Che cos'è il mecenatismo oggi?
Come preservare/valorizzare la propria legacy, o quella del fondatore del marchio? Come aumentare rilevanza e brand awareness entrando in contesti diversi da quello originale? Attraverso quali impegni condividere con il pubblico i propri valori identitari? Nella moda, come in molti altri settori, uno dei passaggi fondamentali per dare risposta a questi interrogativi è stata la creazione di fondazioni con precisi obiettivi. Specifico (anche se non esclusivo) della moda è il fatto che quasi tutte le fondazioni del settore si siano orientate verso l’arte contemporanea. Del resto quello tra moda e arte è un rapporto privilegiato fin dagli esordi della couture: Poiret, Lanvin, Doucet sono accaniti collezionisti, Schiaparelli lavora insieme a Dalì su abiti, accessori e profumi, Chanel disegna i costumi per “Le train bleu” di Diaghilev, a fianco di Picasso che ne firma la scenografia. I rapporti si fondano su una condivisione estetica, l’arte è per la moda una fonte diretta di ispirazione, ma anche le conferisce un’aura che fa del couturier un genio creativo. Dagli anni 80 in poi la costituzione di fondazioni nate con l’obiettivo di sostenere l’arte contemporanea continua a far riverberare sui brand il prestigio legato a questo settore, anche se spesso è la notorietà del marchio ad esercitare una forza attrattiva sul grande pubblico e a fungere da garante del “valore” dell’esposizione.
La fondazione è anche una garanzia di trascendenza, la costruzione del proprio monumento, rassicura l’ego di personaggi “larger than life” sulla preservazione della propria legacy oltre la scomparsa fisica, la cessione del brand a un fondo o a un grande gruppo e l’inevitabile perdita di rilevanza quando la loro moda perderà la magica sintonia col proprio tempo. Inoltre la fondazione è un modo di includere chi, escluso da una moda inaccessibile, rischierebbe di diventare impermeabile all’appeal del marchio. Proprio come i grandi interventi di mecenatismo, la struttura espositiva aperta al pubblico placa gli eventuali sensi di colpa (e le paure sociali, vedi la distruzione delle vetrine del lusso nelle manifestazioni dei Gilet Jaunes) di chi alimenta desideri che non potranno mai essere esauditi, attraverso l’idea di “restituzione” alla città, alla cultura, al contesto di cui fanno parte e che ne ha storicamente formato l’identità. È indubbio che gli interventi di restauro a Roma di Diego Della Valle (Colosseo), Fendi (la fontana di Trevi, il Palazzo della Civiltà Italiana), Bulgari (Trinità dei Monti), a Venezia di Renzo Rosso (il ponte di Rialto), a Firenze di Ferragamo (la fontana del Nettuno) abbiano giovato alla brand reputation. Più controversi gli effetti della gara di solidarietà per la ricostruzione di Notre Dame dopo l’incendio del 15 aprile, con François-Henri Pinault che promette la sera stessa 100 milioni, Bernard Arnault che il giorno dopo raddoppia la posta e Pinault che a quel punto annuncia di rinunciare ai benefici fiscali legati alla donazione, mentre l’opinione pubblica francese è polarizzata tra chi applaude e chi critica. Un altro aspetto che spiega il rapporto strettissimo tra moda e arte contemporanea è che quest’ultima è sempre più una forma di investimento finanziario e attrae un pubblico perfettamente in target con i marchi del lusso. Da qui la colonizzazione da parte della moda degli appuntamenti dell’arte e del design: la Biennale di Venezia, Design Miami, il Salone del Mobile, la Fiac.
Se ogni marchio è un caso a sé, e istituisce una fondazione o semplicemente formalizza il suo rapporto con l’arte con modalità che rispecchiano la personalità di stilisti o proprietari, sono evidenti comunque delle somiglianze di percorso.
La preservazione della legacy prima di tutto
Fondation Cristóbal Balenciaga. Costituita nel 1999 per preservare l’archivio storico e far conoscere il lavoro del designer che Hubert de Givenchy definiva “l’architetto della haute couture e Chanel “il solo vero couturier”. Nel 2011 è stato inaugurato il museo di Getaria, la città natale di Balenciaga vicino a San Sebastián, ospitato in una moderna struttura progettata da Julian Argilagos annessa allo storico palazzo Aldamar, già proprietà della marchesa di Casa Torres, mentore e prima cliente del giovane Balenciaga.
