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Creatività Italiana: 10 designer da non perdere

Una nuova generazione di designers. Tra cultura, scultura, cartamodelli e arte; un viaggio in atelier alla scoperta del loro mondo, in compagnia delle muse che li ispirano
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Molti credono nel made-to-order, nell’upcycling di tessuti già esistenti, nella volontà di andare più lenti. Un modo per godersi il processo creativo, senza pressioni e in barba alla stagionalità. Con una vocazione comune al non sovra-produrre, al realizzare tutto in Italia, con materie prime di qualità, il più delle volte sostenibili e con meno spreco possibile. La “loro” bellezza non è più fatta di regole, è libera dalle convenzioni, dai generi, dagli stereotipi. Le muse possono essere le amiche, le modelle del cuore, la mamma, la nonna, l’artista, la coreografa, il fotografo-ballerino, l’ingegnera. Dieci label con altrettante collezioni nate poco prima o durante il lockdown, so!erte, amate, fortemente volute. Dieci collezioni diverse eppure pensate con l’immagine della donna vera da una parte e la diva dall’altra, perché i con"ni tra realtà e stardom non sono né invalicabili, né così netti. Quasi tutti basati a Milano, città che ritengono fondamentale come “piazza” di debutto, sono dieci nomi che non hanno paura di collaborare tra loro, amici che si stimano a vicenda e i cui percorsi professionali si sono incrociati spesso. Come nel caso di Cortese, Boaro, Vigilante e Adamo, tutti con un passato presso grandi maison e pronti all’avventura. Altri al debutto assoluto come Francesco Murano, vincitore di “Who’s on Next” 2020, altri ancora con studi di moda non canonici, come Buccinnà, o uniti in collaborazioni multidisciplinari come Oh Carla. Alcuni di loro vogliono fare sistema e spalleggiarsi, come Bacchilega, e mentre per Valenti è importante rappresentare con orgoglio le nostre tradizioni e l’italianità, secondo Reamerei tecnologia e natura possono coesistere in armonia. Il portfolio de L’Officiel Italia fotografa lo zeitgeist di un momento incerto, che ha dato i suoi frutti e che, proprio per la sua intrinseca mancanza di definizione, o!re l’opportunità di ri#ettere sulle novità del settore. È arrivato il momento di iniziare a scrivere il primo capitolo della storia della moda italiana 3.0, senza cercare il talento fuori dei nostri confini. C’è voglia di nuovo, e noi tifiamo per loro.

Andrea Adamo con le muse Nabou Thiam e Greta Futura

Sono come mi vedi. Il manifesto di Andrea Adamo parte dalla libertà di essere quello che si è: senza costrizioni, stratagemmi e artifici; la sua label e la prima collezione lanciata per la SS/21 è, nel vero senso della parola, come una seconda pelle. Knitwear o jersey monocolori che si modellano sul corpo senza cuciture, avvolgendolo, esaltandone le forme, seguendone le linee senza modificarle. Un concetto di body positivity primordiale, che si declina in una palette di colori simile a quella del fondotinta: NUDO 01, NUDO 02 e così via, per una collezione che comprende short, top cut-out, maxi bluse, leggings e vestiti dalle silhouette minimal. «Nel mio caso la persona fa l’abito con il suo modo di essere. Oggi dire “gay”, “etero”, “effeminato”, “virile”, “grossa” o “non grossa”, “bianca, nera gialla” non ha senso. Per me la nudità è legata alla caduta delle etichette verso la creazione di un concetto di ben più ampia portata: il fit universale, ovvero il fit che non esiste, perché è al servizio di tutti». La scelta di impiegare pochi materiali, in un’ottica sostenibile, così come un packaging essenziale fatto con materiali riciclati è per Andrea il fondamento del suo brand, non un obiettivo a cui tendere, né un trend da seguire. E, più di tutto, la propensione alla sensualità – provata nei grandi atelier di Dolce & Gabbana, Zuhair Murad e Roberto Cavalli – ha sempre fatto parte dei codici dello stilista calabrese, che traccia ora il suo personale dress code, con una sottile vena erotic-chic, ma comunque con un approccio che si può definire di naturismo elegante. Le sue muse sono le persone di cui si circonda, la nonna che l’ha cresciuto nella sartoria di famiglia, le figure femminili della sua vita, dalle amiche alle modelle senza distinzione di taglia.

