Milano Fashion Week: nove momenti da ricordare
Trend a parte, che cosa resterà nella memoria della fashion people delle sfilate Donna per l’autunno inverno 2023-24? Ecco il nostro elenco.
Cosa resterà di questa Milano Fashion Week per le collezioni donna autunno inverno 2023-24? La moda non è propriamente nota per avere gran memoria, ciò che oggi tutti applaudono potrebbe finire nel nulla dopo poco, ci sono però momenti di questo giro di sfilate che vale la pena di sottolineare. Fatti, volti, look da ricordare perché hanno segnato un pezzetto di storia, perchè ci hanno sorpreso o perché meritavano più spazio di quello che la frenesia della fashion week concede.
1 - La gente
Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, non nasconde l’entusiasmo di fronte a un +20% di presenze in città rispetto al 2019. Al di là della soddisfazione per aver generato in pochi giorni un indotto da 70 milioni di euro tra hotel, ristoranti e trasporti e della fiducia di poter ancora migliorare il dato nel corso dell’anno visto che in parte buyer e stampa cinese è rimasta ancora al palo, il fatto importante è uno: parliamo del covid al passato. Certo qualcuno indossa ancora la mascherina per precauzione, ma anche qui c’è qualcosa di tramandare ai posteri, il rispetto per la sensibilità altrui.
2 - L’equilibrio
Calato il sipario sul “famolo strano” a tutti i costi delle passate stagioni, in passerella si è visto molto equilibrio. Chi ha scelto la via dell’essenzialità non ha mortificato le modelle con sacchi informi. E chi invece rappresenta la quota moda di wild at heart, alla Cavalli ottimamente disegnata da Fausto Puglisi, ha saputo pompare il volume senza scadere nel carnevalesco.
3 - Il sesso
Quello esplicitamente evocato dall’installazione di 200mila preservativi al centro della venue di Diesel e frutto di una partnership con Durex. Ma anche la sensualità sofisticata di N.21, dove Alessandro Dell’Acqua cita il fascino immenso di Monica Vitti in “La Notte”, quella adulta di Dolce & Gabbana o di Ermanno Scervino che rende omaggio ad Ava Gardner. Diverse declinazioni, insomma, con un unico messaggio: amiamoci un po’ che, come cantava Battisti grazie alle parole di Mogol, è un po’ fiorire.
4 - La nicchia
Da una parte ci sono i big names, sempre più colossali e perciò obbligati a un esercizio di universalità, per piacere a Shanghai, come a Dubai, Londra e New York. Dall’altra ci sono quelli che grandi così non ci tengono a diventarlo e anzi, coltivano con dedizione la propria nicchia. Da Sunnei a Vitelli, passando per Marco Rambaldi o Vivetta, evviva questa wave di stilisti che fa business con l’anima.
5 - La solidarietà
Per la prima sfilata da solo, dopo l’addio al brand del co-fondatore Galib Gassanoff, Luca Lin manda in pedana per ACT N°1 modelle e modelli sui cui volti e corpi sono stati applicati dei fiori. La scelta non è solo estetica, lo stilista ha infatti deciso di collaborare con Ara Lumiere, il brand creato dalla filantropa Kulsum Shadab Wahab sotto l’egida della ONG Hothur Foundation che aiuta in India donne sfigurate dall’acido. Milano è da sempre considerata una città generosa e la moda, per fortuna, non fa eccezione.
6 - L’inclusività
Argomento delicato e controverso quello della Diversity & Inclusion. Di certo la moda deve fare ancora molti passi per diventare un ambiente realmente inclusivo. Ci sono però diversi segnali confortanti. Il primo e che più salta all’occhio è una selezione di casting più rappresentativa delle diverse etnie. E meritano le luci della ribalta le iniziative di CNMI e White per dare spazio a chi nella moda è sottorappresentato. All’interno del Fahion Hub di Palazzo Giureconsulti, un’area è stata dedicata al progetto A Global Movement to Uplift Underrepresented Brands, ovvero la selezione di Teneshia Carr, Editor in Chief di Blanc Magazine, di tre brand A. Potts, Diotima e Torlowei animati da designer BIPOC. Mentre negli spazi del content show di via Tortona sono stati ospitati 6 brand disegnati da Indigeni canadesi Evan Ducharme, Lesley Hampton, Niio Perkins, Robyn McLeod, Section35 e She was a free spirit. E si è tenuto un incontro promosso da FMI - Fashion Minority Alliance per sensibilizzare sul tema e identificare le più corrette strategie d’azione.
7 - La Healthiness
Sul fronte delle fisicità poche le presenze curvy (su tutte svetta la fiammante Ashley Graham da Dolce & Gabbana) il che, forse, non va male interpretato. Chi ha allargato il range di taglia delle proprie modelle ha optato per body types meno estremi, privilegiando un messaggio di healthiness, perché un corpo fortemente in sovrappeso non deve essere MAI discriminato o mal giudicato, ma potrebbe avere qualche problema in più di salute.
8 - I fiori
Quelli dell’allestimento della sfilata di Prada, un tripudio di gigli bianchi annidati sulle colonne arancioni della sala e svelati solo all’incedere della prima modella in pedana, grazie al soffito che si alzava. Ma il top è stato ritrovarli poi la sera durante la mega festa organizzata dalla maison, proprio dove nel pomeriggio c’era stato lo show. Musica a palla, atmosfera da industrial party berlinese e un profumo di fiori che rendeva meravigliosamente romantico l’ambiente.
9 - L’assente
«Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?», si domandava un giovane Nanni Moretti nel suo cult-movie “Ecce Bombo”. Si è notata l’assenza di Versace che sfilerà a Los Angeles il 10 marzo, perché la griffe è un patrimonio nazionale e pur capendo la logica dello show californiano, è come se al pranzo di Natale mancasse un parente. Donatella torna, ‘sta Fashion Week aspetta a te.