Emily Beecham, l'attrice di 'Crudelia', is on a roll
La Palma d'oro a Cannes due anni fa per un ruolo da Frankenstein donna, inventrice di una pianta della felicità dagli effetti inquinanti. E ora l'attrice è attesa nel nuovo adattamento di "The Pursuit of love" e "Crudelia" il nuovo successo Disney con Emma Stone
Photography LEONARDO VELOCE
Styling ROSE FORDE
Emily Beecham è a Berlino per le riprese di “1899”, serie Netflix incentrata su una nave di migranti partiti da Londra per New York. «Sono affascinata dall’estetica di “1899”, resa possibile da una nuova tecnologia utilizzata prima d’ora solo per “The Mandalorian”: siamo letteralmente circondati da un landscape virtuale», racconta l’attrice, che a Berlino ha raggiunto il proprio compagno tedesco: «Spero sia l’occasione di riuscire “finalmente” a imparare a parlarne la lingua». Minuta, un viso da bambola di bisquit sotto una massa di riccioli rossi, Emily Beecham è da noi quasi sconosciuta, nonostante la Palma d’oro di miglior attrice protagonista vinta a Cannes nel 2019, l’anno del trionfo di “Parasite” di Bong Joonho. Il film di Emily era “Little Joe”, costarring Ben Whishaw, un horror ipnotico, inquietante, ambientato in un universo cromatico verde acido e rosa fluo diretto da Jessica Hausner, la regista di “Lourdes” e “Amour fou”. Storia di un “Frankenstein femmina” (nelle parole della regista), dove la Beecham è una scienziata che bioingegnerizza una happy plant, un fiore antidepressivo in grado di influire sull’umore delle persone, liberandole da ansie, apatie, tristezze. Tutto troppo bello per essere vero naturalmente, come scoprirà la scienziata che, contrariamente alla deontologia professionale e alla policy aziendale, ne ha portato a casa un esemplare per regalarlo al figlio con cui ha un rapporto rigido, poco empatico. La sua performance quasi meccanica, da madre della pianta e madre del bambino, conquistò la giuria presieduta da Alejandro González Iñárritu. Per Emily, già tornata a Londra dopo la proiezione della prima, il giorno della vittoria è ancora avvolto in una specie di blur visivo e mentale. «Non immaginavo neanche di essere stata presa in considerazione come candidata. Mi hanno chiamato la mattina stessa per dirmi che dovevo precipitarmi a Cannes. Per fortuna ha organizzato tutto Chanel, il vestito, l’auto che mi ha portato, credo nella metà del tempo impiegato normalmente, dall’aeroporto di Nizza alla Croisette. Era tutto surreale, ho un ricordo completamente confuso della consegna del premio, il mio cervello ha ricominciato a funzionare solo quando mi sono ritrovata in backstage a bere champagne a fianco di Catherine Deneuve!».
Daphne è stato il ruolo migliore di tutta la mia carriera: interpretavo una donna della mia stessa età, il cui stile nomadico, privo di radici, simile al fluttuare di una medusa, è la condizione tipica della vita dell'attrice
L’OFFICIEL: Come è cambiata la tua carriera dopo Cannes?
EMILY BEECHAM: Prima la mia vita era fatta di infinite audizioni, ora molto meno. Ma in realtà già dopo il successo di “Daphne” (il film del 2017 per cui era stata premiata al Festival del cinema internazionale di Edimburgo, nda) erano cominciati ad arrivare soggetti e ruoli più interessanti, come se dopo un personaggio del genere la gente pensi di conoscerti, noti certe qualità. C’era stato in effetti un forte coinvolgimento del pubblico, quasi come se avessimo guardato da una piccola finestra nella vita degli altri.
LOI È un ruolo cui sei particolarmente legata?
EB: Direi che è stato il mio ruolo migliore, perchè ci sono così tante persone nel personaggio, e perchè interpretavo una donna della mia stessa età, il cui stile nomadico, privo di radici, simile al fluttuare di una medusa, è la condizione tipica della vita dell’attrice. Mi ero affezionata a lei, mi preoccupavo per lei, così amabile ma tutto sommato così incompresa. In UK il film è uscito quasi in contemporanea con “Fleabag”, altra pellicola incentrata sul risvolto dark di essere una giovane donna indipendente, un’esperienza complessa di cui prima non si parlava a livello mediatico e che grazie a questi film è diventata un topic.
LO: Hai sempre voluto recitare?
EB: Mia madre mi portava molto al cinema e a teatro da ragazzina. A 18 anni mi sono iscritta alla London Academy of Music and Dramatic Art.
LO: Chi sono i registi che ti hanno segnata di più?
EB: Ho adorato lavorare con Emily Mortimer, straordinaria- mente intelligente e super empatica. Mi è sempre piaciuto il suo lavoro e girare con lei “The pursuit of love” è stato un vero regalo! E ho un bellissimo ricordo di “Hail, Caesar!”: i fratelli Coen avevano instaurato sul set un’atmosfera familiare, molto rilassata, che lasciava grande spazio all’improvvisazione.