Christian Boaro con la musa Jessica de Pretto

Detesta essere definito un designer emergente. Anche perché di strada ne ha fatta tanta. Nel suo percorso Christian Boaro ha toccato il barocco di Dolce&Gabbana, il glitz & glamour di Versace e ancor prima l’eleganza architettonica di Gianfranco Ferré; ma è ripartito dalla sua tesi di laurea per tracciare la base per il brand e per la collezione 0. Il nero, unico colore, a parte qualche tocco di bianco purezza, non è affatto un inno all’oscurità, ma piuttosto una somma di sensazioni potenti, di mille colori e vibrazioni differenti. Nel nero c’è l’austerità, l’eleganza, ma anche la vibe della strada, il pizzo chantilly see through è utilizzato sia per lui che per lei, con capi che quasi non presentano distinzione di genere in un dialogo fra sport e couture. I materiali, semplici e scelti con cura, sono lane giapponesi, cotoni di volume e la duchesse di seta speciale usata per confezionare il maxi abito canotta (scattato in questa foto) che è un regalo di Ferré in persona. «Ho lavorato con Ferré all’inizio della mia carriera e a lui devo molto di quello che imparato. Solo in apparenza dal carattere burbero, era in realtà molto ironico e profondamente buono. Un uomo di altri tempi, colto ed elegante in modo effortless, che mi ha trasmesso il valore del lusso, quello vero, di fare le cose per bene».

AC9 - Alfredo Cortese con la musa Vanessa Bolognini

«Non ho una formazione da designer vera e propria, mi vedo più simile a Victoria Beckham o alle gemelle Olsen, figure che hanno il talento e la capacità di creare un prodotto portabile e desiderabile. AC9 vuole rappresentare questo tipo di approccio alla moda». Il percorso di Alfredo Cortese parte da un’esperienza come pr, quando nel 2014 inizia a lavorare per N°21, apprezzando il senso estetico e la moda di Alessandro Dell’Acqua, che diventerà suo mentore durante il primo lockdown, chiedendogli di partecipare a un programma di supporto per designer emergenti in collaborazione con Tomorrow Ltd. Per la collezione S/S 21 Cortese si ispira all’Oriente, da cui il nome “Conversazioni lontane”; e parla di una femminilità celata da forme e volumi, che si svela piano piano grazie ad aperture che fanno intravedere la pelle. Popeline organico e duchesse, seta e maglieria con maxi elementi di decoro, scarpe-scultura in materiali vegani completano un look austero e sensuale. Con plissettature importanti e asimmetriche, una palette monochrome di colori assoluti, come il bianco e il nero, alternata a tocchi pop a cavallo tra ’80 e ’90: giallo neon e lilla, pensati per una donna alla ricerca di uno stile immediato e ricercato al tempo stesso, con una grande attenzione per la vestibilità.

Oh Carla! - Claudia Nesi ( sulla sinistra) e Carlotta Boldracchi (sulla destra) con al centro la musa Nina Granic

Oh Carla è il modo con cui Claudia e gli amici chiamano Carlotta ma anche un’esclamazione di stupore. Lo stesso stupore che Claudia Nesi e Carlotta Boldracchi vorrebbero suscitare in chi ammira la loro Collezione 001. Concepita in piena pandemia, la prima prova di entrambe è riuscita a portare l’estetica del recupero e dell’upcycling a livelli couture. Con silhouette fluide, tra l'alieno e le creature di Atlantide, il lavoro di Claudia e Carlotta è affiancato da un team multi-disciplinare, lo stylist Ivan Bontchev, Francesca Ballardini, alla ricerca e Andrea Cocco, alla creazione degli accessori, come gli head-piece da fata che completano i look. Il lavoro di layering e patchwork è fondamentale per creare abiti bodycon, che scivolano sinuosi sul corpo grazie a un filo elasticizzato. Il gioco di pesi tra trasparenze, mondo lingerie e pantaloni a zampa anni ’70 si mixa alla psichedelia dei colori Eighties ed è sigillato da incrostazioni di perline a forma di fiori e strati di petali di tessuto. Ogni capo è riproducibile in piccole quantità ed è unico. «In questo momento siamo un brand solo direct to consumer, perché si tratta di un prodotto artigianale, fatto a mano e personalizzato su richiesta. L'obiettivo più importante ora è quello di riuscire a raccontare agli altri il nostro immaginario portando avanti l’idea di una creatività collettiva, costruita sulle sinergie».

