Today's Master: Jack Dylan Grazer
Tutto inizia con una Zoom call con Jack Dylan Grazer. Io ero emozionato, preparato a ricevere il giovane protagonista che recitava il ruolo di Fraser nella serie intitolata "We are who we are" di Luca Guadagnino. Californiano di origine e star internazionale è uno tra i giovani attori internazionali più versatili la sua carriera da professionista inizia nel 2015 con la serie tv "Tales of Halloween", poi interpreta il ruolo da protagonista nel horror cult "It" e nella commedia di fantascienza diretta David F. Sandberg "Shazam!". Poi recita al fianco di Steve Carell per "Beautiful Boy", un sogno che si avvera. In vista della sua nuova uscita "Don't Tell a Soul" il thriller di debutto cinematografico di Alex McAuley abbiamo intervistato il giovane attore da Los Angeles. Appena entro nella Zoom call, Jack mi saluta inaspettatamente e calorosamente in italiano.
Parli Italiano?
Tutti i ragazzi del cast della serie tv di Luca Guadagnino hanno preso lezioni di italiano per i dialoghi in lingua. Io ho frequentato alcune classi sopratutto per familiarizzare con la lingua e per imparare a pronunciare il cibo correttamente e per non sentirmi in imbarazzo quando si fanno le ordinazioni al ristorante. E poi perché ero innamorato della mia professoressa…
Ho visto la serie "We are who we are" come tI sei trovato a lavorare con Luca Guadagnino?
Sono felice che tu me l’abbia chiesto. Mi piace definirlo come il regista più articolato e linguistico con cui abbia lavorato. Il modo in cui disegna le immagini per descrivere le emozioni è così profondo, utilizza le parole per descrivere o esemplificare la sensazione che un personaggio sta vivendo. Va proprio al di là di tutti quelli con cui ho lavorato in precedenza. Luca Guadagnino è una mente magistrale, un visionario, sa sempre cosa vuole ed è capace di catturarlo perfettamente con la videocamera. Lavorare con lui è stato un grande onore.
Che cosa ti ha colpito di più di Luca Guadagnino?
Il suo metodo, la sua filosofia. Ama la bellezza cinematografica, tutto quello che ci fa vedere è bello ma allo stesso tempo le sue immagini corrispondono perfettamente con le tematiche che non sempre sono cosi piacevoli. Lui è capace di trasformare situazioni e scene con un linguaggio artistico, perché tutto questo è il cinema: arte. E lui cattura questa essenza in un modo così bello. Ma è anche tutto reale, non è patinato è una bellezza naturale. È così impressionante quello che ha creato su questi aspetti, se dovessi essere un regista mi piacerebbe emulare questo aspetto.
Per la serie hai lavorato con attori del calibro di Chloë Sevigny e Alice Braga come sono andate le riprese?
Sono impressionanti, impressionanti! Sono così professioniste, gentili, rispettose e persone meravigliose. Alice è estremamente umile, modesta e umana, non le ho mai sentito dire nemmeno una cosa negativa, è così piena di gratitudine in ogni momento. Chloë è davvero sportiva, si mette molto in gioco, ho dovuto schiaffeggiarla in faccia per una scena. Abbiamo fatto 5 o 6 riprese della stessa scena, io mi sentivo così male all’idea mentre per lei non era un problema. Ma allo stesso tempo eravamo entrambi così immersi nei personaggi, che abbiamo dovuto in qualche modo rimuovere noi stessi da noi stessi e lasciare emergere la psicologia dei personaggi. Questa è una cosa che ammiro molto di lei, non si è mai lamentata di niente.
Com’è stato tirare una sberla a Chloë?
Inizialmente eravamo entrambi molto eccitati all’idea della sberla. Lei era tipo: “Si! Strepitoso!” adora le scene pratiche. E mi ricordo che c’era Luca che diceva “Io vorrei fare una scena come un film degli anni venti, (imitando l’accento del regista italiano sul set) Chloë come ti sentiresti se Jack dovesse tirarti una vera sberla?” E lei rispose fermamente “Ma certo! Ci sto assolutamente!”. Ed io “Sei sicura?”. Questi sono i momenti che ho amato di più non per il forte gesto della sberla in sé per sé, ma sono proprio quei momenti, viscerali, crudi e realmente passionali che ho dovuto affrontare come esperienza d’attore. È stato come essere su un palco e cantare un’opera lirica a squarciagola. Un’esperienza fisica che ci ha permesso di vivere una situazione che non è accettata nella realtà, una sorta di evasione nella finzione recitativa per vivere indirettamente queste esperienze attraverso i personaggi.
So che tra le tue passioni c’è lo skateboard e il flauto a traverso, come sono scoccate queste passioni?
