrato i miei genitori adottivi che mi hanno illuminato, dato la possibilità di sperimentare. Ma non voglio dimenticare la fame che ho avuto di fare cose e l’umiltà. La grinta e la tenacia di quando non sapevo quali strade ci fossero. “Zero” rappresenta un momento storico, non era mai successo che in Italia ci fosse un cast quasi tutto nero, mi fa piacere averne fatto parte; ma per me non è l’arrivo, ma l’inizio». Un progetto unico, «dove si è creato un rapporto familiare, un legame. Siamo stati tre mesi in hotel, quando abbiamo iniziato a girare volevamo tutti fare qualcosa di unico».Nel futuro sogna anche palcoscenici all’estero, recitare live al National Theatre o il Barbican di Londra. «Dal 20 aprile sarà trasmesso on line dal Global Theatre Romeo e Giulietta, la rivisitazione in chiave moderna, io ve lo consiglio».
FRANCESCO CAVALLO
«Al laboratorio teatrale, da piccolo, nemmeno ci volevo andare, mi aveva iscritto mia mamma». Francesco Cavallo, attore ventitreenne di Caserta, racconta che poi, «ci sono rimasto fino ai 18 anni. Era un gioco, mi divertivo, mettevamo in scena tante cose. Quando mi sono trasferito a Roma per studiare ho iniziato a sentirne la mancanza. E ho deciso di fare il concorso per il Centro Sperimentale di Cinematografia, la selezione è molto dura ma sono passato. E ho capito che è quello che volevo fare, anche se inizialmente mi spaventava l’idea di un mestiere poco inquadrabile». Sono arrivati quasi subito due film importanti. «E due personaggi complessi, estremi, lontani». Nel film “Mio fratello mia sorella”, di Roberto Capucci, Francesco interpreta un ragazzo con una patologia psichiatrica. «Ha bisogno di cure, che rifiuta, ed è una situazione che logora la famiglia, dove arriva lo zio, interpretato da Alessandro Preziosi. È una storia quotidiana, di come si affrontano le difficoltà, e tocca un tema spesso dimenticato». In “La Scuola Cattolica” (tratto dal romanzo di Edoardo Albinati vincitore dello Strega 2016 sui delitti del Circeo), «il mio personaggio è complesso, ambivalente, spiazzante. Una sfida attoriale complessa, nella quale ho dovuto fare i conti con lati repressi del carattere. Stefano Mordini è un regista che fa crescere. Ti spinge agli estremi: diceva: “Vi dovete sentire sull’orlo di un precipizio, e vi dovete buttare, perché ci sono io che vi prendo”. Una esperienza travolgente, non posso dire troppo del personaggio, ma è parte della borghesia degli anni ’70, rappresenta il fallimento di una certa educazione borghese di quegli anni. È un ragazzo deviato, l’educazione che era riservata all’élite su di lui non ha dato frutti sperati, ma anzi effetti catastrofici. Un film duro, violento, crudo», con un cast importante. «Sono orgoglioso di aver lavorato con Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca e Fabrizio Gifuni. Ognuno di loro mi ha arricchito e spronato, ed è stato un privilegio vederli recitare». Anche l’esperienza della scherma, che pratica come sport, è importante: «La scherma ti abitua a stare sempre all’erta, a tenere occhi e orecchie aperti. Come la recitazione: devi stare in ascolto di chi ti sta davanti, è così che non si finge, che non si rischia di diventare falsi. Come quando sei in pedana non puoi abbassare la guardia, non puoi pensare ad altro, devi esserci, in quel momento, con chi è in scena con te». E il teatro? «Spero di continuare a farlo, ne ho parlato anche con Preziosi, lui si ritaglia tempo per farlo, è il suo paradiso. Il teatro non ha una rete di salvataggio, per l’attore che vorrei essere è linfa vitale, vuol dire affrontare il rischio e ti spinge a dare il massimo». Che tipo di attore vorresti diventare? «Uno che riesce ad abbandonarsi al personaggio – riprendendo quanto ci chiedeva Mordini –, alle sue problematiche, a quello che non sei tu, e ad esserne geloso. Diventare qualcosa lontano da te». E cosa non dimenticare? «Ci penso spesso. Il nostro mestiere è frenetico, prima di andare in scena mi chiedo “sarò all’altezza”, spero di chiedermelo sempre, di avere sempre quel dubbio».
HAIR Giulio Ordonselli
MAKE UP Adelina Popa
FASHION ASSISTANT Chiara Fioravanti
PHOTO ASSISTANT Ignazio Nano.