Musica

Sophie Ellis-Bextor riaccende le danze e sul dancefloor torna la Disco

Con aplomb autenticamente anglosassone e la voce intrisa di sfumature melodiche, Sophie Ellis-Bextor inscena, col plauso dei social, il suo spettacolo pop definitivo. Si chiama “Songs From The Kitchen Disco” e viaggia su coordinate disco revival, tra paillettes e mirror balls
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Insieme al marito Richard Jones, bassista dei The Feeling, ha messo su uno degli spettacoli tra i più memorabili in tempi di lockdown. In diretta dal suo profilo Instagram, Sophie Ellis-Bextor ci ha fornito un essay di puro intrattenimento come mai nessuno prima. Una cosa apparentemente semplice: le è bastato indossare degli short glitterati, un paio di pattini vintage a rotelle e impugnare un microfono a favore di telecamera per riprodurre tra le mura di casa uno vero e proprio live show. In realtà Sophie Ellis-Bextor ha saputo confezionare molto più di un mero siparietto social, ci ha permesso - e l’ha permesso in primis a se stessa - di fuggire dalla monotonia di giornate scandite soltanto da “bad news” aggrappati alla spensieratezza della musica pop. Come artista Sophie ha già più volte dimostrato di avere una sensibilità differente, un po’ schiva nei confronti delle tendenze mainstream, ma ugualmente capace di regalare alla storia della musica squisite hit come “Murder On A Dancefloor”, “Get Over You”, “Bittersweet”. Oggi i riverberi della dorata Disco Music si fanno sentire nella sua interpretazione dal sapore nostalgico di “Crying at the Discotheque”, cover degli Alcazar e leading single del suo primo Greatest Hits. Si chiama “Song From The Kitchen Disco” e tira le somme di un successo ventennale che meritava di essere degnamente celebrato. Sorriso smagliante e scarpine glitterate, Sophie si esibisce per un pubblico di sedie vuote, di discoteche deserte, di arene abbandonate. Un’allegoria perfetta del presente, costruita con quell’aplomb totalmente londinese e con uno stile deliziosamente pop mai stucchevole. “Song From The Kitchen Disco” è una gemma di perfezione pop che Sophie non aveva pianificato. Il miglior progetto musicale del momento insieme a quelli di Kylie Minogue e di Róisín Murphy. Tutti e tre incentrati sul concetto di Disco. Non è affatto un caso. La Disco ci manca, ci serve, non come spazio reale in cui recarci fisicamente, ma come dimensione del sogno attraverso cui esorcizzare la bruttezza del mondo, le frustrazioni di una vita imperfetta, la paura di invecchiare. Grazie Sophie.

Durante i mesi di lockdown sei stata sotto i riflettori di Instagram come mai prima. Che cosa ti ha spinto a voler essere così presente?
Ho seguito totalmente il mio istinto. L’inizio del lockdown e ciò che sta accadendo nel mondo ha spaventato tutti noi, ma allo stesso tempo ha spinto le persone a volersi connettere tra loro per condividere le proprie emozioni. Lo trovo molto intenso. Anche se ho potuto trascorrere quei mesi con le persone che più amo, mio marito e i miei cinque figli, sentivo il peso dello stress generato da quella situazione e volevo creare qualcosa di gioioso attraverso la musica. Così è nato il progetto “The Kitchen Disco”, ma devo ammettere che l’idea di trasmettere tutto in diretta su Instagram l’ha avuta mio marito. È stato folle, ma ci ha fatto sentire meglio.
 

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Foto Sophie Muller
Foto Sophie Muller


Esibirsi davanti a un’audience virtuale può essere limitante, ma quali pensi siano gli aspetti positivi di una performance online?
“The Kitchen Disco” non vuole essere un surrogato di un’esibizione in presenza - cantare circondata dai miei bambini non è proprio la stessa cosa, ahaha - bensì un modo per raccogliersi in una community, un luogo in cui potersi ritrovare uniti. Tutti possono partecipare da ogni parte del mondo, simultaneamente e senza un biglietto d’ingresso. Ognuno può fare quello che vuole, cantare o ballare. Un concerto vero e proprio presuppone invece parecchie aspettative, fare uno show su Instagram è soltanto un modo per cercare compagnia.

Prima che la vita, per come la conoscevamo, cambiasse radicalmente, quali erano i tuoi progetti?
Davanti a me si stava profilando un anno davvero impegnato. Avrei dovuto essere in tour no-stop da aprile a dicembre. Stavo lavorando alla realizzazione del mio nuovo album con Ed Harcourt, già produttore dei precedenti dischi, Familia e Wanderlust. Ero molto presa e concentrata.

Quindi nel 2021 vedremo un tuo nuovo disco? Come sarà?
Si, ormai manca poco. Sarà un disco pop con spinte dance, ma in chiave progressive.