Ho fatto un’audizione 4 anni fa per un film chiamato Mid90s, ai tempi il mio agente mi aveva detto che dovevo imparare a fare skating per ottenere quel ruolo, e da lì me ne sono innamorato. Non ho ricevuto la parte per quel film ma credo che le persone che sono state selezionate per il cast erano azzeccate e non poteva esser fatto un cast migliore. Da quel momento ho cominciato ad allenarmi ogni giorno con i miei amici e non mi sono mai fermato. La passione per il flauto invece è cominciata con una band progressive rock degli anni ’60 ’70 chiamata Jethro Tull, sono sempre stato un loro fan, a loro si deve l’introduzione del flauto a traverso nelle loro performance rock. Sono veramente bravi, mi piace suonare la musica classica, il jazz e il Blues ma la musica dei Jethro Tull mi ha totalmente conquistato.
C’è qualcosa che ti affascina della moda? Quali sono i tuoi designer di riferimento?
Ci sono davvero tantissime cose che mi affascinano ed ogni giorno scopro cose nuove. Ho indossato tantissimi pezzi d’archivio di designer bravissimi per “We are who we are”: Raf Simons, Commes des Garçons, Vetements, Yohji Yamamoto, Balenciaga, Bernard Willhelm e altri, ma erano tantissimi e non riesco nemmeno a ricordarli tutti ma erano davvero incredibili. Giulia Piersanti la costume designer è un genio, lei ha lavorato molto con Luca, lei è bravissima e sempre alla ricerca della perfezione. Era sempre presente, anche quando mi hanno decolorato i capelli. Posso dire che ho finito di girare la serie con una consapevolezza differente della moda, non si tratta solo di vestirsi con abiti costosi e avere un’etichetta sul petto ma esprimere se stessi con una forma d’arte. Io sono un fan di ogni forma d’arte, soprattutto quando si tratta di esprimere la propria soggettività senza il bisogno di compiacere nessuno. Luca mi ha consigliato di parlare con un ragazzo Mike The Ruler, un giovane prodigio nel panorama della moda, che in qualche modo può essere paragonato a Fraser, con la sola differenza che lui è famoso e Fraser no. A lui ho domandato “Cosa ti intriga di più della moda?” E lui mi ha risposto che è una forma d’arte soggettiva e non una necessità di esibizionismo. Ho amato.
Trovi dei punti in comune tra te e Fraser?
Si, abbiamo qualcosa in comune. Me ne sono accorto soprattutto dopo che ho registrato la serie, ci sono delle cose che ho scoperto di me stesso. Nel processo di personificazione di Fraser, vedevo che c’erano degli aspetti di Jack che si miscelavano. È una parte abbastanza confusionale del processo, ma che ho accettato a cuore aperto perché è parte della sfida. Per più di sei mesi emmezzo mi sono immerso nel suo personaggio e, finite le riprese, tutto a un tratto dovevo rientrare nella mia vita reale, dovevo ritrovare e riconoscere me stesso avendo dei pezzetti di Fraser che persistevano ancora. Ho deciso così di pormi le sue stesse domande. È stato un passaggio normalissimo da fare, anche se non avessi ottenuto il ruolo di Fraser queste domande che si dovrebbero porre tutti. Forse è stata una coincidenza, probabilmente anche se non avessi girato questa serie mi sarei ritrovato davanti a questi interrogativi, perché la vita è così. La chiave di lettura è proprio nel titolo “We are who we are”, un viaggio costante alla scoperta di sé stessi. Anche se molte domande rimangono sempre senza risposta, l’importanza sta proprio nel processo di cercare di capire perché sei chi sei.
So che lavori molto con la musica e hai creato una playlist per ogni ruolo che hai recitato.. che cosa ascoltavi per immergerti nell’universo di Fraser?
La prima playlist è stata creata ancora prima che arrivassi in Italia, appena ho saputo di avere la parte ed era quella che ho ascoltato mentre ero in volo. All’inizio era molto indie ma poi è cresciuta nel tempo intanto che scoprivo Fraser e che vivevo in Italia. Ricordo che un giorno stavo camminando per strada e ho incrociato queste due signore che stavano ascoltato Mina ed io subito ho shazammato la canzone e l’ho aggiunta alla mia playlist. Chiaramente anche i Blood Orange facevano parte della playlist e hanno giocato un ruolo non indifferente all’interno della stagione. Condividevo un sacco di riferimenti musicali anche con Tom Mercier che recitava il ruolo di Jonathan. Mi ricordo che c’era anche Kanye West, Klaus Naomi, Frank Ocean.
E quali sono invece i riferimenti musicali di Jack?
Mi piacciono tanto i colossi del rock: Who?, The Doors, Led Zeppelin, Jefferson Airplane, Rolling Stones.. ma i miei gusti musicali sono particolarmente versatili, vado dalla musica classica al rap, ogni canzone mi plasma e mi trasporta a percepirne la vera essenza e le emozioni.
