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Cos’è l’omakase e perché è un’esperienza da provare

Una degustazione senza pari, dove affidarsi completamente alle mani dello chef. Ecco che cos’è l’omakase e dove provarlo.

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La fiducia è un sentimento con cui, in piena sicurezza e tranquillità, si confida nelle capacità altrui affidandosi totalmente, senza remore. Si tratta della premessa essenziale quando si decide di provare l’esperienza dell’Omakase: un menu degustazione dove tutto è in mano allo chef che, per qualche ora, decide le sorti culinarie dei commensali che siedono di fronte al suo banco.

La traduzione letterale della parola è infatti “mi fido di te” ed è la stessa che, in Giappone, gli estimatori di sushi esclamano non appena siedono nei tradizionali sushi bar. Luoghi dove non esistono menu predefiniti e spesso, per entrare, è necessario essere introdotti da qualche habitué. Questo perché il rituale dell’Omakase è un’esperienza basata sulla relazione diretta tra chef e ospiti, seduti in prima fila a osservare ogni movimento del sushi master, respirando i profumi provenienti dalla griglia sumibiyaki.

Il rituale dell’Omakase

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Masashi Suzuki

Da tradizione, per l’Omakase non esistono dei menu predefiniti e la selezione di portate può cambiare anche giornalmente, in base alla disponibilità di materie prime. Da IYO Omakase, aperto nel 2019 a Milano dall’imprenditore Claudio Liu, si possono accomodare solamente 7 ospiti alla volta, immergendosi in un rituale che segue lo stile Edomae, tipico di Tokyo e focalizzato sul freschissimo pescato del giorno.

Lo chef Masashi Suzuki per prima cosa inizia con un benvenuto (detto sakizuke), per poi passare agli assaggi chiamati zensai, una selezione di sashimi, una zuppa e un piatto di pesce. I nigiri vengono serviti singolarmente, andando da quelli con sapori più delicati, fino ai più spinti, per poi terminare con il dessert, la cerimonia del tè e un brindisi finale con le tipiche bevande fermentate e i distillati giapponesi.

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Iyo Omakase

La sala dedicata alla degustazione ha ampie vetrate da cui si scorge lo skyline di Milano, con la luce del sole che pian piano lascia il posto alla sera. Il banco diventa un palcoscenico, in cui lo chef e il suo braccio destro si abbandonano a movimenti delicati e armoniosi, seguendo una dolce danza, al ritmo della musica prodotta dagli ingredienti e dagli strumenti di lavoro. Come il pesce, attraversato da bacchette metalliche che finiscono sulla griglia o le moeche che, quando è stagione, sfrigolano nell’olio e rompono il silenzio solenne dei commensali accomodati al banco. Ogni chef ha il suo stile, e il sushi master di Iyo Omakase, ama alternare momenti di racconto ad altri di riflessione, per permettere a tutti di godere appieno dell’esperienza.

Insieme ai piatti di Masashi, è possibile scegliere una degustazione di vini, oppure di sake, per comprendere le diverse sfumature del fermentato di riso, guidati dall’esperta sommelier Vanessa Simini.

I piatti dell’Omakase

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Tra le portate da assaggiare a cena, i più fortunati potranno provare il sashimi servito senza salsa di soia con il pesce pagro scottato leggermente sul carbone (solo dalla parte della pelle), dalla piacevole nota affumicata, accompagnato da un brodo dashi con alga kombu. Segue una cernia bianca maturata per una settimana e servita in stile shabu shabu, sbollentata nel brodo di succo di sudachi, con sale maldon e umeboshi fermentato sotto sale.

Una tazza giapponese laccata a mano nasconde un brodo di alga verde con rombo al vapore marinato nel koji, fiori di zucca ripieni di macinato di gambero e funghi, il tutto profumato con zest di yuzu. Il carbonaro d’Alaska marinato nel riso, servito con edamame saltati in padella e olio di sesamo, è tra gli irrinunciabili e introduce una brillante serie di nigiri.

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Masashi Suzuki per realizzarli si bagna le mani, adagia il riso con tocco leggero sul pesce e con due movimenti netti riesce a plasmare una forma perfetta, quasi come uno stampo, poggiando il sushi su un tagliere in legno. Il nigiri viene completato con il condimento ed è pronto per essere degustato dal commensale, rigorosamente con le mani. Tra i signature c’è quello alle melanzane e vongole, seguito dall’abbinamento di seppia e caviale, scampo e tartare di gambero rosso di Mazara, e triglia leggermente scottata. Notevole anche il temaki al tonno e quello con anguilla, zenzero marinato e cipollotti.

Chiude la degustazione un gelato di riso con frutta e azuki, seguito dal rito solenne del cha no yu per bere tè matcha e poi brindare con shochu e umeshu insieme allo chef, suggellando la conclusione dell’esperienza.

Minamo, l’Omakase di Lucerna

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Minamo, Mandarin Oriental Palace Luzern

Nell’elegante città svizzera di Lucerna, gli amanti della cucina giapponese hanno da qualche mese un indirizzo esclusivo a loro disposizione. Si tratta del banco Omakase di Minamo, ristorante all’interno di Mandarin Oriental Palace Luzern, dove lo chef Toshiro Lützel propone la sua idea di menu a otto commensali per volta. Anche qui, l’abbinamento con una selezione di sake è consigliato, anche se non manca un’ampia selezione di vini internazionali e, per gli amanti degli spirits, anche di pregiati whisky giapponesi. Il menu si apre con il chawanmushi, un tipico budino nipponico qui servito con rossi d’uovo e funghi shiitake, sia in lamelle che in consommé. Segue un brodo di alalunga (pesce bonito) con tofu fritto, melanzane grigliate con miso, kombu brasato e foglie di sansho, tipico pepe giapponese.

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Toshiro Lützel

La tartare di ricciola è preziosa, condita con maionese, erba cipollina, caviale, foglia d’oro e fiori di shiso (una sorta di basilico giapponese). I nigiri serviti da Toshiro sono una successione di salmone svizzero, gambero viola e anguilla con salsa teriyaki, conditi alternativamente con salsa di soia affinata per 2 o 4 anni. Lascia il segno il manzo accompagnato da asparagi bianchi grigliati e salsa di sesamo, seguito da due speciali dessert, di cui uno realizzato con gelato al whisky single malt Yamazaki invecchiato 12 anni, con noci pecan e una scenografica foglia di acero a decorazione.

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Un Omakase completamente differente da quello milanese, sostenuto da un buon ritmo e dalla spiegazione puntuale di ogni passaggio da parte dello chef master. Un indirizzo da non perdere per chi passa da Lucerna e desidera viaggiare per qualche ora nell’autentica gastronomia giapponese.

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