L'Officiel Art

@carol.rama

Un account di Instagram che racconta l’artista e la donna, e la pubblicazione del primo catalogo ragionato, a cura della storica dell’arte Cristina Mundici. A delineare il ritratto di un figura che si è sempre battuta contro i claustrofobici confini di genere
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Quali sono gli artisti che ti hanno influenzata maggiormente? Capita anche ai curatori di essere interrogati sulle loro preferenze e influenze. È successo anche a me. E ogni volta rispondo che Prince mi ha educata al linguaggio della diversità e Carol Rama mi ha fatto capire che l’espressione artistica non è un rebus da decifrare, o un problema da risolvere, ma un fenomeno capace di mantenere un nucleo insondabile. «L’arte esiste se ci sono delle cose segrete, qualcosa che non viene detto e non si può dire». Lo ha detto lei, Carolrama, scritto tutto attaccato, come, ad un certo punto della sua lunghissima attività, ha iniziato a firmare le sue opere Olga Carolina Rama nata nell’aprile del 1918 a Torino quando le donne, per intenderci, non potevano ancora votare. Centodue anni fa. Eppure la sua arte e il suo personaggio sono decisamente attuali come succede, d’altronde, a chi non si conforma e non si affilia, ma vive per esprimere un talento inesorabile ed esorcizzare i propri demoni. Quelli di Carol avevano molto a che fare col suo essere donna e con i claustrofobici confini di genere. «Ho ricordato che l’Io artista aveva avuto tanta paura della donna come di un suo doppio sconfortante e inaccettabile», scrive Carol nel 1980 a proposito dei suoi primi acquerelli: le “Dorine” e le “Appassionate”, donne sessualmente ultra esplicite, guastate, sofferte, censurate, dimenticate e ri-esposte in pubblico solo l’anno precedente. Quei lavori erano stati una sorta di esorcismo, un primo, dirompente tentativo di trascendere una dimensione femminile imposta e stereotipata dando forma al proibito e al rimosso. Un’attualità di pensiero che, a quasi un secolo di distanza, riverbera nella sensibilità emancipata d’oggi. Per avere una conferma empirica del “protofemminismo” di Carol e della sua modernità basta fare un giro sul suo account Instagram. Anche chi non sapesse nulla di lei, sentirebbe comunque la potenza e l’urgenza di un’arte autentica ed eternamente attuale; coglierebbe la vitalità primigenia di una produzione eclettica che passa dall’acquerello alla pittura, dall’incisione al collage, rinominato “bricolage” dal grande poeta, e grandissimo amico, Edoardo Sanguineti, in cui annetteva alla superficie pittorica svariati oggetti come occhi di bambola, unghie di animali e le celebri camere d’aria; vedrebbe l’originalità di un linguaggio che attraversa il XX secolo cavalcando tra figurazione e astrazione, eppur rimane sempre (re)invenzione. Nell’arte, infatti, si è scavata uno spazio inviolabile, difeso con audacia e rigore, in cui le è stato possibile ridisegnare la propria autonomia senza dover assecondare un’idea maschile del femminile. Anche il suo modo di essere nella vita quotidiana ha espresso un anticonformismo di sostanza, un’alterità ribadita con l’uso delle parolacce, le unghie laccate di verde o di blu, le acconciature eccentriche. Prima l’aureola di capelli ricci, poi la treccia bionda calata sulla fronte come corona, copiata persino da Björk anni fa. Uno stile che è urgenza, non strategia, che ha incendiato l’immaginazione di stilisti molto diversi come Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli che le hanno dedicato la collezione F/W 2014/15 di Valentino. O come Antonio Marras che con l’artista intrecciò collaborazioni e affetti. La pagina Instagram @carol.rama, che racconta l’artista e la donna con l’immediatezza dei social media, è l’altra faccia della medaglia del lavoro, tutt’altro che istantaneo, dell’archivio omonimo fondato nel 2010. Dopo una paziente operazione di ricerca e registrazione delle opere di Carol (ha cominciato a produrre negli anni Trenta del Novecento e ha smesso nel 2005, per poi sopravvivere alla sua arte altri dieci anni, nda) è ormai imminente la pubblicazione del primo catalogo ragionato, a cura della storica dell’arte Cristina Mundici, vestale dell’eredità culturale dell’artista e una delle appassionate artefici dei più importanti riconoscimenti di Carolrama. La prima fu la critica Lea Vergine che, includendola nella fondamentale collettiva milanese «L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940», dedicata nel 1980 ad una compagine di talentuosissime artiste rimaste ai margini di un sistema dell’arte patriarcale, accese l’attenzione nei suoi confronti al di fuori dai circuiti espositivi torinesi. Anche se Carol godeva di frequentazioni internazionali del livello di Andy Warhol e Man Ray, la prima retrospettiva istituzionale la ebbe solo nel 1985, sempre a Milano e sempre a cura della Vergine. Mentre la prima personale in un museo straniero, lo Stedelijk di Amsterdam, è opera della Mundici nel 1998. Intorno a quegli anni, Isabella Bortolozzi, giovane assistente di galleria a Torino, conosce Carol e rimane folgorata dall’intensità della sua arte e della sua persona, e quando aprirà la sua galleria a Berlino le dedicherà una personale («Autorattristatrice», 2009) e un paziente lavoro di riposizionamento sfociato in un nuovo collezionismo e in altre, importanti mostre. Nel 2003 era intanto arrivata la consacrazione definitiva col Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Quella statuetta l’ho vista coi miei occhi su una mensola della casa-studio dove Carol ha vissuto e lavorato per oltre mezzo secolo, con le pareti saturate di intonaco grigio e le finestre occluse da pesanti tendaggi. Un teatro privato, che è stato a lungo anche un frequentato salotto intellettuale, in cui l’artista ha potuto ingaggiare un corpo a corpo con le dimensioni più intime e conflittuali di sé e dare forma creativa a quello scontro spietato. Era il 2009 quando ho avuto l’occasione di entrare in quell’appartamento stratificato di energie, insieme a Marras, e di conoscerla, ormai novantunenne. La ricordo che parlava per immagini, urlando con una vocina tornata infantile: «Il coraggio serve sempre però bisogna pagarlo, sennò diventa un assassino. Lui di tendenza è cattivo, è delinquente, è orientato a essere malvagio. E invece se io lo difendo qualcosa rimane». Carolrama il suo coraggio l’ha sempre difeso, con un’intransigenza profonda ed un’eleganza eccentrica, e di lei è rimasto moltissimo.

“Appassionata”, 1940, photo Cristina Leoncini.
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In senso orario, da sinistra. “Autorattristatrice n. 10”, 1970, photo Nick Ash (Courtesy Galerie Isabella Bortolozzi, Berlin). “L’occhio degli occhi”, 1967, photo Roberto Goffi. “Seduzioni”, 1983, photo Pino Dell’Aquila. “ La mucca pazza”, 1997, photo Pino Dell’Aquila. Per tutte le immagini © Archivio Carol Rama (Torino).

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