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The Real World of Rasmus Myrup

L’artista danese Rasmus Myrup ripensa le convenzioni legate al regno della natura, attraverso un foliage erotico e una storicizzazione sovversiva.
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Alto, occhi azzurri e capelli biondi corti. A prima vista Rasmus Myrup sembra un ragazzo immagine per il suo Paese, la Danimarca. E avrebbe potuto esserlo, se il suo percorso artistico non si fosse concentrato sulla mitologizzazione di uno dei più grandi preconcetti della società moderna. Al di là del suo sorriso aperto, l’artista sfida di continuo il principio secondo cui l’ordine naturale si basa sulla riproduzione biologica eterosessuale. Nato a Copenhagen e ora diviso tra la capitale danese e Parigi, ha elaborato una pratica simile a un manifesto eco sessuale che crede nella natura non come una terrena madre riproduttiva, ma interpretandola piuttosto come un’orgia queer. È un interesse che deriva in parte dalla sua infanzia, confessa l’artista. «Quando sei piccolo ti spiegano la natura nel senso della riproduzione, come il seme che diventa fiore», spiega Myrup, «ma in quanto gay, sentivo il concetto estraneo, era qualcosa di cui io non potevo far parte. La genesi della mia visione artistica è stata comprendere che la natura si masturba, pratica sesso anale e orge». Nel tentativo di stabilire l’omosessualità come consustanziale all’evoluzione dell’umanità, Myrup ha fatto un balzo all’indietro nel tempo per la sua prima personale, “Homo Homo”, inaugurata al Tranen Contemporary Art Center danese nel 2018. Dimenticatevi i musei sulla preistoria di quando eravate piccoli, dove un diorama della perfetta famiglia eterosessuale veniva rappresentato agli occhi del pubblico. Nell’apparente realismo di un insediamento da uomo di Neanderthal, creato da Myrup, appaiono un sospensorio di pelliccia che penzola da un albero, due dildo intagliati nel legno, appoggiati di fianco a un prototipo di altalena da sesso, due ominidi che praticano la fellatio, si baciano e si coccolano. E, al centro dell’allestimento, il prototipo di un letto a baldacchino per due amanti. Myrup gioca con il vocabolario formale della rappresentazione scientifica per impegnarsi in una critica queer delle premesse eterosessuali che dominano la narrazione preistorica. In più, la mostra è una satira camp delle tradizioni dei musei di storia naturale, un détournement gay sulla missione didattica dell’immagine antropologica. Il filosofo Georges Bataille una volta ha definito ironicamente il museo come una superficie narcisistica che offre all’uomo l’opportunità di contemplare se stesso da ogni angolo e di stupirsi nel trovare di fronte a sé un oggetto di meraviglia. In questo caso, lo specchio che Myrup ci porge consente una visione fugace di un ominide maschio, ricoperto di sperma. Per la mostra newyorkese del 2019, “Remember Me”, allestita alla Jack Barrett Gallery, Myrup ha ricreato una foresta con un collage di foglie portate da Parigi e di alberi cresciuti nel New Jersey. L’attenzione dello spettatore è subito attratta dal fondo della stanza, dove nascosti dal foliage o a volte incorniciati dalle foglie stesse ci sono dei disegni a matita. Alcuni sono dei ritratti di scene bucoliche, il cui titolo, “Orgia”, contrasta con l’apparente natura contemplativa. Un altro invece raffigura con un tono più drammatico un’eiaculazione maschile, dove il seme è sostituito da sàmare (frutti secchi monosperma, ndr) e altri baccelli.

Homo Homo Sapiens (Forest Encounter at Sunset),” 2018, by Rasmus Myrup.
Rasmus Myrup