Il Greatest Hits era già in cantiere oppure è nato d’impulso durante questi mesi?
No, non c’era nessun Greatest Hits in programma, è diventato realtà solo in seguito al successo ottenuto con le dirette Instagram.

Il singolo trainante è una cover degli Alcazar. Perché hai scelto di reinterpretare proprio questo brano?
L’ho sempre considerata una bellissima canzone che avrei voluto cantare in un mio show. Per me non è soltanto un tormentone, ma ha un significato simbolico: gli Alcazar hanno eseguito con abilità e intelligenza un fantastico disco anthem e l’hanno inciso e cantato nello stesso anno del mio debutto solista con Dj Spiller, “Groovejet (If This Ain’t Love)”. Per me ha un ché di poetico in questo momento preciso.

Il video è una favola glitterata e malinconica al contempo. Come sono andate le riprese? Il vestito che indossi è opera di qualche designer in particolare?
Vivo a Londra, una città notoriamente piena di vita e di locali internazionali. Abbiamo deciso di filmarne sette, tra discoteche, arene e salette, in un solo giorno. È stato emozionante, ma il video ultimato ha una patina di tristezza perché tutte quelle location piene di vita adesso sono chiuse. Niente più danze, niente più lavoro per molte persone. Ho scelto di indossare l’abito più luccicante che avessi… Brillante come la designer che l’ha realizzato, Rosa Bloom. Amo indossare i suoi capi da molti anni.

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Ti sei sentita un po’ come Ziggy Stardust?
Ehehe, si esatto. Sarà stato per l’effetto di tutte quelle paillettes.  

Come hai scelto i brani da inserire nella tracklist del Greatest Hits?
Sono tutti i singoli che ho cantato durante il progetto “The Kitchen Disco”. Ho aggiunto qualche nuova cover: “Crying at the Discotheque” degli Alcazar, “Do You Remember The First Time” dei Pulp, “My Favorite Things” di Judy Garland e “True Faith” dei New Order, band che amo profondamente.

Mi sarebbe molto piaciuto ritrovare anche “If I Can’t Dance”, che personalmente reputo un pezzone immeritatamente sottovalutato.
Se avessi potuto avrei inserito molte altre canzoni nella tracklist, ma ho cercato di far stare tutto dentro un unico cd. Mancherebbero all’appello anche altri successi come “Off & On” e “Can’t Fight This Feeling”. Magari finiranno in una seconda collezione, chi può dirlo…

Come tuo fan sento di doverti chiedere spiegazioni riguardo all’assenza, su Spotify, del tuo album meraviglioso “Make A Scene”. Com’è possibile? 
Non ne ho davvero la più pallida idea e la cosa non mi piace affatto. Ho fatto presente quest’omissione al mio management perché non è per niente carino. Spero che “Make A Scene” possa suonare presto su Spotify come è giusto che sia. 

Perché molte recenti uscite discografiche - compreso il tuo “Songs From The Kitchen Disco” - stanno riportando in auge il sound e l’estetica della Disco Culture?
Può sembrare strano che stia accadendo proprio in questo momento, ma ha senso per diverse ragioni. La Disco Culture è nata come una sorta di ribellione contro le restrizioni, ma allo stesso tempo rimanda a un luogo in cui poter condividere emozioni. Oggi sentiamo molto la mancanza di un posto così.

Sei stata un’assidua frequentatrice della scena club londinese?
È merito del clubbing se ho iniziato a fare seriamente musica. Anzi, non so neanche se sarei diventata una cantante senza clubbing. Nei club ho incontrato quelle persone che poi sono diventate la mia prima band. Il mondo della notte mi ha anche aiutato a ricrearmi una mia tribù, persone meravigliose con cui ritrovarmi ogni venerdì sera.

Hai iniziato la tua carriera come cantante di una band indie, Theaudience. Cosa rimane di quel periodo?
Ero letteralmente ossessionata dal Brit Pop, tutto è scaturito da lì. Quando ho iniziato a lavorare al mio primo album solista la parola “pop” era quasi proibita a causa di un certo snobismo. Io credo che artisti come Madonna, Prince e David Bowie abbiano invece dimostrato quanto possa essere meraviglioso questo genere musicale. Penso sia uno dei generi più ambiziosi perché cerca di riuscire a condensare in soli tre minuti emozioni e sentimenti importanti. 

Qual è l’ambizione artistica, il progetto o il sogno che immagini di realizzare in futuro?
Non sono molto brava in questo genere di cose. Voglio semplicemente proiettarmi verso nuove sfide. Completare il prossimo disco in uscita. Continuare a lavorare ai miei podcast e alle cose che mi rendono felice. Farò del mio meglio per estendere il tour che affiancherà l’uscita del disco anche al resto d’Europa e non solo al Regno Unito, adorerei tornare a esibirmi in Italia.

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Foto Sophie Muller
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