Fondation Pierre Bergé-Yves Saint Laurent. Creata nel 2002, nella sede della Maison d’haute couture di avenue Montaigne, alterna esposizioni di moda a mostre su figure che hanno segnato l’evoluzione stilistica di YSL, da Jacques Doucet a Émile Blanche a Jean Michel Frank. Dal 2017, quello che è diventato il Musée Yves Saint Laurent Paris è dedicato esclusivamente al lavoro dello stilista, mentre il museo di Marrakesch, inaugurato nel 2018, affianca moda e mostre temporanee.
Association Azzedine Alaïa. Creata nel 2007 dallo stilista tunisino insieme al compagno Christoph von Weyhe e a Carla Sozzani, per valorizzare il suo lavoro e il savoir-faire della Maison e far conoscere al pubblico la sua incredibile collezione di capi di grandi couturier francesi, da Vionnet a Madame Grès a Balenciaga. Due le sedi espositive: la parigina in rue de la Verrerie, in quella che era la sua casa, la tunisina a Sidi Bou Said, il villaggio famoso per le sue porte blu, meta di artisti e intellettuali europei da Matisse a Simone de Beauvoir. La prima mostra parigina è stata curata da André Saillard, che durante la sua direzione del Palais Galliera aveva aperto il museo all’esibizione del 2013 dello stilista. Intitolata “Adrian et Alaïa, l’art du tailleur”, la mostra mette a confronto capi di Alaïa con quelli del leggendario costumista della Metro-Goldwyn-Mayer, di cui Azzedine era accanito collezionista.
Fondazione Gianfranco Ferré. Nata nel 2008 per mettere a disposizione del pubblico un archivio virtuale del lavoro dello stilista italiano. L’archivio reale, forte di 3000 pezzi tra capi e accessori, è riservato alle iniziative museali.
Armani/Silos. Aperto nel 2015 di fronte all’Armani/ Teatro di Tadao Ando, ospita una collezione permanente di 400 abiti e 200 accessori. L’esposizione è organizzata per piani, ognuno dedicato a un tema identificativo dello stile di Armani, l’androginia, l’etnico, il rapporto col mondo del cinema. Alla collezione permanente si sono affiancate a partire dal 2016 varie mostre di fotografia.
Sostenere gli artisti
Collezione Maramotti. Apre al pubblico nel 2007, nella vecchia sede di Reggio Emilia della Max Mara. Convinto sostenitore della relazione di interscambio tra arte e design industriale, il fondatore Achille Maramotti aveva acquistato centinaia di opere d’arte coprendo un arco temporale dal 1945 ad oggi, spaziando dalla scuola romana alla pop art, dall’arte povera alla transavanguardia. La creazione nel 2005 del Max Mara Art Prize for Women in collaborazione con la londinese Whitechapel Gallery ha ridato un respiro internazionale a un’istituzione penalizzata dal decentramento geografico.
Fondazione Furla. Nata nel 2008, anche se già dal 2000 (e fino al 2015) l’azienda aveva istituito in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia il Premio Furla per l’arte a sostegno degli artisti italiani emergenti. Dal 2016 la Fondazione si è concentrata sulle Furla Series, sotto la direzione artistica di Bruna Roccasalva e Vincenzo de Bellis, mostre di artisti internazionali in collaborazione con istituzioni pubbliche italiane, a partire dai milanesi Museo del 900 e Triennale.
Coprire un vuoto d’offerta
Fondazione Nicola Trussardi. Creata nel 96 e diretta dal 2002 da Massimiliano Gioni, con l’intento di colmare la scarsità d’offerta di arte contemporanea a Milano, suscitando contemporaneamente l’interesse di un pubblico all’epoca molto tiepido al riguardo. Da qui, l’idea di portare l’arte per strada, obbligando la gente ad interagire. Primo atto, la Uno bianca con roulotte abbandonata una mattina del 2003 in Galleria Vittorio Emanuele. Sembra la scena di un incidente, ma in realtà è l’installazione “Short Cut” di Michael Elmgreen e Ingar Dragset. L’anno dopo i 3 manichini a grandezza naturale di bambini impiccati alla quercia di piazza XXIV maggio, opera di Maurizio Cattelan, scateneranno una polemica feroce, consacrando la fama di disruptor della fondazione. Nel 2015 la mostra “La grande madre” a Palazzo Reale ha inaugurato un nuovo corso di progetti collettivi più strutturati e complessi.
