Louis Vuitton, viaggio surrealista per businessman e dandy
«Non lasciare che il tuo lavoro quotidiano ti definisca». Il mantra di Virgil Abloh, affidato al nuovo vocabolario di stagione per la maison Louis Vuitton è chiaro. It’s businessman time, niente più streetwear e dintorni. È tempo di nuova formalità estetica. Scegliendo uno sguardo disincantato e non noioso sul formale contemporaneo. «Heaven on earth», il paradiso in terra, recita il grande led che invita gli ospiti nella venue. Lo spazio monumentale è un paradiso magrittiano di nuvole cerulee decorato da macro oggetto rubati in atelier e agli artigiani della maison. Welcome to the Louis Vuitton world immaginato da Abloh che in questa stagione cambia rotta. D’altronde nelle recenti interviste l’aveva detto: «Lo streetwear è finito». E allora l’autunno-inverno homme della griffe è un cambio di rotta e prospettiva. «Non voglio rifiutare certe regole del vestire formale... Semplicemente voglio regalare un twist differente, speciale», ha spiegato lo stilista, alla sua quarta collezione per la maison. Che per lo show ha scelto un soundtrack live: in consolle, un obló ovoidale illuminato di giallo sole, trovano posto il dee-jay Juan Atkins, che ha portato a Parigi il progetto Cybotron. Dalla piccola porta sullo sfondo, infuocata di arancio, escono i damerini immaginati dal creativo americano. Che rivela di aver scelto un approccio fanciullesco al sartoriale. Utilizzando come fonte di ispirazione il momento in un un adolescente approccia il dress-code adulto, fatto di camicie ed abiti. Uno sguardo surreale e immaginifico. Che scardina codici di serietà noiosamente adulta per delineare un tailoring nuovo e innovativo. Rispetto al passato nel vocabolario di stagione trovano posto parole come dandy, casual friday, corporate. A spiegare un nuovo modo di guardare al menswear. Che sembra tagliare ogni ponte con un passato sport a favore di un futuro impeccabile. La chiave della stagione è in un’altra parola che troneggia tra i mantra di Abloh: «Surrealismo, quando lo streetwear imita il formalwear e quando la vita imita l’arte. O viceversa». Et voilá, tutto diventa un gioco in bilico fra tradizione e innovazione. A partire da quei macro oggetti che movimentano la sala: un paio di forbici, un metro da sartoria di legno, un riverto di metallo, un rocchetto. Tutto ha un approccio da fumetto. Così i suit sono fintamente seriosi e dalla costruzione minuta. I coat sono sezionati e riassemblati in un gioco di puzzle volanti. Gli abiti esplorano cromie gridate o degradé inattesi. La pelle gioca con accumulazioni di strati sovrapposti. E la sera si veste di ruches e di volant frou frou quando non gioca con pattern celestiali in all-over, per dandy dal volto coperto con maschere metalliche. E gli accessori? Seguono la stessa strada di surrealismo. Con le borse costruite in 3D e dalle forme distorte a seguire le curve del corpo, con il monogram imbottito e ingigantito, con le superfici LV specchiate o intagliate nel velluto crepuscolare, ma anche con i cofanetti che diventano scrigni rigidi dove costruire segreti preziosi. Ai piedi niente sneakers classiche, scomparse dal catwalk. A favore di stringate contaminate da interventi artistici di armature in pelliccia, derby solcate da harness di lacci o Chelsea boot con un vibe sportivo. A scrivere il primo capitolo del nuovo percorso maschile iniziato dalla maison di Lvmh.