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Let's Dance: Rachid Ourandame al Dance Reflections by Van Cleef & Arpels Festival

Per la quinta edizione, il Dance Reflections by Van Cleef & Arpels Festival torna a Londra con una selezione quanto mai diversificata di compagnie e di artisti. Tra cui il coreografo franco-algerino Rachid Ourandame, dal 2021 direttore di Chaillot - Théâtre national de la Danse. 

Photo Gregory Batardon (Courtesy of Van Cleef & Arpels)
Photo Gregory Batardon (Courtesy of Van Cleef & Arpels)

Il Dance Reflections by Van Cleef & Arpels Festival diretto da Serge Laurent torna a Londra per la sua quinta edizione, dopo il debutto nella capitale britannica nel 22 e le tappe degli anni successivi di Hong Kong, New York, Kyoto. Con un programma coinvolgente di workshops e spettacoli in scena fino all’8 aprile che allinea performances molto diverse tra loro, da tre lavori di Balanchine interpretati dal Royal Ballet al nuovo “Close Up” di Noé Soulier a “Hagay Dreaming”, combinazione di leggende tribali della cultura Truku di Taiwan con la fantascienza, a “We wear our wheels with pride” di Robyn Orlin, che rievoca gli risciò zulu della sua infanzia… Tra le performances più attese “Outsider”, del coreografo franco-algerino Rachid Ouramdane, dal 2021 direttore del teatro nazionale della danza di Chaillot, con il Ballet du Grand Theatre de Geneve e quattro highliners, on stage al teatro Sadler’s Wells il 26 e 27 marzo.

L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Partiamo da “Outsider”.
RACHID OURAMDANE: Ho realizzato una coreografia aerea, con persone che volano in aria, un’occasione per riunire artisti che si sostengono a vicenda per fare cose che non potrebbero fare da soli. I ballerini sono affiancati da highliner, in un’interazione tra danza e sport estremi su cui ho iniziato a lavorare anni fa, una  pratica che a poco a poco sta diventando più precisa, in particolare la qualità musicale del gesto è diventata più precisa. Quando ho iniziato a lavorare con atleti ed acrobati, questi si concentravano molto, troppo,  sul virtuosismo del movimento e non si preoccupavano della sua bellezza e qualità musicale, ma solo di poterlo effettivamente fare perché richiedeva molta forza, la presa in carico di un grande rischio. Ma gradualmente sono diventati più sicuri, anche perché ho preferito ridurre il rischio per farli concentrare sulla dimensione coreografica. La musica è di Julius Eastman, un compositore che viene dalla musica ripetitiva come Steve Reich o Philip Glass, morto negli anni Novanta. È stato un attivista per i neri negli Stati Uniti e per la comunità gay, ma non è stato riconosciuto per il suo lavoro, al punto da morire per strada, da senzatetto. Buona parte del suo lavoro è andata perduta anche se si è cercato di recuperarlo negli archivi musicali e di riscrivere ciò che era stato registrato. La sua musica è una musica dambiente modulata dallazione ripetitiva, ed è stato molto bello vedere come la precisione della musica di Julius Eastman potesse abbracciare la precisione dei ballerini.

Photo Gregory Batardon (Courtesy Van Cleef & Arpels)

LOHI: Come hai scoperto la sua musica?
RO: È successo per caso, in realtà, perché sono solito lavorare con il compositore Jean-Baptiste Julien, che proviene da questa stessa tradizione musicale, la musica minimale. Gli ho parlato di un progetto che avevo per il Grand Théâtre de Genève, e lui mi ha suggerito di ascoltare la musica di Eastman, perchè secondo lui era perfetta per la danza, ma non era mai stata coreografata. Mi è piaciuta subito, è una specie di landscape musicale, le emozioni fluttuano, si passa da unatmosfera molto cupa a una molto luminosa solo grazie a quattro pianoforti che suonano contemporaneamente e che per così dire “navigano” luno dentro laltro. La scoperta di Eastman mi ha entusiasmato perché lavoro da molti anni sulla vulnerabilità, mi piace mettere in scena la fragilità delle persone. Gli highliners, chi pratica sport estremi, non sono dei pazzi che giocano con la vita o con la morte, ma il contrario. Si concentrano davvero su chi sono e sui loro limiti, ma si spingono sempre oltre, aprendo le porte alle possibilità di tutti.