Stringere il legame tra arte, moda e design
The Miyake Issey Foundation. Non c’è nessun altro stilista vivente i cui capi siano stati maggiormente esposti nei musei di quelli di Issey Miyake, a partire dai mitici Apoc, acronimo di “A piece of cloth”, oggetto nel 1977 di una mostra al Seibu museum of Art di Tokyo ed entrati successivamente nella collezione permanente del MoMa. Le collaborazioni con molti musei giapponesi, il Musée des Arts Decoratifs di Parigi, il Victoria & Albert, la Fondation Cartier, il Centre Pompidou hanno sicuramente contribuito alla decisione dello stilista di creare nel 2004 la Miyake Issey Foundation, per preservare la sua legacy rivoluzionaria, e per diffondere una cultura del design attirando una nuova generazione di designers e di artigiani impegnati in una craftmanship innovativa. Nel 2007 la fondazione ha giocato un ruolo fondamentale nell’apertura a Tokyo del 21_21 Design Sight, spazio espositivo progettato da Tadao Ando, di cui Miyake è uno dei direttori, sede di mostre coinvolgenti e non convenzionali, l’ultima sul senso dello humor.
Fendi. Primo fashion brand a investire su Design Miami, ha sempre valorizzato (e spettacolarizzato, vedi gli straordinari afflussi durante le Journées Particulières LVMH) l’eccezionalità del proprio savoir-faire artigianale e il rapporto col design. Dal 2013 il focus si è spostato su Roma con la sponsorizzazione del restauro di un serie di fontane monumentali, seguita nel 2015 dall’apertura al pubblico del primo piano del Palazzo della Civiltà Italiana, il Colosseo Quadrato dell’EUR divenuto il quartier generale della Maison. Dopo avervi ospitato nel 2017 una personale di Giuseppe Penone, Fendi ha donato alla capitale un’opera commissionata all’artista, installata di fronte a Palazzo Fendi.
Formare una nuova generazione
Fondazione Ferragamo. Nasce nel 2013 con l’obiettivo di preservare l’archivio e le creazioni del fondatore, e formare i giovani alla moda e al design, attraverso corsi ed eventi culturali, molti dei quali rivolti ai bambini e alle scuole, in strettissima collaborazione con il Museo Salvatore Ferragamo.
Investire sulla cultura, sostenere il territorio
Fondazione Benetton Studi Ricerche. Nasce nel 1987 a Treviso su iniziativa di Luciano Benetton per sostenere studi e ricerche su territorio e paesaggio, tramite la creazione di comitati scientifici dedicati e di un importante centro documentazione. Nel 2003 viene inaugurata la sede progettata da Tobia Scarpa a partire dal restauro dei palazzi Bomben e Caotorta, auditorium e luogo espositivo il primo, centro documentazione e sede dell’attività scientifica ed editoriale il secondo. Appartiene alla fondazione anche un ulteriore spazio per le mostre, la chiesa sconsacrata di San Teonisto, restaurata sempre da Tobia Scarpa. Tra le iniziative più interessanti, l’istituzione nel 90 del prestigioso Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino.
Fondazione Zegna. Nata nel 2000 per preservare i valori del fondatore Ermenegildo: protezione dell’ambiente (le Alpi biellesi), responsabilità sociale e creazione di un’offerta culturale per la comunità locale. Casa Zegna, la palazzina anni 30 che era la casa di famiglia a Trivero, ospita l’archivio e lo spazio espositivo; nell’area circostante ci sono le opere d’arte contemporanea site specific commissionate nell’ambito del progetto “All’aperto” curato da Andrea Zegna e Barbara Casavecchia che ha debuttato con Daniel Buren nel 2007. La vicina Oasi Zegna, un’area protetta di 100 km2 aperta al pubblico, pur non tecnicamente dipendente dalla fondazione, è un altro, coerente esempio della filosofia del gruppo.
