#TalkingWith Daniel Beckerman fondatore di RETROSUPERFUTURE
Visione lungimiranti e idee chiarissime. Daniel Beckerman fondatore di Retrosuperfuture ha rimescolato le regole dell’universo eyewear. I suoi occhiali progettati insieme al direttore creativo Sean Michael Beolchini sono stati indossati da star internazionali come Keanu Reeves, Maluma e Yoko Ono. "Non mi sarei mai immaginato tutto questo, ma lavoravo per quello. Tutta la parte di comunicazione del brand non esisteva nel mondo degli occhiali: ci siamo spinti in là, avevo molti conoscenti che erano piccoli musicisti e ho iniziato a regalare i pezzi. Abbiamo lavorato con Elton John, Kanye West li ha messi per sei mesi di seguito, poi JK Rowling.." ha raccontato Daniel. A lui si deve l’introduzione delle collaborazioni nel mondo dell’eyewear.
Cosa significa Retrosuperfuture? Come hai iniziato con il mondo degli occhiali?
Semplicemente mi piaceva l’idea di avere un brand che si chiamasse Super. Mentre retro è stato il nome di un articolo di moda che scrissi per PigMagazine. Rappresenta ciò che siamo: contaminazioni passate e future unite da una parola, Super.
Ho notato che siete molto attenti all’estetica e alle tendenze: cercate di trainarle, anticiparle…
Questo è alla base del dna del brand. Quando iniziai a pensare di creare un brand di occhiali, lo feci perché notai nel mondo dell’eyewear, la mancanza di un marchio di riferimento: c’erano tanti sporadici design e prodotti ma mai un progetto e una linea di comunicazione concreta e diretta. Vidi il gigante buco nel mercato e parlando anche con i vari parenti, amici, stylist con cui lavoraro, scoprii che andavano a comprare gli occhiali nei mercatini, vecchi modelli, magari anche di brand importanti ma tutti di collezioni passate. Ho iniziato quindi a studiare molto la situazione e il mercato, non sapevo nulla, sono partito da zero: ho trovato i produttori, i distributori e poi ho disegnato le prime linee. Tutto è Made in Italy: all’inizio è stato una scelta quasi obbligata, il paese a quei tempi non se la passava benissimo e la manifattura era stupenda: unendo le due cose mi è venuto naturale scegliere questa opzione. Nel tempo poi mi sono affezionato e ora faccio di tutto per mantenere la produzione qui. Feci la mia prima fiera a Berlino e da lì è partita un’avventura pazzesca che mi porterò per sempre nel cuore. Dopo un anno ero a casa di Kanye West a New York. Abbiamo iniziato in un interrato e vedere i tuoi occhiali sparsi in giro per il mondo, indossati dalle persone più svariate è incredibile, anche quando i brand grossi riprendono il tuo lavoro, mi lusinga.
Come hai vissuto le prime imitazioni? Quando un brand prendeva spunto o reinterpretava un tuo modello, ti infastidiva?
Inizialmente sì, poi me ne sono fatto una ragione, se affermiamo di avere nel nostro DNA una forte ricerca sui trend, è inevitabile che verremo ripresi.
Sentirsi lusingato come dici tu è la cosa migliore. Sono dell’idea che se una persona ha grandi idee, le avrà per tutta la vita..
Sono d’accordo. A volte è capitato che anticipavamo troppo le tendenze e i trend esplodevano alcuni anni dopo.
Hai prima citato Kanye West... Che rapporto hai con lui?
Kanye è incredibile. Puoi avere qualsiasi opinione su di lui ma non si può negare che abbia aiutato in modo trasversale un sacco di brand: tanti hanno collaborato con lui e hanno fatto moltissima strada, guarda Virgil Abloh, Fear of God… Mi ricordo che mi scrisse la sua agenzia che se fossi passato da NYC Kanye mi avrebbe incontrato con piacere. Io avevo risposto che sarei stato in città nel giro di qualche settimana. Mi sono ritrovato a casa sua senza neanche sapere come potesse essere accaduto, considera che 10 anni fa, lui era uscito con Stronger insieme ai Daft Punk e stava iniziando il fenomeno Kanye. Una volta a casa sua ci siamo visti diverse volte, abbiamo sviluppato una capsule collection insieme anche a Virgil e Don C. Lavorare con tutti e tre è stato quasi surreale, abbiamo lavorato per il loro brand Pastel, purtroppo la collezione non è mai uscita alla fine, ma fu creata ed era pazzesca.
