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Un docufilm racconta il ristorante gestito dai detenuti del carcere di Bollate

Si intitola “Benvenuti in Galera”, dal nome dell’unico ristorante al mondo all’interno di un carcere, il docufilm di Michele Rho.

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(Courtesy Michele Rho)

Esce dai luoghi comuni “Benvenuti in Galera”, il film documentario di Michele Rho sul primo ristorante al mondo aperto all’interno di un istituto di pena, a Bollate, dove le mansioni di cucina e sala sono affidate ai detenuti del carcere. Al suo interno persone che cercano di riprendere in mano la propria vita e per i quali il lavoro diventa un riscatto e un ponte con il mondo esterno. Attualmente al cinema, presto sarà anche sulle piattaforme di streaming online.
 
L’OFFICIEL HOMMES ITALIA: Il catering prima e il ristorante poi sono un progetto voluto da tua madre, immagino tu avessi già una idea di quanto avresti trovato, malgrado questo, cosa non sapevi, ti aspettavi?
MICHELE RHO: Conoscevo la realtà, ma per girare sono entrato nel carcere, in particolare nella cucina e nel ristorante, lo stare dentro dà una sensazione che non immaginavo, viene quasi a mancare il concetto del tempo, e anche dell’esistenza di un fuori.

LOHI: A livello di regia, cosa è stato più difficile da rendere? Mi parli anche della scelta del bianco e nero?
MR: Il percorso è durato tre anni. Ho avuto modo di osservare e lasciare che la storia mi si svelasse da sola, facendomi sorprendere, secondo una mia modalità di lavoro. Il bianco e nero l’ho invece scelto prima di girare: volevo evitare il classico immaginario deprimente, andare in contrasto. Volevo una immagine dignitosa ed elegante. Anche la macchina da presa - gli spazi della cucina sono davvero molto stretti - si muove poco, non volevo la macchina a mano, che è spesso associata ad ambienti squallidi.

LOHI: E problemi dal punto di vista umano?
MR: Nessuno. Prima delle interviste ho passato un anno e mezzo (non tutti i giorni... ) a girare, è stato un processo molto graduale, solo dopo ho scelto quali storie seguire.

LOHI: Tra i contenuti – del documentario e prima ancora del progetto – c’è l’importanza del lavoro, non solo come fonte di reddito... (non molti sanno che i detenuti devono pagare una quota per vitto e alloggio).
MR: Il nucleo centrale del documentario è il lavoro. È fondamentale per l’autostima, è l’inizio di un percorso in cui fai anche vedere alla tua famiglia che stai cambiando, che porti a casa qualche soldo, e acquisisci una professionalità da spendere dopo.

LOHI: Il carcere di Bollate è un unicum?
MR: Altri carceri hanno progetti simili, ma certo Bollate ne ha molti e ben strutturati.

LOHI: Il fatto che sia stato un progetto di tua madre, ha complicato il tuo lavoro?
MR: Lo temevo molto, ma in realtà è andato tutto bene, anche se per questo motivo ho aspettato tanto. Non sapevo come raccontarlo, sia nei confronti di mia madre che tanto si è impegnata, ma soprattutto dei ragazzi (è un carcere maschile). Non volevo renderli degli eroi ma nemmeno dei miserabili. Un discorso di delicatezza, certamente anche nel rispetto delle loro vittime.

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(Courtesy Michele Rho)
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(Courtesy Michele Rho)
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(Courtesy Michele Rho)

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