Cabinet D'Art: l'intervista a Nicolas Lefebvre
Le sculture create da Nicolas Lefebvre assemblano materiali disparati recuperati in lunghi viaggi attorno
al mondo in un omaggio alle dee madri.
Text by FABIA DI DRUSCO
Photography & Styling KENZIA BENGEL DE VAULX
Un cabinet de curiosités in cortile, colmo di maschere lignee, croci della vita egiziane, statuette tribali, ciotole di legno, fotografie in bianco e nero, introduce al metodo di lavoro di Nicolas Lefebvre. Ma è nel suo appartamento, una infilata di stanze piene di luce affacciate sulla Senna, che si vede il lavoro finito, un assemblaggio di frammenti diversi per materiali, epoca e provenienza, a dar vita a figure totemiche che percepiamo istintivamente come familiari, quasi una materializzazione dei saggi antropologici di Claude Lévi-Strauss, delle intuizioni di Gustav Jung, o del ritmo ipnotico, della cadenza profetica di Khalil Gibran. Sono le dee madri primordiali, precedenti alle tante stratificazioni culturali del patriarcato, spiriti guida e nurturing impregnati di quell’aura mitica e animistica irrimediabilmente scomparsa, come sosteneva Walter Benjamin, dall’arte moderna caratterizzata dalla riproducibilità di massa. Creature sincretistiche, ricordano feticci etiopi, divinità cretesi o delle Cicladi, hanno forme geometriche, spoglie e primitive. Sono fatte d’osso, legno, conchiglie, pezzi di marmo, piume, fibre vegetali, materiali scolpiti dall’uomo, o levigati, patinati, dall’azione dell’acqua, della sabbia, del sole. Frammenti che Lefebvre raccoglie in un’infinità di viaggi in giro per il mondo, in Africa, in India, in Sudamerica, in Oceania…
L’Officiel Hommes Italia: Come ti sei scoperto artista?
Nicolas Lefebvre: Avevo venticinque anni e una galleria d’arte a Saint-Tropez dove avevo sistemato anche alcune sculture che avevo realizzato in maniera istintiva. Hanno attirato da subito l’attenzione dei collezionisti, spingendomi ad abbandonare la galleria, trasferirmi a Parigi e aprire uno studio. Poi un gallerista si è offerto di esporre il mio lavoro…
LOHI: Come acquisti gli oggetti su cui lavorerai? Avendone già in mente l’uso o semplicemente perchè ti attraggono?
NL: Dipende. Quando faccio una mostra in un Paese assemblo solo oggetti trovati sul posto. Normalmente compro quello che mi affascina e aspetto arrivino altri oggetti che possano rivelarsi complementari. A volte ho già delle cose in mente, ma altre volte aspettano mesi o anni prima di essere utilizzati. A volte infine è il committente che mi dà degli oggetti da cui partire.
LOHI: Quali consideri i tuoi lavori più significativi?
NL: Una collana di venti metri cui ho lavorato per sei mesi finita in una collezione privata e un totem di cinque metri costruito con pezzi d’arte primitiva provenienti dall’Amazzonia e dall’Africa Occidentale.
LOHI: La tua materia prima preferita?
NL: Mi piace lavorare il corallo, ne trovi moltissimo fuori dal mare. E amo il legno perché è un materiale vivente. Il marmo è più difficile da lavorare e poi naturalmente c’è il problema della polvere.
LOHI: Come lavori? Su più opere insieme o ti concentri su un progetto alla volta?
NL: Sostanzialmente lavoro sempre, cerco continuamente materiale per il futuro. Compro molto anche qui a Parigi, nelle aste e nelle gallerie, perché il suo passato coloniale fa di Parigi un’autentica miniera di oggetti provenienti da tutto il mondo.Nella mia testa tengo totalmente separati ispirazione e assemblaggio tecnico. Quest’ultimo può essere anche tecnicamente complesso, ma non mi preoccupa, una soluzione si trova sempre.
LOHI: Oltre alla sculture hai esplorato altre tecniche artistiche?
NL: A volte disegno e realizzo foto e installazioni, ma mi considero uno scultore.
LOHI: Ti è difficile separarti dai tuoi lavori?
NL: Alcuni pezzi li tengo per me e la mia famiglia. È mia figlia a reclamare per sé alcuni oggetti. Ha 13 anni, e mi confronto molto con lei sulla parte creativa. Mi interessa il suo punto di vista.
LOHI: So che hai fatto progetti con bambini…
NL: Collaboro con Elise Care, un’associazione che aiuta qui in Francia i bambini rifugiati da zone di guerra come la Siria o l’Iraq a superare i traumi grazie all’art therapy. Spero presto di poter lavorare anche con bambini ucraini.
LOHI: Che artisti ti piacciono?
NL: I Surrealisti, Duchamp, Breton, Max Ernst, Picasso, il Dada ma mi interessano molto anche l’archeologia e l’egittologia.
LOHI: Parigi offre moltissimo da un punto di vista culturale. Quali sono i tuoi musei preferiti?
NL: Il Maillol, il Jacquemart-André, il museo Picasso, il Palais de Tokyo e il limitrofo Museo d’arte Moderna. Vado spesso al Louvre. Non amo particolarmente il Quai Branly, non mi piace l’iper modernità di Jean Nouvel, e non mi piace, qui come al Musée de l’Homme, la filosofia espositiva: troppo teorica, scolastica. Hanno molta più magia e potenziale affabulativo oggetti simili esposti nelle gallerie di St-Germain-des-Prés.
LOHI: I tuoi prossimi progetti?
NL: Ho tre esibizioni in preparazione, a Parigi, a Londra e in USA. Sto anche lavorando a una grande installazione che possa viaggiare per tutto il Mediterraneo, e poi vorrei arrivare in barca a una delle isole di plastica (aree di confluenza negli oceani, dovute alle correnti, di rifiuti non biodegradabili, nda) per reperire lì oggetti da scolpire. E vorrei realizzare una gigantesca dea madre da piazzare su una piattaforma totalmente ecologica, che possa funzionare come santuario per la fauna marina. In generale mi interessa contribuire ad innalzare il livello di consapevolezza, il rispetto e il coinvolgimento di tutti nella salvezza del pianeta.