Tina Modotti, la fotografa in mostra a Rovigo e Colorno
Una vita straordinaria, all’insegna dell’impegno e dell’empatia per gli sfruttati oltre che del talento artistico, quella di Tina Modotti, nata a Udine da una famiglia poverissima nel 1896. Gli studi limitati alla quinta elementare per la necessità di andare a lavorare, Modotti, emigrata negli USA, sarà un’attrice del muto a Los Angeles, per poi scoprire la fotografia e il Messico nel 1923 con Edward Weston, e far parte a pieno titolo dell’avanguardia politico/artistica del Paese, a fianco di Frida Kahlo, Diego Rivera, José Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros. Iscritta al Partito Comunista ed esiliata dal Messico nel 1929 dopo l’assassinio del compagno, Julio Antonio Mella, che progettava una spedizione a Cuba per rovesciare la dittatura di Machado, Modotti svolge delle missioni per il partito in Germania e Unione Sovietica e diventa una stregua organizzatrice del Soccorso Rosso nella Spagna dilaniata dalla Guerra Civile. Tornata a Città del Messico, muore da sola, in un taxi, di un arresto cardiaco, la notte del 5 gennaio 1942, a 45 anni. A scriverne l’epitaffio sarà Pablo Neruda, esaltandone “la ferrea, la delicata struttura”. Se il suo percorso romanzesco e la sua bellezza, evidente nei ritratti e nei celebri nudi di Weston e in un murale di Rivera, non l’hanno ancora trasformata in leggenda pop come è successo a Frida Kahlo, la forza d’impatto della sua fotografia è evidente sia nella grande mostra di Palazzo Roverella a Rovigo “Tina Modotti. L’opera” (fino al 28/1/24) che in “Oltre i confini” (fino al 26/11/23) all’Aranciaia di Colorno, riedizione inaugurata al ColornoPhotoLife, in un nuovo formato adattato al contesto, della mostra del Mudec del ’21, con un centinaio di foto, stampe originali ai sali d’argento degli anni Settanta realizzate a partire dai negativi dell’artista, dalle rose, le calle, le canne di bambù e i cactus degli esordi alle grandi immagini di denuncia sociale realizzate per riviste come “El Machete” e “New Masses”, fino agli iconici still life che combinano i simboli della rivoluzione con quelli del lavoro contadino ed operaio: falce, sombrero, spighe di mais, cartucciera e martello. Come sottolinea il curatore di “Oltre i confini” Ascanio Kurkumelis, nel suo lavoro «colpisce il grande equilibrio formale che dalle nature morte si estende alle persone, e l’attenzione maniacale, la stessa di Weston, per la stampa.
Lei usa la Graflex, può costruire le immagini, che vede sul vetro smerigliato della macchina prima di scattare. Quando a Berlino scopre la Leica, più piccola e veloce, ma in cui non vedi l’immagine, scriverà delle sue difficoltà a Weston. La sua è una traiettoria per certi versi simile a quelle contemporanee di Lee Miller e Dorothea Lange, anche se scriveva di non avere l’aggressività da fotoreporter». La mostra di Palazzo Roverella ne «documenta con 300 scatti l’intera opera a partire dalla ricostruzione dell’unica mostra da lei direttamente realizzata a Città del Messico, nel 1929, dove furono esposti una sessantina di lavori, 45 dei quali saranno presenti a Rovigo», spiega il curatore Riccardo Costantini. «È frutto di una ricerca di 30 anni per recuperare un corpus estremamente frammentato, di cui abbiamo mappato oltre 500 opere sparse negli archivi di musei e presso collezionisti privati di tutto il mondo. A rendere Tina Modotti oggi particolarmente rilevante è il suo sguardo meticciato così simile a quello contemporaneo, la sua volontà di utilizzare la fotografia come uno strumento: “Non voglio foto artistiche ma oneste” era il suo credo. Sui campesinos, sulle donne di Tehuantepec, Modotti posa uno sguardo da antropologa, formatosi a partire dall’incarico, condiviso con Weston, di realizzare le immagini di supporto a “Idols Behind Altars”, il saggio di straordinario successo di Anita Brenner che postulava la continua rinascita messicana, pietra miliare nella costruzione della rappresentazione del Paese che avrebbe attratto surrealisti e rivoluzionari di tutto il mondo».