Nameless' Takeover: l'intervista a Bresh
Nel backstage del Nameless Music Festival ritroviamo il rapper Bresh. Lo avevamo lasciato qualche mese fa, al lancio del suo primo album "Oro Blu", ad oggi Disco d'oro.
Il suo nome su Instagram - Breshbandicoot - è (ovviamente) una citazione alla volpina di Playstation “Crash Bandicoot”, icona dei videogiochi anni ’90-00, ma nel panorama musicale tutti lo conoscono come Bresh. Lo avevamo lasciato a febbraio, poco dopo il lancio di “Oro Blu”, il suo primo disco. Da allora di cose ne sono successe… L’album è disco d’oro, un lungometraggio - “La scuola Genovese” di Claudio Bona, che racconta la scena cantautorale genovese a confronto con quella del rap locale, di cui Bresh è portavoce - e un tour tutto italiano, a cui si è aggiunta la tappa Nameless, dove si è esibito un paio di giorni fa. “Bellissimo, uno dei live più belli che abbia fatto”. Il pubblico in visibilio cantava a squarciagola le sue canzoni e l’energia era alle stelle (sopra e sotto il palco) “Il calore del pubblico ti piomba addosso e si trasforma in sudore. Questo mi fa dire che dalle sessioni in studio qualcosa ha funzionato bene”. Lavoro e grande dedizione per il suo album “Oro Blu” e un ringraziamento speciale al suo team: “Shune, Dibla, Umberto e ovviamente Sony. Sarebbe impossibile fare tutto da solo”.
Bresh si è esibito sul palco del Nameless festival con una T-shirt bianca, una camicia blu notte di Marni e gli immancabili occhiali da sole; una faccia pulita, da bravo ragazzo, piuttosto lontano dallo stereotipo del rapper. “Ma poi…chi crea gli stereotipi? Lo fa la diversità, l’originalità, rispetto quello che c’era prima per creare qualcosa di nuovo. Nei casi più eclatanti si crea un emblema, un’ icona. Nel rap-hip hop possiamo citare Eminem. Per il cambiamento si deve avere il coraggio di uscire dagli schemi”. E se potesse scegliersi la line up di un festival/concerto chiamerebbe a raccolta “Tutta la DrillLiguria, Massimo Pericolo (perché gli voglio troppo bene) e Meek Mill”.
Ed è stato proprio un concerto a farlo avvicinare al mondo della musica e del rap “Avevo circa 14 anni ed era il 14 luglio 2010, c’era Fabri Fibra a Genova e io ero andato completamente sotto per l’album “Controcultura”. Dopo quella sera, ricordo di essere tornato a casa e di aver iniziato a scrivere. Credo sia stata la mia iniziazione: scrivevo già da prima, ma da lì mi sono deciso a continuare”. La musica per Andrea, questo il suo vero nome, non è stata un colpo di fortuna né una vocazione, piuttosto “Un destino non sognato, almeno non da piccolino". E alla domanda su quale sarebbe stata l’alternativa ci dice “Volevo lavorare in porto, penso sarei diventato un buon portuario. Ricordo mio padre che tornava a casa la sera dopo il lavoro, guardavo le sue mani grandi, e mi dicevo “Questo è un vero uomo, virile..." Ma a essere onesti, sono sempre stato un po’ un'ombra della mia vita; vivevo il momento e le cose che capitavano. Ora mi rendo conto di essere stato in attesa che arrivasse qualcosa di grosso”. E qualcosa è arrivato davvero, cambiando un po’ tutto. E sui suoi progetti esitivi “Tanta nuova musica e poi vedremo…si partirà con un nuovo viaggio!”