#WONDERWOMEN: Elisabetta Franchi
Sulle ragioni del suo successo Elisabetta Franchi, bolognese classe ’68, non ha dubbi: lo deve a un mix di “coerenza, tenacia, caparbietà”. «Quando Forbes ha stilato la lista delle 100 donne italiane di successo del 2020, dove sono presente anch’io, hanno intitolato l’articolo “Il lato gentile del successo”. Ho pensato: gentile mica tanto. Ma noi donne vogliamo lasciarlo credere».
Come hai cominciato?
Sono cresciuta in una famiglia molto modesta, senza padre, ma con una madre forte. Ho lavorato dalla mattina alla sera, e raccontato tutto in un documentario e nel libro “Cenerentola ti ho fottuto”. Negli snobbissimi anni ’90, quando i media hanno cominciato a interessarsi a me, tutti mi dicevano di nascondere le mie origini, di inventarmene delle altre più glamorous. Finchè un giorno mi chiamano a parlare a La Sapienza e io la notte prima non dormo pensando: racconto la verità o una balla fotonica? Ho optato per la verità e ho visto tanti studenti commuoversi e piangere. Da lì ho detto basta a photoshop. Una scelta che credo paghi: non ho haters sui social, e penso sia importante dare un messaggio forte agli scoraggiati, a chi nella vita non ha fortuna. Tornando ai miei inizi: da ragazza ho fatto la commessa e la barista, ma già a sette anni sapevo che volevo fare moda. Mi sono anche mezzo diplomata modellista- figurinista-stilista, ho frequentato l’istituto Rubbiani di Bologna ma non avevo i soldi per andare avanti e ho dovuto mollare. Mi sono messa a fare la commessa di intimo ed è lì che ho sviluppato il mio senso per il commerciale. Per fare l’imprenditrice devi avere due cervelli, quello commerciale e quello creativo. Dal punto di vista della creatività ho puntato dritto alla donna di Helmut Newton. Dal punto di vista commerciale mi sono avvicinata a un’azienda di fast fashion dove ho imparato la velocità, quando ancora tanti grandi marchi non ne avevano capito l’importanza strategica. Poi ho aperto il mio atelier.
Quali sono i tuoi capi preferiti tra quelli che hai creato?
Faccio il robe manteau da quando esisto: per me una donna che sembra indossi una giacca quando in realtà indossa un abito è il massimo della femminilità. E poi le mie giacche completamente aderenti. Il miglior complimento alla mia moda me l’ha fatto l’amministratore delegato di Golden Goose la prima volta che ci siamo incontrati: quando ho detto chi ero mi ha risposto: «Quando vedo una donna cui vorrei strappare i vestiti di dosso... indossa sempre Elisabetta Franchi!»
Pensi che esista uno sguardo “femminile” sulla moda?
Chi meglio di una donna può capire il corpo delle donne? Come trattare il fianco, il giromanica… Riconosco sempre per strada le mie donne.
Hai dei modelli di riferimento? Chi ti ispira?
Da sempre: Diana Vreeland, era bruttissima ma aveva cultura e talento, che la rendevano una donna piena di fascino. E poi le immagini di Ellen Von Unwerth e di Helmut Newton: ho le loro foto sparse in tutta la casa. Nonostante i bambini…
Prima ricordavi come aver compreso la necessità di produrre in tempi veloci si sia rivelato strategico per il successo del marchio…
All’inizio sicuramente sì. Ma ultimamente eravamo arrivati a un ritmo assurdo, alla follia pura: io stavo dentro al sistema, pur con sempre maggior sofferenza, facevo main, cruise, cinque collezioni a stagione. Oggi sono totalmente d’accordo con Armani, occorre rallentare. Penso che il tempo veloce tolga allure alla moda, che i social brucino gli abiti, che tutto questo consumismo senza valorizzazione sia finito. Personalmente, rallenterò: l’abito deve rimanere in boutique non solo per una folata e via.
Sei un’animalista convinta
Io e la mia azienda siamo animaliste e cruelty free, diciamo no all’angora, alla pelliccia e alle piume vere. E sosteniamo varie iniziative contro il maltrattamento e l’abbandono degli animali.