Alex Prager
Film noir, melodramma e dive hollywoodiane anni 50 sono gli ingredienti perfetti dell’immaginario surreale dell’artista Alex Prager. Nata a Los Angeles nel 1979, figlia di genitori hippie, cresce con la nonna fino a quando, a 13 anni, lascia la scuola per trasferirsi in Svizzera, dove inizia a lavorare in un negozio di coltelli. Dopo qualche anno torna negli Stati Uniti e salta da un lavoretto all’altro, senza mai trovare nulla che la faccia sentire realizzata. A 21 anni (a quei tempi lavorava come receptionist) scopre la passione per la fotografia grazie a una visita alla mostra di William Eggleston al Getty Museum. Ispirata dall’uso nobile e materico dei colori del maestro, compra su eBay per soli 80 dollari una Nikon N90-S usata e tutta l’attrezzatura necessaria, accompagnata da un manuale sull’uso della camera oscura. Così inizia l’avventura di Alex Prager, artista autodidatta e dal talento geniale. Nel 2007 arriva la sua prima mostra monografica “Polyester” alla Robert Berman Gallery di Santa Monica. In seguito espone alla Michael Hoppen Gallery di Londra e partecipa alla collettiva “New Photography 2010” presso il MoMA di
New York. In quegli anni la sua ricerca fotografica si arricchisce, inizia a sperimentare tecniche video e nello stesso anno esce “Despair”, corto interpretato da Bryce Dallas Howard. Il film trae ispirazione da “The Night of the Hunter” (1955) e “The Red Shoes” (1948). «Crescendo a Los Angeles, sono stata circondata costantemente dall’industria cinematografica. Quando ho esposto “The Big Valley”, molte persone mi hanno chiesto cos’era accaduto e cosa stava per succedere alla donna nelle fotografie. Queste domande mi hanno portata a girare il mio primo film “Despair“, è stata una progressione naturale. Mi approccio alla fotografia e al film in modo olistico: le mie foto seguono una storia che ho creato e lo spettatore vede solo un momento specifico di quella narra- zione; con il film, grazie a strumenti aggiuntivi, come la musica, il movimento e il ritmo della storia, si crea un tipo diverso di energia. Le sfide del film sono assolutamente le più emozionanti». Scatti cinematografici orchestrati meticolosamente come mise- en- scène, inseriscono
lo spettatore all’interno di un attimo congelato, senza passato né futuro, non sappiamo perché le protagoniste stiano vivendo quel momento, ma l’immagine ci porta a sognare alternativi mondi possibili per le donne dei lavori di Alex Prager. Eroine sofisticate e sole si aggirano algide, muovendosi silenziosamente tra angoscia, malinconia, amore, alienazione, desiderio e paura. «Racconto storie di donne vive e complesse, come quelle che vedo nel mondo». Sono donne che fanno i conti con le sfide personali che l’artista cerca di superare ogni giorno e tutte hanno un comune denominatore: il giudizio da parte della “folla”. Gustave Le Bon in “Psicologia delle folle“ (1895) spiega come quest’ultime siano portatrici di distruzione e decadenza, prive di disciplina ed empatia hanno poco interesse nei confronti della verità quanto più ne hanno invece per il giudizio e preferiscono «divinizzare l’errore, se questo seduce. Chi sa illuderle, può facilmente diventare loro padrone, chi tenta di disilluderle è sempre solo vittima.» Proprio “La Grande Sortie” (2016), uno degli ultimi lavori dell’artista, ha come tema il giudizio e racconta la storia di
una prima ballerina che improvvisamente deve affrontare il terrore di scena e viene trascinata in una danza esasperante. Alla fine dovrà confrontarsi con il pubblico più critico, se stessa. «Mi piace raccontare questa storia in modo soggettivo, per questo vediamo il pubblico sempre dal suo punto di vista. Ci sono momenti nella mia vita dove posso fare riferimento a questa ballerina e nel fare questo film ho sentito che altri potrebbero immedesimarsi in lei». Oggi più che mai ci interroghiamo sulla percezione delle donne, nella vita di tutti i giorni, nel lavoro, nell’arte, e sul perché i media guardino le donne soprattutto attraverso l’occhio maschile. Alex sottolinea quanto sia importante trovare sempre più donne dietro la fotocamera che possano sfatare questa tendenza. «Quanto più sono diverse le menti creative tanto più è dinamica l’arte. Le donne si stanno riappropriando in modo decisivo del modo di vedere se stesse. Per questo le mie sono forti, deboli, complicate, strane, coraggiose, perché tutte le donne sono così».
Testo Micaela Flenda
Foto Mark Williams & Sara Hirakawa
Styling Shirley Kurata