Power players
Il modello lo stabilisce il pioniere Cartier: totale autonomia della fondazione rispetto al brand, sede progettata da un archistar, programma di mostre ambizioso affidato a curatori d’eccezione, sostegno attivo agli artisti tramite la commissione di opere che entrano poi a far parte della collezione, esibizioni itineranti e costruzione di un network con istituzioni museali ed espositive di tutto il mondo, affiancamento alle mostre di happening ed eventi culturali che spaziano in moltissimi settori. Se negli anni 80 per Cartier la Fondation è un modo per ancorare saldamente il nome alla contemporaneità, per parlare a un pubblico giovane, per comunicarlo in altri continenti sottraendolo all’immaginario stiff del gioiello classico, 30 anni dopo per Pinault e Arnault si tratta di consolidare l’aura dei loro brands rafforzando sempre più il senso dell’autorevolezza del gruppo, grazie a edifici e progetti di una tale grandiosità da suscitare (idealmente ed effettivamente) nel pubblico un eterno wow di meraviglia.
Fondation Cartier pour l’art contemporain. Istituita nell’1984, diretta da Hervé Chandès, dal 1994 diventa uno dei luoghi simbolo della vita culturale parigina, grazie all’originalità delle proposte e all’audacia architettonica della sede, un edificio di vetro firmato da Jean Nouvel in cui non ci sono neanche muri dove appendere quadri. L’idea di base? Dettare le tendenze continuando a reinventarsi: Matthew Barney, Takashi Murakami, Bill Viola vengono esposti qui prima di diventare superstar, e qui si è parlato di sciamanesimo, matematica, voodoo ed ecologia prima che questo tipo di conversazione fosse ammesso nei musei. Come sottolinea Grazia Quaroni, direttrice delle collezioni, la caratteristica distintiva e una delle chiavi del successo della fondazione è il rapporto continuativo nel tempo con gli artisti, spesso riproposti a distanza di anni. Le dimensioni contenute della sede, il suo indirizzo in mezzo al nulla, l’assenza di spazi deputati per gli happening, che avvengono quindi in mezzo alle opere, hanno contribuito a selezionare un pubblico di affezionati.
Fondazione Prada. Nasce nel 1995, inglobando il precedente progetto PradaMilanoArte, con Germano Celant come sovrintendente artistico e scientifico. Dopo aver ospitato dal 1993 al 2010 nella sede del gruppo di via Fogazzaro personali di artisti importanti come Anish Kapoor, Louise Bourgeois, Steve McQueen, nel 2011 apre a Venezia Ca’ Corner della Regina, dedicata a grandi mostre collettive. Nel 2015 viene inaugurato lo spazio milanese di Largo Isarco, 7 edifici preesistenti e 3 nuove strutture a firma di Rem Koolhaas, sede di esposizioni temporanee e di un’installazione permanente, e l’anno successivo l’Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele, consacrato alla fotografia.
Pinault collection. Proprietario di una collezione di oltre 3.000 opere, François Pinault stabilisce in rapida successione (2006, 2009, 2013) il polo museale di Venezia, costituito da Palazzo Grassi, Punta della Dogana e il Teatrino. Nel loro insieme le 22 mostre organizzate fino ad oggi hanno totalizzato oltre 3 milioni di visitatori, ( tra cui “Treasures from the Wreck of the Unbelievable” della superstar Damien Hearst). Grandissima l’attesa per l’apertura (prevista per il 2020) di un museo nel cuore di Parigi, nell’ex Bourse de Commerce, progetto realizzato, come Punta della Dogana e il Teatrino, da Tadao Ando. Il consulente di Pinault è Jean-Jacques Aillagon, ex presidente del Centre Pompidou, del Castello di Versailles, ed ex ministro della cultura.
Fondation Louis Vuitton. È nel 2014, con l’apertura dell’edificio a forma di vascello di Frank Gehry nel Bois de Boulogne e una mostra di Olafur Eliasson, che la fondazione, istituita nel 2006, si presenta al grande pubblico. Invece di focalizzarsi esclusivamente sull’arte contemporanea, come Cartier, Prada e Pinault, dà spazio anche all’arte moderna, attraendo oltre un milione di visitatori con la sola mostra sulla collezione Chtchoukine, forte di 130 opere provenienti dall’Ermitage e del museo Pushkin di Mosca. Emanazione di un gruppo sempre più proiettato verso l’offerta al cliente di esperienze che vadano oltre al semplice oggetto, vedi la recente focalizzazione sull’hotellerie, la fondazione contribuisce a consolidare un modello di art de vivre dove la fruizione dell’arte gioca un ruolo importante.