Interviste

#TalkingWith Vincent Peters

10Q al fotografo di moda
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The Last Diva, è stato il suo ultimo lavoro sul numero The Statment Issue de L'Officiel italia n° 30. Maestro della fotografia analogica, Vincent Peters è capace di catturare con intensità e introspezione qualsiasi soggetto, filtrando l'aspetto più psicologico e senza tempo. Nel suo portfolio fotografico si possono trovare i ritratti di John MalkovichMilla Jovovich e Emma Watson, tutti rigorosamente in black and white, firma distintiva di Peters.

Qual’è stato il tuo primo approccio alla fotografia? 
Per essere onesti sono stato cacciato dalla scuola all’eta di 16 anni e per tenermi lontano dalle strade ho iniziato a lavorare come assistente a dei fotografi. A 19 anni mi sono trasferito a New York per fare assistenza lì.

Il tuo bianco e nero ha segnato la storia, qual’è il potenziale di non usare la quadricromia? 
Nella fotografia devi usare gli elementi per dire qualcosa di te stesso e del soggetto, per me la luce definisce una buona immagine, e racconta la storia che voglio raccontare. C’è la fragile bellezza della malinconia, come per una canzone. 

Le atmosfere delle tue foto richiama il fascino di altri tempi, quali sono le tue principali ispirazioni?
Si, mi rendo conto che le mie immagini preferite hanno qualcosa di senza tempo. Io amo la fotografia di strada del 1950, ’60 ma amo anche le personalità dei film italiani e francesi dell’epoca.

Il tuo occhio è capace di catturare immaginari intimi e introspetivi, com’è nato il tuo gusto estetico? 
Nella fotografia il conscio incontra l’inconscio, nella veloce azione di scattare una fotografia affronti e impari a conoscere te stesso. Quello che intendo dire è che guardando le mie immagini io capisco me stesso meglio e da dove vengono le mie storie.

So che stai preparando il tuo prossimo libro personale, quanto è importante per te l’approccio psicologico e l’intensità interpretativa tra soggetto e fotografo?
L’approccio psicologico è molto presente nel modo in cui ci presentiamo attraverso o con un'immagine. E' tutto ciò che abbiamo sperimentato che entra in un'immagine o come vogliamo che un'immagine di noi stessi sembrasse. Entrambe le parti si incontrano sulle proprie esigenze e aspettative, questa è la dinamica interessante di un servizio fotografico. 

Tu scatti fotografie in analogico, quanto è importante per te il processo di sviluppo? 
É una preferenza molto personale, non posso contare sulla qualità e sul processo delle fotografie digitali, ne vedo il vantaggio, ma non la connessione emotiva con me come per la fotografia in pellicola. Come la musica dal computer, è come se mi mancasse qualcosa.

Cosa pensi sul format dei social network? 
È la droga sfortunata per la società ossessionata dalle celebrità, in cui tutto si misura in numeri e popolarità, ma è un gusto di mercato di massa e uccide l’idea che la qualità non è piaciuta da tutti per avere importanza.

Come ti relazioni con le tue fotografie? Sei critico?
Io le odio, soffro, penso che io sia il peggiore poi penso che sono ok… penso di aver bisogno di continuare. Tutto in 20 minuti.

Charlize Theron, Monica Bellucci, Vincent Cassel… Quando hai realizzato che c’era una svolta nella tua vita? 
Mi rendo conto solo guardando indietro di quanto sia stata una cavalcata. Il mio lavoro è come un lungo matrimonio che ha passato del bene e del male. Vengo da una piccola città in Germania, non ho ricevuto un educazione in nessun ambito ma sono ancora grado di amare quello che faccio. 

In un mondo pieno di copie e difficile definire l’autenticità, quale pensi che sia il tuo contributo in ambito fotografico che caratterizza le tue fotografie? 
Avere il coraggio di cercare qualcosa di unico all'interno di un sé stessi e cercare di mostrarlo con tutte le emozioni che si connettono con gli altri là fuori. Questo per me è il contributo più significativo che possiamo dare. 

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