Interviste

New Frontiers: l'intervista a Cecilia Bortolazzi di Boredom Ravers

La fondatrice di Boredom Ravers racconta la sua visione, i suoi distintivi e la sua ultima collezione "Amarsi Tuttə". 

Cecilia Bortolazzi fondatrice di Boredom Ravers
Cecilia Bortolazzi fondatrice di Boredom Ravers

«Fare scelte che aiutano a muovere la moda verso orizzonti consapevoli» è il mantra di Boredom Ravers, marchio italiano fondato nel 2021 da Cecilia Bortolazzi con sede a Verona. Le sue collezioni si strutturano con pezzi unici in chiave genderless, circolare e sostenibili con tutti tessuti, provengono da over e dead stock di aziende italiane. Quando si parla con la fondatrice e direttrice creativa Cecilia, si percepisce subito la sua personalità schierata. A supportare l'ardore creativo ci sono le sue argomentazioni, mai banali, dirette che la spingono a dare il massimo con la speranza di agitare e smuovere le masse. Perchè come dice la fondatrice: «I vestiti possono sfidare concezioni e stereotipi di cultura».

Quando ti sei accorta di avere attenzione per il fashion system?
Penso di dovere tanto a mia nonna materna, era una sarta pazzesca. Sono cresciuta con lei, in una casa piena di amiche, clienti, macchine da cucire e abiti da sdifettare. A tre anni quasi compiuti mi faceva chiudere gli occhi e mi dava in mano tessuti di cui dovevo riconoscerne la texture. Mi ha educato, inconsapevolmente alla moda e al suo sistema. Ha saputo leggere la mia instabile attitudine alla protesta, alla liberazione e al diritto. Posso dire di aver imparato, tramite la sua sensibilità, a nutrire la mia e a comprendere che la moda e i vestiti potevano essere il mio canale per divulgare messaggi sociali e liberi: progettare abiti è meraviglioso perchè coincide con l’azione.


Scorri verso il basso per scoprire l'intervista di Cecilia Bortolazzi fondatrice di Boredom Ravers

clothing apparel person human shoe footwear sitting
"Amarsi Tuttə" la collezione di Boredom Ravers

Come mai il tuo marchio si chiama Boredom Ravers?
È nato dentro un viaggio in Sardegna poco più di un anno fa, volevo dare un nome e una forma a un’intenzione. E lì l’ho trovata, un’ antinomia: Boredom vs. Ravers. Sono attratta e appassionata di sottoculture e credo che la rave culture abbia radicalmente contaminato ed elargito al tessuto sociale messaggi di liberazione ed inclusività. Ed è proprio quello che voglio fare attraverso i vestiti: divulgare messaggi etici e urgenti. Seguendo e rispettando le ombre di chi, prima di noi, facendo moda ci ha traghettati fino a quì.

Qual è il tuo posizionamento? 
Cosa c’è di più figo di poter vestire tutti i giorni quello che si vorrebbe dire o suggerire a se stessi o agli altri? Credo da sempre che non esista canale di manifestazione e veicolo di comunicazione più efficace di moda e design per trasferire un messaggio attivo ed influente. La moda è davvero una delle poche cose insieme al cibo di cui, volenti o non, facciamo uso tutti i giorni. 

Chi sono i tuoi maestri o i tuoi marchi di riferimento? 
Sono piena di spiriti giuda. C'è un concetto, che mi ripeto tutti i giorni come fosse una preghiera, è di Rei Kawakubo: «For more than forty I've been making clothes I have never thought about fashion». 

clothing apparel person human sleeve skin
clothing apparel person human flooring dance pose leisure activities
"Amarsi Tuttə" la collezione di Boredom Ravers

"I vestiti riescono ad essere davvero potenti. Quando quello che hai addosso coincide con quello che sei, si arriva ad un punto in cui potresti risultare addirittura nudo"

Da dove provengono le tue ispirazioni? 
Ho un feticcio per i collage, per la ricerca d’immagini e per i modi di dire “all’italiana”. Le mie ispirazioni sono tangibili, in costante processo e mi do sempre la regola di non lasciare sottinteso quello che mi ispira. Ciò che da sempre mi piace giustapporre nei moodboards è diventato il mio canale per comporre textile prints. Non tengo nulla per me, quello che vedo, lo devono vedere tutti. 

Quali sono i distintivi della tua pratica creativa?  
Quando lavoro per me o per altri non penso tanto al corpo, o alla costruzione di un abito su di esso, quanto alla costruzione di significati che possono influenzare azioni e concezioni e come questi, con delicatezza, possano sfidare gli stereotipi di cultura. Fare moda, non significa fare interventi a cuore aperto. Divulgare messaggi etici, inclusivi e sociali significa raccontare la realtà e avere un brand indipendente ed emergente da la possibilità alle nuove generazioni di vestire consapevolezza. 