LOHI: Come selezioni i performers?
RO: Quando Sidi Larbi Cherkaoui, il direttore del corpo di ballo del Grand Théâtre de Genève, mi ha contattato, mi ha chiesto: come lavoreresti con la compagnia? E come collegheresti il tuo lavoro allambiente oltre il mondo del balletto? Gli ho detto che Ginevra è circondata da montagne, e che conosco molti highliner di livello mondiale. Sono abituato a lavorare con Nathan Paulin, l’equilibrista celebre per aver camminato su una fune tesa tra la Tour Eiffel e il Teatro Chaillot e a Rio tra il Pao de Açúcar e la spiaggia. Nathan vive vicino a Ginevra, a circa 40 chilometri, forse 30. Allora ho detto a Larbi: forse questa volta non andrò in una struttura di assistenza, come sono abituato a fare quando lavoro con i rifugiati. Credo sia importante entrare in contatto con questo ambiente paesaggistico e con le persone che sono coinvolte nella sua natura profonda. Per lo spettatore guardare “Outsider” è come guardare una folla di uccelli che si muove in tutte le direzioni. È stato Nathan a suggerirmi gli altri highliner, alcuni provengono dal circo, altri sono persone che sviluppano questa pratica come uno sport.

LOHI: Di solito in quanto tempo realizzi uno spettacolo?
RO: Due mesi, ma distribuiti in un anno. Cè sempre un momento in cui si scopre la compagnia, si scopre lartista, e dopo ho bisogno di tempo per adattarmi, e mi piace anche dare spazio alle intuizioni.Per me lo studio, durante le prove, è il luogo dellincidente, nel senso di luogo in cui accade ciò che non ci si aspettava.

Photo Gregory Batardon (Courtesy Van Cleef & Arpels)


LOHI: Prima parlavi dei rifugiati, hai lavorato con i bambini (“Franchir la nuit” del 2018) , perché hai deciso di coinvolgerli?
RO: Per molti anni in passato ciò che mi faceva muovere come artista era la rabbia. Quando sentivo qualcosa, quando assistevo a qualcosa che mi faceva arrabbiare, sceglievo di osservarla attraverso un altro punto di vista. Ti faccio lesempio dei bambini migranti. Ero stanco di vedere quanto si parlasse di migranti e non di bambini. Ed è per questo che ho iniziato a dire: “Ok, in tutte le città in cui andiamo, facciamo dei laboratori con loro, li mettiamo in contatto con tutti i bambini”… E naturalmente, quando si lavora con i rifugiati, si incontrano altre associazioni che li sostengono, si inizia a sentire parlare di rifugiati climatici e si lavora con loro, e si crea una sorta di effetto valanga. Io vivo in montagna, sono circondato da persone che praticano sport estremi e hanno una profonda filosofia di vita, basata su un tremendo rispetto per la natura e lambiente. Ed è quello che volevo condividere, e spesso mi rispondevano di non capire perchè volessi spingerli a confrontarsi con l’arte classica. Instaurare complicità richiede tempo, ma a poco a poco le persone si rendono conto di avere cose da dire, così tanto da condividere. Credo che il compito dellartista sia quello di collegarli, di metterli in contatto.

LOHI: Che significato ha per te il Dance Reflections by Van Cleef & Arpels Festival?
RO: Conosco Serge Laurent da molti anni, e apprezzo la visione che l’ha portato ad analizzare ogni volta la città dove si svolge la nuova edizione di questo festival itinerante, e a comporre una programmazione specifica per la città. Assistere a un festival che riunisce diverse estetiche e le trasporta da un luogo all’altro è qualcosa di davvero unico, soprattutto nel contesto di oggi, dove vediamo il mondo chiudersi ogni giorno di più in nuovi confini.