LO: È “ diverso” lavorare con registe donne?
EB: Sono due o tre anni che mi arrivano progetti di registe donne, prima erano sempre e solo uomini. Credo che le donne portino avanti un discorso onesto e aperto attorno a varie esperienze, in primis la sessualità, e che affrontino topic precedentemente non discussi, come l’invecchiare. In generale i loro personaggi sono più ricchi di sfumature e più interessanti. Jessica Hausner e Emily sono diversissime tra loro, ma sono entrambe estremamente aperte ed intelligenti. Jessica è particolarmente audace, è bravissima a portare l’audience verso una direzione e poi a spiazzarla con un’improvvisa inversione a U.
LO: Cosa puoi dire di “The pursuit of love”, il romanzo del ’45 di Nancy Mitford riadattato in una nuova serie BBC?
EB: Delle riprese ho un ricordo bellissimo, con Lily (Collins, la coprotagonista, nda) ed Emily (Mortimer, la regista) ci scambiavamo continuamente poesie, e la playlist era semplicemente magnifica: Liza Minnelli, Cat Power... Non c’era il classico feeling da drammone storico, anche se questa è l’ennesima trasposizione del romanzo della Mitford, la maggiore delle sei aristocratiche sorelle Mitford, personaggi pop ante litteram, ed oggetto di un’attenzione mediatica spasmodica, legatissime tra loro per tutta la vita anche se diversissime per convinzioni politiche, da Unity, entusiasta ammiratrice del Führer, che tentò il suicidio quando la Germania entrò in guerra con l’Inghilterra, alla comunista Jessica, fuggita di casa per sposare il cugino andato a combattere i franchisti in Spagna. Il racconto (che incorpora molti episodi della vita reale delle sorelle) si sviluppa su un arco temporale di 17 anni con uno script fedele allo stile di scrittura, divertente, radicale, emozionante del libro, che segue gli alti e bassi di un’amicizia tra il mio personaggio, Fanny, e sua cugina Linda (Lily James). Linda abbandona figlia e marito, mentre Fanny, che è vissuta con il trauma dell’abbandono da parte di sua madre, compie scelte più convenzionali e rispettabili, al punto che, diventata madre a sua volta, non può più proseguire la sua carriera di scrittrice molto importante per lei. Emily ci ha fatto vedere un documentario su Ingrid Bergman che raccontava la sua decisione di abbandonare i figli, lo sguardo della società su di lei e la reazione dei figli: credo che film come questo, che contribuiscono a parlare onestamente dei problemi della maternità, dalla depressione post natale all’aborto, siano importanti... Ma i temi trattati non sono solo perdita, maternità e abbandono: è molto forte anche quello della xenofobia. E al tempo stesso è una grande storia d’evasione, perfetta dopo un momento così devastante.
Credo che le registe donne portino avanti un discorso onesto e aperto attorno a varie esperienze, in primis la sessualità. E che affrontino topi non discussi come l'invecchiare
LO: E cosa puoi dire dell’attesissimo “Crudelia”, il prequel Disney de “La carica dei 101” in uscita il 21 maggio?
EB: Molto poco, le regole della Disney sono ferree. Posso dire che è pervaso dall’estetica punk, alla Vivienne Westwood, che il regista, Craig Gillespie, quello di “I, Tonya”, ci ha chiesto uno stile molto naturale di recitazione, che Emma Thompson è adorabile e che i costumi di Jenny Beavan sono incredibili.
LO: Chi sono i tuoi attori preferiti?
EB: Adoro Isabelle Huppert, così audace, così non convenzionale. Jim Carrey, Gary Oldman. E mi capita di vedere attrici bambine eccezionali.
LOI: Con quali registi ti piacerebbe lavorare?
EB: Jim Jarmusch, Iñárritu, Kenneth Lonergan (il regista di “Manchester by the Sea”), Yorgos Lanthimos, Lynne Ramsay (la regista di “E ora parliamo di Kevin” con Tilda Swinton).
LO: Dove ti rivedremo?
EB: In “The outside room” a fianco di Vanessa Redgrave e Sverrir Gudnason (il Borg di “Borg vs. McEnroe”), “Emily”, sulla giovinezza di Emily Brontë, l’autrice di “Cime tem- pestose”, (dove sarà Charlotte Brontë, cui dobbiamo”Jane Grey”, nda) accanto a Joe Alwyn e Fionn Whitehead (visto in “Dunkirk”), e “Cry from the Sea”, con Jamie Dornan. Forse ci sarà una specie di seconda stagione di “The pursuit of love”, ci sono così tanti libri della Mitford... ma al momento il futuro è così incerto.
LO: Cosa ti piace fare quando non sei sul set?
EB: Sono ossessionata dalla musica, dal suono dalla chitarra. E adoro mangiare. E ballare
TALENT: Emily Beecham;
HAIR: Maki Tanaka using Oribe;
MAKE UP: Justine Jen- kins using Nude by Nature;
FASHION ASSISTANT: Shannon Clayworth;
PHOTOGRAPHY ASSISTANT: Federico Covarelli.