Alessandro Vigilante con la musa Olga Sherer

Da ballerino a fashion designer. Dopo un passato da danzatore professionista dove ha sviluppato l’interesse per l’armonia del corpo e il movimento, Alessandro Vigilante ha pensato di vestirlo. E così il suo curriculum si arricchisce di esperienze formative di alto livello, come quella al fianco di Domenico Dolce (che considera il suo maestro), fino all’avventura con l’amico Lorenzo Serafini da Philosophy. E poi la voglia di credere nelle sue capacità e tornare a concentrarsi sui movimenti e l’espressione corporea. ATTO I, il nome della prima collezione, si rifà proprio ai tempi delle opere teatrali, le sue giacche e i capospalla over e sartoriali si chiamano con i nomi delle sue muse di riferimento: Pina Bausch, madre del teatro danza, Carolyn Carlson, la leggendaria coreografa e danzatrice statunitense e Sylvie Guillem, ballerina dalle doti eccezionali; tutte artiste del movimento. «I loro corpi atletici e fortemente espressivi influenzano le mie silhouette che scivolano, lasciando intravedere la pelle. Sul corpo di un danzatore è scritta la sua storia: si leggono lo sforzo, la disciplina, le fragilità, il lato maschile e quello femminile, la sensualità e il rigore, i limiti. Amo un femminile imperfetto, androgino, forte, erotico». E poi la fascinazione per il latex, in versione vegana – tutti i tessuti e i processi di produzione sono sostenibili – che fa parte del dna del look Vigilante e che scolpisce il corpo con la pencil skirt come con gli shorts da ciclista

Francesco Murano con la musa Micaela Miculi

Non aveva ancora vinto il concorso “Who’s On Next” 2020 quando inaspettatamente riceve un direct su Instagram dalla stylist di Beyoncè, che lo catapulta in un videoclip di Queen B. A soli 23 anni, mentre sta lavorando alla collezione 0, cambia tutto. E molto molto in fretta. Lo stile scultoreo barocco di Murano ha incantato la regina della musica con un paio di scarpe dal tacco zigrinato e una giacca da bossvestale, in un’immagine in cui è racchiusa la sua visione della femminilità, allo stesso tempo moderna e tradizionale. Drappeggi, balze, spalle squadrate per tute-abito e giacche con panneggio che ricordano i pepli delle donne della Grecia classica. L’ultima collezione è una continuazione del progetto iniziale “Ossimoro plastico”: alla base ci sono gli opposti legati all’Apollineo e Dionisiaco come concetti spirituali e la continua ricerca dell’equilibrio, in un alternarsi di forme rigide ma allo stesso tempo fluide. L’equilibrio è dato anche dalla scelta di colori, che sono molto tenui e polverosi, in una tensione verso la plasticità. «Sono fiero di essere italiano e di produrre localmente con aziende certificate e mi auguro che in futuro sapremo valorizzare di più il talento e le maestranze che solo il nostro Paese possiede. Confido anche nelle grandi aziende e nel fatto che possano aprire le porte a nomi nuovi». Poche ore dopo lo shooting arriva la telefondata di Cardi B, sono firmati da Murano i completi dell'ultimo video "UP".

Nicola Bacchilega con la musa Irene Carpi

L'approccio all’abito è simile a quello per la scultura. Anche perché è da lì che Nicola Bacchilega passa alla moda. La Collection Zero per la SS/21 è l’unione tra l’arte della ceramica, frutto degli studi all’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza, e le tecniche di lavorazione dei metalli apprese nell’atelier di Giò Pomodoro. La femminilità e la scultura si fondono enfatizzandosi a vicenda, con abiti scudo, che proteggono il corpo. Forme geometriche si alternano a drappeggi morbidi, la struttura delle giacche alla fluidità della seta; il metallo appare come decoro e punto di incontro per scollature o come accessorio. L’esperienza che lo ha segnato di più è stata quella all’Atelier Versace, dove ha lavorato al fianco del maestro Luigi Massi, storico modellista di Gianni, per la realizzazione degli abiti di Madonna, Jennifer Lopez e Dua Lipa, per la quale si augura di poter creare un abito da dea. Perché Nicola ci vede tutte come #wonderwomen e pensa a una moda che eleva il potere ultraterreno delle donne trasformando il concetto di Superuomo di Nietzsche in versione femminile. Il tutto con un savoir-faire innovativo grazie all’uso della ceramica, che evita l’utilizzo di materiali d’origine animale e stoffe eco-sostenibili o tessuti upcycled. «Credo nell’unione e collaborazione con giovani creativi. Per la FW 21/22 ho avuto il piacere di lavorare con Justine Garner, designer di gioielli fatti a mano esplorando insieme la curvilinearità e il rapporto tra le espressioni della sensualità e la fluidità della forma».