LOHI: Come vedi il tuo ruolo di direttore di Chaillot?
RO: Chaillot è unistituzione molto importante, è il luogo dove le Nazioni Unite hanno proclamato nel 1948 la dichiarazione universale dei diritti umani. Ed è qui che è nato il Théâtre National Populaire di Jean Villard. Rappresenta unenorme tradizione di arte e democrazia, di lotta per larte, di lotta per i diritti. Ed è anche un luogo iconico per riunire le persone, come durante i Giochi Olimpici. Per me, è importante che Chaillot  incarni la diversità dellestetica, della cultura, che non sia solo il Teatro Nazionale della Danza, ma anche il Teatro Nazionale della diversità, dellospitalità e dellinclusione. La danza è ovunque, per strada, nelle feste, in ospedale perché aiuta in campo medico. È nei social network, su TikTok. E penso che Chaillot, in quanto teatro di danza nazionale, debba essere il luogo di tutte queste culture della danza. Per questo organizziamo unElectro Dance Championship, ma allo stesso tempo ospitiamo anche compagnie affermate, come Angelin Preljocaj o la Batsheva Dance Company.

Photo Gregory Batardon (Courtesy Van Cleef & Arpels)


LOHI: Quali sono stati i momenti che hanno definito la tua carriera?
RO: Il periodo degli inizi tra Parigi e New York, negli anni 90, quando sono venuto in contatto con un movimento di danza molto ampio, con molti riferimenti, con uneredità profonda, che combinato con il mio background di figlio di rifugiati mi ha portato a precisare gli argomenti su cui volevo concentrarmi, a partire dalle persone vulnerabili. Un processo iniziato nel 2004, con “Le Morts pudiques”, un omaggio a “Le jeune homme et la mort” di Roland Petit combinato con quello che stava succedendo in quel momento, i giovani kamikaze musulmani, i suicidi in Giappone, lestetica Goth negli Stati Uniti. È stato un punto di svolta, allimprovviso ho avuto la sensazione che ciò che ero come persona, con il mio patrimonio culturale, e tutto ciò che avevo imparato come artista in Francia e negli Stati Uniti, cominciasse davvero a mescolarsi. Il secondo momento molto importante è avvenuto quando avevo 39 anni: ero un ballerino, ero pieno di progetti e ho dovuto affrontare un cancro del sangue che ho ancora, ma ora sto bene, da allora ci convivo. Ma per due o tre anni non sapevo cosa avessi e cosa sarebbe successo. Il mio corpo era molto fragile e non potevo più usarlo. Ero sempre stanco, ma potevo lavorare con gli altri. Avrebbe potuto essere un periodo  triste e deprimente, ma allo stesso tempo è stata unopportunità, perché mi ha permesso di andare oltre lavorando con tutti quegli artisti, tutte quelle persone che altrimenti non avrei mai incontrato. Prima mi rapportavo a ballerini come me, e improvvisamente ho iniziato a lavorare con gli anziani, ho iniziato a lavorare con gli atleti, con gli acrobati, con i wrestlers, con ex star del cabaret, con pugili.

LOHI: Stai lavorando a un nuovo spettacolo?
RO: Negli ultimi anni ho fatto molte coreografie site specific pensate per architetture imponenti, come “Mobius Morphosis” al Panthéon di Parigi con il Balletto dellOpera di Lione e il collettivo di acrobati XY, oltre 70 artisti sul palco e una partitura elettronica interessante di Jean-Benoît Dunckel, il cofondatore degli AIR, a partire dal tema delle impressionanti concentrazioni di stormi di uccelli che si vedono in natura. Adesso sto realizzando una coreografia per il Grand Palais di Parigi. Chaillot e il Grand Palais sono stati costruiti per l’Esposizione Universale e ogni volta che mi trovo in questi spazi, vedo lenorme immaginario di chi li ha voluti allora, l,ambizione che avevano per larte, larchitettura, la città. La prima di “Vertige” sarà a Parigi il 6 giugno, il pubblico sarà sdraiato sotto la cupola e lo spettacolo sarà una coreografia aerea per highliner, incluso Nathan Paulin, su musica di Christophe Chassol.

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