Pop culture

Interview Magazine, la storia di un mito

The Crystal Ball of Pop è scoppiata: entro il 2018, la rivista fondata di Andy Warhol verrà chiusa
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Era il 1969 quando, in una New York più febbricitante che mai, veniva fondata la rivista che più ha rivoluzionato l'estetica mondiale. Il magazine era Interview, le menti geniali che gli hanno dato vita Andy Warhol, John Wilcok e Gerard Malanga. Una parabola di successo folgorante, inizialmente e, poi, di lungo decadimento dopo la scomparsa di Warhol e la nuova gestione editoriale. Così, l'editoria deve dire addio a un altro (l'ennesimo) capolavoro: Interview Magazine chiude, è ufficiale. Lo farà entro e non oltre il 2018. È stato Ezra Marcus, redattore associato, a comunicarlo con una mail ai dipendenti del mensile: nelle prime ore di lunedì 21 maggio 2018, tutti sapevano che i bilanci erano stati depositati in tribunale e che era stata avanzata la richiesta di apertura del procedimento fallimentare. Quello che si dice un lunedì nero.
 

Ma prima, molto prima di questa triste fine, Interview era la rivista su cui tutti volevano comparire, musicisti, artisti, attori. E non in una parte defilata del giornale, sia chiaro, ma in copertina: nella sua epoca d'oro, essere sulla copertina di Interview era equivalente a essere eletto come personaggio più cool del momento. Tanto che, si dice, un alticcio Andy Warhol prometteva a tutti che, prima o poi, ce l'avrebbe fatta a metterli lì dove volevano essere. A fare la storia di Interview sono state senza dubbio loro, le cover: coloratissime, psichedeliche, modificate quando nessuno alterava niente. Il contrasto con le foto all'interno era netto: nessun colore, solo bianco e nero, sì, ma per mano di talenti indiscussi come Robert Mapplethorpe, Herb Ritts, Peter Beard e Bruce Weber. D'altra parte è la rivista che ha lanciato, tra molti, David LaChapelle e Matthew Rolston
 

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Una pietra miliare dell'editoria il cui successo ha contribuito a tessere con maggiore definizione la scena culturale underground della Grande Mela, dalla factory di Warhol allo Studio 54 fino al Mud Club. E che, con l'emblematico soprannome di The Crystal Ball of Pop, ha saputo fare molta della rivoluzione creativa a cui, ancora oggi, i giornali attingono. Non solo da un punto di vista d'immagine, ma anche testuale. Le interviste di Warhol hanno fatto la storia e sì, anche nascere un nuovo stile: quasi mai editate, Andy si soffermava sui dettagli delle vite dei personaggi piuttosto che su ciò che tutti conoscevano. Forse perché la verità sta nelle cose più banali e sincere, è lui che, per primo, chiedeva loro cosa mangiassero a colazione. 
 

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Dopo l'esordio dal successo fulminante, Interview passa sotto la direzione prima di Bob Colacello e poi Ingrid Sischy, diventando sempre meno audace e fuori dal coro, sempre più appiattita e simile e alle migliaia di altre riviste pop. E dopo la scomparsa del suo fondatore nel 1987, nell'89 viene acquisita dal collezionista d'arte Peter Brant, miliardario. L'acquisizione segna ancora di più il declino, costellato da problemi finanziari e legali. Solo in tempi recenti, la redazione è stata sfrattata dalla sede di SoHo per il mancato pagamento dell'affitto, senza contare il fatto che Fabien Baron, ex direttore artistico, ha fatto causa alla rivista per arretrati pari a 500mila Euro. E no, nemmeno Interview è rimasto indenne allo scandalo delle molestie: lo stylist Karl Templer, accusato, si è dovuto dimettere. 
 

Una storia affascinante che, come tutte quelle più belle, deve finire. Di Interview ci restano i numeri da collezione (teneteveli cari, tra qualche anno varranno parecchio), le copertine pazzesce, il genio di un artista come Warhol. E, soprattutto, la capacità di essere lo specchio esatto di un'epoca, cosa che ormai in pochi sono ancora capaci di fare: The Crystal Ball of Pop. La bolla è scoppiata.

Foto courtesy: Instagram @interviewmag
 

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