Pittura rurale e pornografia, può sembrare uno strano parallelismo, tuttavia invita chi osserva a immaginare una darkroom nascosta dentro a un campo di tulipani. O l’incontro tra un maestro del paesaggismo pastorale come Nicolas Poussin e un papa del post- porno come Bruce LaBruce. La sua visione della natura come una entità libidinosa riecheggia il movimento eco-sessuale delle pioniere del sesso Annie Sprinkle ed Elizabeth Stephens, e considera la terra non come una puritana figura parentale, ma come una lasciva partner sessuale. Tuttavia l’approccio di Myrup è pervaso da una tradizione pittorica più antica, la pornografica gay. Sulla scia di Fred Halsted che ha creato un ritratto erotico di Los Angeles come un continuo lussurioso di desideri dissidenti in “L.A Plays Itself ”, Myrup interrompe il potenziale iconografico della pornografia. Nel definire la natura come un «bukkake di polline», (bukkake pratica di eiaculazione di gruppo) l’artista sfida la storia della pittura in cui la natura selvaggia era più che altro scenario di battaglie epiche o romantico rifugio. Nel complesso, il lavoro di Myrup è una lotta contro la supposta anormalità dell’omosessualità che sta alla base delle persecuzioni contro gli omosessuali nel mondo, ma che, secondo l’artista, ontologicamente poggia sul nulla. «Il problema con la parola naturale sorge quando viene usata per definire qualcosa di giusto o di puro», spiega. In effetti, l’idea di un ordine naturale è una costruzione socio-culturale usata per escludere comportamenti e corpi che non corrispondono a norme etero-patriarcali. Andando oltre nel ragionamento, Myrup completa il suo pensiero con una riflessione sulla storia della rappresentazione gay e, in particolar modo, una tradizione che ha lodato l’omosessualità come una forma ancestrale di amore. Mentre l’omosessualità è stata storicamente associata alla condizione di moderna urbanizzazione, c’è una genealogia di artisti e scrittori che, al contrario, hanno voluto impersonificarla attraverso canoni artistici classici. Al posto dello squallore di anonimi angolo di strada notturni, queste rappresentazioni ambientano l’omosessualità in un paesaggio aperto e solare, enfatizzando la simbiosi tra corpi scultorei e natura selvaggia. È in quel contesto che l’antica Grecia è divenuta un punto di riferimento per Myrup. Soprattutto l’Arcadia, la regione situata al centro del Peloponneso e considerata l’origine mitologica dell’utopia omosessuale e, per molti, l’antica terra promessa. Pittori come Paul Cadmus e Jared French negli Stati Uniti, Kristian Zahrtmann in Danimarca e Magnus Enckell in Finlandia hanno promosso queste rappresentazioni e sono tra gli artisti che animano il pantheon personale di Myrup. A tal proposito, dice, l’isola di Fire, una mecca estiva della comunità gay a partire dagli anni ’50 di fronte alla costa a sud di Long Island nello stato di New York, è per l’artista una illustrazione davvero interessante del cambiamento della rappresentazione odierna. Dopo averci soggiornato per tre settimane durante la sua residenza a Boffo, Myrup ha realizzato come quella destinazione abbia funzionato non solo come rifugio dall’omofobia metropolitana, ma quanto abbia preconizzato una forma pionieristica di ruralità non conformata alle norme eterosessuali.

“Orgy (Skovshoved, Midday)” 2019, by Rasmus Myrup, Courtesy the artist and Jack Barrett, NY.
Homo Homo,” 2018, Installation view, Tranen Space for Contemporary Art, Hellerup, Denmark, by Rasmus Myrup, photographed by David Stjernholm.

Al di là dei ben noti festeggiamenti rituali dell’isola, la comunità sta sperimentando nuove definizioni di intimità, amore e ospitalità che hanno prodotto una specifica urbanistica, architettura e socievolezza. Myrup ha poi vissuto a New York prima di rientrare a Copenhagen, due città con una opposta visione della natura. La prima concepisce la natura come una vacanza dalle sue architetture - specie nel caso del progettista del Central Park Frederick Law Olmsted - mentre la seconda è un modello di città giardino. Myrup però rifiuta di cedere il passo a una qualunque nozione di idealizzazione e spiega: «È solo che qui (a Copenhagen) il landscape designer voleva qualcosa di più ruvido». Le installazioni in still-life dell’artista giungono esattamente a questa conclusione: l’esistenza di una natura primitiva intatta è un’illusione. «Sulla base della mia esperienza personale, non considero la natura e la città in termini di dicotomia. Ascolto Beyoncé con il mio iPhone e i miei jeans bianchi nella foresta, mentre sono un eremita in città. Cerco di completare le mie capacità urbane con quelle rurali. Sono un entusiasta dilettante in entrambi i casi, piuttosto che uno molto preparato in solo uno dei due». La collaborazione dell’artista con il marchio di moda Phipps per questa stagione Autunno-Inverno 2020/21 è forse l’immagine che meglio riassume il suo approccio. Myrup ha disegnato delle borse intrecciando a forma di cestini delle canne raccolte in Lituania, mentre i gioielli sono stati intagliati da ossa di animali e i bastoni da passeggio derivano da rami d’alberi per la collezione intitolata Ambientalista: i racconti della foresta. Oscillando tra l’ormai defunto Whole Earth Catalog (la rivista radicale degli anni ’60 che diede vita alla cultura survivalista), un free party della Spiral Tribe anni ’90 e un ranger visto con gli occhi di Tom of Finland, la collezione sembra cristallizzare tutti i fantasmi che le foreste hanno scatenato da che il mondo ha preso atto che le risorse della Terra hanno una fine. Pur non cadendo nel totale fatalismo, Myrup fa attenzione a non indulgere in nessuna idealizzazione di Emersoniana memoria del regno della natura come uno spazio di risveglio spirituale. Il teorico queer Guy Hocquenghem riteneva che essere gay significasse abitare un’identità in moto perpetuo, uno stato di contraddizione tra la norma e il margine, il pubblico e l’anonimo. Come Hocquenghem una volta ha detto: «Non c’è una terra promessa per gli omosessuali, dobbiamo inventarla. Un territorio che non sia identificato in uno stato, ma un contro- universo senza mappa o compasso». Proprio il territorio che Myrup va disegnando. Non un paese delle meraviglie e nemmeno un rifugio, ma ciò che i francesi chiamano Carte de Tendre, la mappa della tenerezza, per un’età degli estremi.

“Homo Homo Neanderthalensis (Spooning)” 2018, Rasmus Myrup.
“Homo Homo Ergaster (Surprise Kiss)” 2018, Rasmus Myrup.
Rasmus Myrup

Photographer Petra Kleis 

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