Come funziona il tuo modus operandi?
Non nasco designer. Mi piace da sempre parlare tramite immagini, e credo che la moda abbia anche questo compito: essere un mezzo per parlare al mondo dei suoi stessi problemi. Cerco di fare tutto questo umilmente tramite la grafica, cerco di chiarirmi e di chiarire le idee sul presente giustapponendo istanze contemporanee a claim, immagini retrò e detti provocatori. Voglio dare la stessa attenzione alla ricerca, al consumo e alla scelta di tessuti di qualità: provengono tutti da giacenze e rimanenze di magazzini Veneti o Lombardi che stracolmano di rotoli abbandonati per metrature “eccessivamente ridotte”.

Raccontami la tua ultima collezione "Amarsi Tuttə"..
"Amarsi Tuttə" è nato da un’esigenza presente. Penso che quello che stia accadendo abbia portato tutti a riflettere in termini di tolleranza, paura e violenza. Mi sono fatta delle domande e mi sono data un’unica risposta. Cercavo un messaggio unico, risolutivo e pacifico. I capi della collezione sono il riflesso di tutte le fasi del processo di metabolizzazione riferito al concetto di paura. Amarsi Tuttə, nel 2022, dovrebbe essere l’unica risposta ad ogni minaccia volta all’odio, alla discriminazione, all’esclusione e alla prepotenza. La paura, primo sentimento generatore di dolore può essere sconfitta tramite un pensiero aggregante e di speranza.

Scorri verso il basso per scoprire l'intervista di Cecilia Bortolazzi fondatrice di Boredom Ravers

person human patient therapy
clothing apparel bikini swimwear person human female
"Amarsi Tuttə" la collezione di Boredom Ravers

Hai mai pensato di abbinare il tuo lavoro con qualche altro marchio? Con chi ti piacerebbe collaborare? 
Gli intrecci creativi che si possono impastare tra moda e moda, arte e moda stanno sicuramente dettando presente e futuro ed è inevitabile che un designer sogni o ragioni su questo: con Undercover e Marni si costruirebbe un discorso ironico, provocatorio ed etico fatto di immagini e collage. Con Paloma Wool mi piacerebbe farci una performance. 

Come riesci a conciliare il tuo marchio con la tua agenzia? 
Questo, probabilmente, è il tassello più difficile e più bello da incastrare nel mosaico di vita.  Essere una freelancer e una designer contemporaneamente mi da la possibilità di guardare alla creatività da prospettive diverse. Affronto queste vie parallele con lo stesso spirito: combatto per le mie idee e comunico creativamente per la Cultura. 

Quali sono le soglie di miglioramento e le difficoltà per un marchio green? 
Ci vorrebbe un’enciclopedia di preparazione. La fortuna è che mi sento vergine. È più facile concepire un brand e il suo processo di produzione in termini di sostenibilità quando non si proviene da abitudini contrarie e diametralmente opposte a questa. Ci vuole cura, attenzione, determinazione e soprattutto il supporto di attività per mantenere i processi di produzione circolari e che riducano l’impatto ambientale è possibile, e lo sarà sempre di più. La difficoltà, per brand emergenti come Boredom Ravers, sta nel sostenere i costi che la produzione circolare comporta. 

Boredom Ravers
"Amarsi Tuttə" la collezione di Boredom Ravers

Quali saranno i tuoi futuri traguardi? 
Boredom Ravers è nato da non appena un anno e ad ora gli obiettivi che ci stiamo dando tutti i giorni sono quelli perpetuare nella condivisione e nella comunicazione di istanze vive e attive. Per le prossime stagioni c’è sicuramente il proposito di aprire il ventaglio di tipologia di prodotto dando particolare attenzione alla ricerca di materiali leftovers di qualità concretizzando un progetto sociale a cui stiamo lavorando. 

Qual è la soddisfazione più grande del tuo lavoro?
Dal mio punto di vista sta nel vivere questo tempo critico e tortuoso. Sono convinta che quella che stiamo affrontando è una rivoluzione meravigliosa. Sapere che con me esistono tante e diverse persone che provano a loro volta ad abbattere meccanismi e abitudini tipiche della generazione a cui appartengono i nostri genitori è motivante. Fare del mondo un posto migliore non è un ideale, è un diritto. Per poterlo fare deve sussistere in noi, in me, l’idea che tutto quello che facciamo deve avere una ragione.

Tags

Articoli consigliati