Fashion

A.P.C., apre a Milano il primo negozio italiano del brand fondato da Jean Touitou

Per l'apertura del negozio milanese del marchio francese A.P.C., Jean Touitou ripercorre la storia del suo brand e racconta come sia riuscito a mantenere l'anonimato

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Jean Toitou all'apertura del primo negozio italiano di A.P.C. (Courtesy A.P.C.)

Text by GIORGIA CANTARINI

Dal low profile al successo c'è voluto un attimo. A.P.C. non ha mai voluto essere trendy, ha piuttosto esaltato l'idea, fin dall'inizio, di uno stile (tipico dei francesi doc) senza sforzi, sobrio e per questo ultra-chic. Nato da una intuizione del fondatore Jean Touitou, con un passato da Kenzo e Agnès B, tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90, il brand raggiunge in poco tempo i consensi di un pubblico internazionale, aprendo punti vendita nelle città chiave della moda come Londra e Tokyo, grazie all'introduzione del denim cimosato giapponese. Il selvedge è un denim grezzo rigido e asciutto, che viene utilizzato così come esce dal telaio e diventa più bello quanto più si usura. Per questo insieme ai jeans il brand offriva un paio di guanti cartavetrati da utilizzare per accelerare i tempi e conferirgli da subito un aspetto usato. A.P.C. sta per "Atelier de Production et de Création", un concetto ampio che includerà nel tempo anche la produzione di olio d'oliva e l'apertura di una casa discografica (Touitou è anche musicista). Nell'arco della sua carriera il designer ha collaborato con Zoe Cassavetes, Supreme (per la linea "Fuck Em!"), e con l'art director e stylist Suzanne Koller, con Carhartt Wip, Goop (l'e-store di Gwyneth Paltrow) e Catherine Deneuve. Nella stagione autunno inverno 2023-24 troviamo un mix di denim grezzo in combo con polo rugby oversize, trench classici, cardigan della nonna, e citazioni del punk californiano, più un pizzico di goth in chiave minimalista.

Touitou è tornato in passerella, rendendo omaggio alla resilienza dei giovani di oggi, invitando a sfilare la figlia adolescente Lily e i suoi compagni di scuola. Lo incontriamo all'apertura del primo store italiano di A.P.C., in piazza del Carmine a Milano.

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Judith e Jean Touitou (Courtesy A.P.C.)

L'OFFICIEL ITALIA: Se dovessi scegliere tre momenti chiave che definiscono la storia del brand?

JEAN TOUITOU: Il primo è quando ho stretto la mano al mio tessitore di jeans, il secondo è stato realizzare la musica per il cortometraggio di Zoe Cassavetes e il terzo la nostra ultima sfilata.

LOI: Quanto è importante la musica in un A.P.C. show e nello storytelling del brand? E il legame con l'arte?

JT: Una volta terminato lo styling, per me è quasi l'ingrediente più importante. Non ho storie particolari da raccontare, dico solo la verità, o la mia verità. Non invento nulla per raccontare la sfilata. Il legame con l'arte è importante, su tutti mi è piaciuto molto collaborare con Olivier Mosset.

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Un look dalla collezione autunno inverno 2023-24 di A.P.C. (Courtesy A.P.C.)

LOl: Siete tornati a sfilare alla settimana della moda, perché adesso?

JT: Perché Judith (sua moglie e direttrice artistica del brand, ndr) ha avuto un'ottima idea. Ci piaceva dare spazio ai giovani. La collezione si chiama "Maman le Sors Ce Soir" ed è ispirata alla pandemia di Coronavirus, in particolare al modo in cui ha colpito i giovani. I ragazzi che sfilano in passerella sono come i veterani di guerra. Durante il Covid hanno vissuto lo scompiglio degli ormoni nel bunker dei genitori Sono stati il motore di questa sfilata.

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Pagine dal libro "Transmission", 2017, edito da Phaidon e pubblicato per celebrare i 30 anni del brand (Courtesy A.P.C. e Phaidon)

LOl: Pensi davvero che le nuove generazioni siano pigre?

JT: Il mio aver dichiarato che sono pigri è iniziato con un gioco di parole, che forse non funziona in altre lingue. Durante lo show di Parigi ho deciso di dire che sono davvero pigri quando si tratta di attività che non li interessano. Io stesso ero pigro quando si trattava di fare lezioni obbligatorie di geografia all'università, mentre studiavo storia e linguistica. George Harrison era pigro. Non si esercitava mai a suonare, eppure...

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L'interno del nuovo flagship store di Milano (Courtesy A.P.C.)

LOl: Hai appena aperto il primo negozio di A.P.C. a Milano, perché adesso dopo tanti anni e che rapporto hai con la città, il suo stile e l'Italia?

JT: Ho sempre temuto che i milanesi non sopportassero il minimalismo, ora dopo attenta osservazione ho capito che invece lo apprezzano. Quello che provo nei confronti dell'Italia in generale è una sorta di frustrazione, perché non ci passo abbastanza tempo, non la vivo come vorrei. Il Bel Paese è una parte importante della mia vita. Sono stato in quasi tutti i porti italiani. Mi sento a mio agio un po' ovunque e ho una nonna livornese. Crescendo in Tunisia da piccolo ho respirato molto la cultura italiana. A volte mi sento infelice a Parigi. Il mio Paese non è la Francia, il mio Paese è la cultura francese.

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Pagine dal libro "Transmission", 2017, edito da Phaidon e pubblicato per celebrare i 30 anni del brand (Courtesy A.P.C. e Phaidon)

LOI: C'è un sogno nel cassetto per A.P.C. che desidera realizzare?

JT: Seriamente, ho fatto esattamente tutto quello che volevo, incluso non apparire sotto i riflettori. Amo l'anonimato, l'idea che non mi riconoscono. Per i progetti futuri... vorrei disegnare le divise di una compagnia area.

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Pagine dal libro "Transmission", 2017, edito da Phaidon e pubblicato per celebrare i 30 anni del brand (Courtesy A.P.C. e Phaidon)
 

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