Nicole Valenti con la musa Marcello Arena

Doveva diventare medico, come il papà, ma la passione di Nicole per la moda ha preso il sopravvento. Così da Soverato si trasferisce nel capoluogo lombardo per studiare alla Marangoni di Milano. La campagna pubblicitaria della collezione di debutto, chiamata “Oh! Madre!,”è la copertina di un fantomatico magazine anni ’80, con titoli come “la borghesuccia rampante”, “scopri l’oroscopo” e “consigli di bellezza”. Ed è così che la giovane Nicole comunica l’estetica del suo brand: con ironia. La sua idea di femminilità è quella della donna borghese del Sud, forte e importante, ma ci scherza su, abbracciando anche una politica no gender, sia per lei che per lui. La nonna Elda è la figura a cui si rifà la SS/21. Una nonna scoppiettante, con look che mixano Cher e Lady D, Carolyn Bessette e Diana Ross, cui la nipote vuole rubare il guardaroba tagliando le gonne e ingrossando le spalle. Protagonisti il lino e il cotone naturali in versione monocolore, con stampe dal sapore domestico che ricordano i canovacci da cucina o le tovaglie. «Valenti è irriverente e diretto, è un brand nato per rappresentare quella parte di Italia di cui non si parla mai. La sartorialità è il mio plus, unito a una sana dose di opulenza, il trucco è creare un equilibrio tra semplicità ed eccesso».

Giuseppe Buccinnà con la musa Ayla Gilde

Aveva iniziato a studiare Ingegneria Civile, ma ha mollato tutto accorgendosi che in aula, tra una pausa e l’altra, si perdeva a disegnare bozzetti. Inizia così il suo percorso all’atelier di uno dei designer più anti-sistemici di sempre: Carol ChristianPoell, con cui condivide l’estro artistico e la costruzione architettonica. Dopo una breve incursione nel mondo del buying arriva la “chiamata” della moda. E, dopo due anni di attività, anche le prime opportunità e i riconoscimenti: a settembre 2020 il brand viene selezionato per il progetto “The World of Vogue Talents” mentre, nei mesi successivi, vince il prestigioso premio “Giovane Impresa” di Altagamma. Quando si descrive, Giuseppe dice che gli piacerebbe essere un mix tra Le Corbusier e Madame Grès, considerata la “scultrice” del panneggio. Silhouettes a tagli netti, precisi, anelano a un minimalismo in chiave “rock” la cui interprete ideale è l’attrice francese Stacy Martin. «Penso che in Italia, come nel mondo, ci sia il giusto caos per alimentare qualcosa di straordinario. Uno scenario ancorato a paradigmi del passato non può che produrre una stasi creativa». All'attivo anche due collaborazioni nel campo degli accessori: una linea di occhiali eco con l'azienda artigianale Fabbrica Torino, e le borse dalle forme geometriche realizzate da Mich Vasca.

Reamerei - Marzia Geusa, Enrico Micheletto, Davide Melis con la loro musa Alessia Guagliardi

Immaginate un bambino che apre il guardaroba della nonna, vi scopre un portale multidimensionale e ci casca dentro, atterrando in un reame di fantasia popolato da personaggi stravaganti e dove regna l’armonia. Ecco che, in una contrazione tra reame + amore nasce: Reamerei. Osservare la loro collezione attraverso sofisticate animazioni su Instagram è come entrare, virtualmente in un videogioco. Perché per i Reamerei indagare il rapporto tra umano e robotico, natura e realtà digitale è fondamentale per cogliere i desideri e le aspettative del pubblico. «Realizziamo contenuti grafici e video in 3D, al fine di proporre, più che advertising, una narrazione che ha come protagoniste creature aliene che vivono in mondi sconosciuti, o macchinari che prendono vita, per affascinare chi, come noi, condivide il desiderio di magia, fatto di capi curati con unicità, poesia e spirito punk». Si racconta così il trio, molto ben assortito fin dal 2019 – l’anno di nascita del brand dopo gli studi all’Accademia delle Belle Arti – formato da Enrico Micheletto e Davide Melis alla direzione creativa e da Marzia Geusa a quella manageriale. La collezione, completamente nogender ed eterotopica, si rifà alla couture di Charles James nelle forme, al surrealismo di Elsa Schiaparelli con le stampe di animali immaginari e le spalline aguzze e teatrali per gli abiti in velluto scivolato, e all'estetica cyborg-romantica per i suit gessati e i cappotti oversize, tutto con tessuti rigenerati o materiali organici in piccole quantità. Un retro-futurismo decadente che trova ispirazione in Bjork, Madonna, Alessandro Michele e crede nella necessità di non omologarsi. Nonostante il 2020 sia stato un anno difficile, è stato sicuramente l’anno delle conferme per il giovane trio, con collaborazioni con artisti musicali come Myss Keta, Coma_Cose e Thomas Costantin e la stampa che li mette al centro dei talenti da tenere d’occhio. Oltre a impegnarsi verso l’annullamento del dimorfismo sessuale, Reamerei si è prefisso di non guardare alla classica stagionalità delle collezioni e di sostenere quanto più possibile l’impatto ambientale sulla produzione, producendo in Italia, consolidando un deciso percorso etico, il quale vede l’introduzione di materiali 100% bio, rigenerati o recuperati.

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