Con “BlacKkKlansman”, il suo nuovo film, il regista americano Spike Lee ha infiammato il Festival di Cannes. Non pago del successo è sbarcato in Laguna, durante l’edizione appena conclusa della Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia.
Un film che affronta il tema del KKK negli anni ’70. Capo dell’organizzazione per la supremazia bianca David Duke, interpretato da Topher Grace.
Anche se ambientato quattro decadi fa il film riflette sul cambiamento sociale e politico che gli Stati Uniti stanno attraversando dopo l’elezione di Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti d’America.
In seguito a ciò infatti il regista americano ci spiega come “siano fioriti sempre più nel corso degli ultimi anni gruppi che tendono a riprendere queste correnti del passato portandole nuovamente in auge”.
Per questo motivo ha deciso di portare in scena un film che mixa alla perfezione humor e drama, con uno sguardo cinico verso un problema che sembrava, dall’esterno, superato grazie alla presidenza di Obama.
Per avvicinare maggiormente il pubblico a queste tematiche ha deciso di inserire nelle scene post-credit dei filmati live che non erano stati considerati inizialmente come epilogo di “BlacKkKlansman”: “l’idea di inserire il footage di Charlottesville con la feroce violenza neo-nazista ai danni di un corteo antirazzista, che ha causato la dipartita di Heather Heyer, è nata in seguito alla prima stesura della sceneggiatura. Quando abbiamo iniziato a girare è successo questo spiacevole incidente in Virginia, e abbiamo deciso di inserire il tutto nel film, proprio a rimarcare il concetto, che anche se BlacKkKlansman è ambientato negli anni ’70 il messaggio arriva forte e chiaro ai giorni nostri”.
Un legame forte con la cinematografia italiana quello di Spike Lee, che insegna ai suoi studenti di cinema attraverso i film della nostra storia: “non ci sono film migliori di quelli italiani per insegnare a giovani filmaker indipendenti le basi di questo lavoro. Il neorealismo italiano ha colpito profondamente me come studente e cerco di trasmettere la stessa passione e amore per questo tipo di cinema ai miei alunni”.
Un’America quella in cui vive che ha definito non solo la più razzista anche la più sessista nei confronti delle donne “Il problema è che tutto questo viene amplificato da chi è a capo di tutto questo”. Non fa mai nomi, utilizza uno pseudonimo “l’agente orange”.
Qual è allora il modo migliore per superare queste difficoltà e questi attriti, non solo negli Stati Uniti, anche nel resto del mondo?: “le nuovi menti, i giovani ci salveranno, sono la chiave di tutto. Abbiamo bisogno di punti di vista e idee nuove, solo così potremmo superare tutto quello che di negativo le nostre generazioni hanno creato.
Non bastano le popstar come Rihanna o Beyonce a guidare un cambiamento. Il numero di artisti afroamericano è ancora basso in confronto a chi riesce ad ottenere notorietà. Anche su questo la strada è ancora lunga.”