Quali sono i registi con cui vorresti collaborare in futuro?
Mi piacerebbe molto lavorare con Martin Scorsese, l’ho incontrato quando ero in Italia perché la spettacolare Francesca Scorsese che faceva parte del cast è sua figlia. In quel momento ero elettrizzato, è il mio regista preferito di sempre, lui è impressionante ed è intelligentissimo. Mi piacerebbe lavorare con Wes Anderson, ma anche David Lynch.
Sei mai stato in Italia prima di girare la serie? Quali sono le cose che ti sono piaciute di più?
Oh mio Dio! No, era la mia prima volta, amo il cibo, l’energia delle persone, mi trasmettono sempre passione e tutti gli italiani sono molto calorosi. l’Italia è così differente dalla California e da L.A., le persone non ti strizzano le guance qui, sono meno fisiche, mentre gli italiani si affezionano alle persone con facilità. La cultura italiana è meravigliosa, l’arte, l’architettura amo tutto.
Nel 2021 uscirà il nuovo film “Don’t tell a soul” Hai qualche anticipazione?
È un thriller in cui ho recitato accanto a Rainn Wilson, Fionn Whitehead e Mena Suvari, loro sono attori davvero talentuosi. Il film è diretto da Alex McAuley, che aveva scritto un film fighissimo del 2017 chiamato “Flowers”, questo è il suo primo debutto come regista. La storia è davvero unica ed è stato un privilegio lavorare per questo lungometraggio. Il cast è diventato una vera famiglia e abbiamo costruito un rapporto strepitoso e una storia meravigliosa. E sono eccitato all’idea che le persone lo vedranno.
Ti è piaciuto lavorare con Alex McAuley?
Certamente! Alex McAuley aka Charles Douglas, veniva chiamato così per la sua band punk. Lui è bravissimo, ha avuto un sacco di esperienze nella vita che l’hanno portato a rapportarsi e ad empatizzare con molte persone diverse e questo è il motivo del perché è un bravo regista. Nonostante la sua giovane età è pieno di saggezza ed è molto empatico. Non vedo l’ora che le persone andranno a vedere “Don’t Tell a Soul” per capire quanto è stato bravo.
Fai parte della generazione z, che rapporto hai con i social?
Non sono così interconnesso con i social media. Ad esempio se trascorro più di un’ora su Instagram mi sento bloccato e mi rendo conto che faccio fatica a staccarmene, per questo mi piace di più prendere tempo per me stesso. Di base utilizzo i social per due motivi, il primo è il business e il lavoro il secondo è per puro divertimento per mostrare le mie evoluzioni con lo skate.
Con il fisheye?
Si con il fisheye! Esattamente! Lo amo.
Nella tua filmografia c’è IT, Shazam, Me myself and I, c’è un genere che ti piace in particolare?
Umm, diciamo che ho cercato di estendere il mio approccio su ogni genere, la commedia è davvero divertente, anche i drammatici mi piacciono perché sono molto sfidanti, gli horror sono molto divertenti perchè devi mostrare delle emozioni intense. Mi sento di dirti che non posso proprio scegliere, sono solo grato e onorato che i registi mi vedano come un attore versatile.
Quali sono i tuoi attori di riferimento?
Allora il mio attore preferito di sempre è probabilmente Robin Williams. Ma mi piacciono anche gli attori un po' old school come Ernest Borgnine, Jack Lemmon. Mi piacciono Jennifer Jason Leigh, Meryl Streep e Natalie Portman, Chadwick Boseman. Steve Carell con cui ho collaborato per Beautiful Boy, mi ricordo che quando ho ottenuto la parte e ho scoperto che lui avrebbe recitato il ruolo di mio papà ho pianto tantissimo. Ci sono molti attori che mi ispirano costantemente, sarebbe interessante lavorare anche con Leonardo DiCaprio o Willem Dafoe, ma ce ne sono davvero tantissimi e aspirare a lavorare con loro è una forte motivazione per il futuro.
Hai degli obiettivi per il futuro?
Solamente continuare a fare quello che amo fare, per quanto potrò. Fino a quando vivrò voglio recitare, vivere al massimo e raccontare storie, io vivo per questo. Guardarmi allo specchio, percepire una complicazione e separarla da me stesso, espandere piccoli moduli di me stesso comunicare e trasmettere storie. Mi rendo conto che sono davvero fortunato e grato ad aver trovato tutte le opportunità che ho avuto e che vorrei portare avanti per sempre.
Icon Jack Dylan Grazer
Foto Nihat Odabasi
Fashion Oretta Corbelli
Intervista Simone Vertua
Grooming Sonia Lee for Exclusive Artists using Oribe Haircare
Foto assistant Kinsey Ball
Foto assistant Can Susluoglu
Production Mpunto Comunicazione International