Avete davvero collaborato con tantissimi brand: Sunnei, A-Cold-Wall, Off-White, Marcelo Burlon… ti piace combinare la tua visione con quella degli altri?
Le collaborazioni sono molto divertenti e ti aiutano a espandere i tuoi orizzonti. Ti permettono di avere una finestra su altri territori di cui magari non sei esperto. Le co-lab nel mondo dell’eyewear le abbiamo introdotte noi, dieci anni fa non esistevano: la prima l’abbiamo fatta nel 2008 con Alife. È stato come scrivere le regole di un gioco.
Se potessi scegliere con chi realizzare delle co-lab, che nome faresti?
Premetto che sono molto soddisfatto di tutte quelle che abbiamo realizzato. Mi farebbe molto piacere lavorare con Kanye West, per me sarebbe come un "ritorno alle origini" ed è una cosa personale, non di business.
Non è affatto banale abbinare due visioni per arrivare a un prodotto unico, adesso è qualcosa che diamo per scontato, tutti producono collaborazioni, ma al tempo non era nella nostra quotidianità..
Vero! Era un territorio totalmente sconosciuto e i brand erano entusiasti. Non cerco di collaborare solo con grandi brand, anche con i più piccoli e di nicchia: l’obiettivo è comunque, quello di contaminarsi a vicenda, unire le idee.
Come si sviluppa il processo creativo per gli occhiali?
Bisogna innanzitutto specificare che dal concetto all’occhiale fisico, c’è tutto un processo molto specifico. Noi siamo in perenne ricerca, io ho cercato negli anni di affiancarmi a una squadra (di cui mi fido al 100%). È una ricerca costante, siamo sempre alla continua ricerca di informazioni, è la base per conoscere il mondo che ci circonda ed è tutto un lavoro di condivisione. Dopo ci concentriamo sul mood della collezione, sviluppiamo tutti i modelli, il processo è simile alla moda.
Penso che siete posizionati esattamente in uno scompartimento che prima non esisteva..
È proprio quello su cui lavoriamo. È sempre stato il nostro obiettivo primario. All’inizio ero frustato perché notavo l’esistenza di due grosse correnti: ciò che viene repotato commerciale e la nicchia. Io mi sento molto in mezzo, ho sempre voluto costruire qualcosa di figo, esteticamente bello, ma che funzionasse per le vendite.
Cosa mi dici della collaboration con The Andy Warhol Foundation?
Era uno di quei progetti un po’ “tricky”, il rischio era quello di cadere nel banale. Dopo un viaggio a New York, siamo riusciti a trovare negli archivi dell’artista opere spettacolari, tra cui un disegno di Warhol originale di un paio di occhiali. Abbiamo ripreso quei quattro disegni e abbiamo creato gli occhiali che l’artista non fece in tempo a realizzare. Oggi sono in vendita anche nello store del MOMA.
Come si combina il tuo eyewear con il dress code dell’uomo contemporaneo?
Per darti un'unica risposta: versatile. Sono un po’ distaccato dal fashion system, mi interessa perché fa parte del mio lavoro e se c’è qualcuno che si esprime in modo interessante io lo studio. Voglio fare un occhiale che sia molto versatile, provocatoriamente ti dico, “un occhiale per tutti”. Vogliamo essere un brand che tu possa essere fiero di indossare, che cura il design moltissimo. Non c’è distinzione tra uomo e donna, facciamo occhiali unisex, alcuni modelli hanno un’espressione più femminile che stanno da dio sull’uomo e viceversa. Per me l’uomo contemporaneo deve avere questo tocco femminile, è un twist che ti rende più sensibile e in un certo senso più credibile.
Hai mai pensato di estendere la tua linea su accessori?
Sempre, ci penso costantemente. Impariamo molto dalle nostre collaboration. In passato abbiamo collaborato con Vans e abbiamo impartato moltissimo. Recentemente per la nostra camicia con Woolrich, un marchio storico che ha tanto da dire, reso da noi in una versione più rough.
E i vostri store invece? Dove si trovano?
Il primo che abbiamo aperto è stato quello di NYC. Lavoriamo molto sull’online, ma i negozi sono stati una esperienza formidabile. Siamo una community, e sono venuti a trovarci chiunque, perfino i Duft Punk. Noi a NYC siamo quasi di casa.