Il ritratto di Kimberly Drew aka Museummammy
Foto Annelise Phillips
Styling Carolina Orrico
Kimberly Drew, a.k.a. @museummammy su Instagram e Twitter, è curatrice d’arte, scrittrice, attivista e creatrice del Tumblr Black Contemporary Art, blog completamente focalizzato sulla ricerca e promozione di artisti afro-americani e di discendenza africana. Nata a Orange, in New Jersey nel 1990, ha conseguito una laurea in Art History and African American studies presso lo Smith College e oggi, dopo avere concluso un’esperienza di tre anni come Social Media Manager al Metropolitan Museum of Art di New York è una delle giovani donne più influenti del mondo dell’arte americana. Drew ha costruito parte della sua carriera confrontandosi con il potere dei social network (al momento conta più di 235.000 followers solo su Instagram) e il loro rapporto con la cultura contemporanea. Come la stessa curatrice ha affermato tempo fa, “esiste un momento in cui ogni generazione vede arte e cultura pop fondersi e adesso stiamo vivendo uno di quei momenti, aumentato a nuova scala grazie ai social media”.
Dopo anni nel mondo dell’arte Drew muove i suoi primi passi anche nell’industria della moda e nel 2018 è stata testimonial per Reebok e protagonista del progetto #WeWonder promosso da Mercedes Benz, insieme a nomi come Hans-Ulrich Obrist e Solange Knowles. Del resto i due mondi, che sempre più si influenzano l’un l’altro, grazie a creatività e desiderio di inclusione sono I luoghi ideali in cui esprimere personalità e creare collaborazioni. «Immagino la cultura come un grande ombrello in cui moda e arte si muovono liberamente», afferma Drew. I social media agiscono come opportunità per rendere sempre più vicini questi due mondi soprattutto per il pubblico che ha modo così di seguire brand, artisti e le loro collaborazioni: «Instagram e internet possono essere un importantissimo strumento per trovare ispirazione, imparare ed essere connessi, ma allo stesso tempo sono luoghi molto complicati. Arte e moda oggi vivono un grande momento di prosperità e sono in grado di essere maggiormente democratici grazie ai social network: abbiamo l’opportunità di vedere queste due industrie da nuove prospettive e i social media sono generalmente un luogo più inclusivo in cui l’interazione è immediata; possiamo avere esperienza diretta con ciò che cerchiamo e possiamo averne una migliore comprensione».
Questo interscambio tra moda e arte sui social network porta però anche a conclusioni più critiche che aprono una finestra su una tematica fondamentale: l’appropriazione culturale. La moda ha da sempre una storia di prestito dall’arte. Che abbia a che fare con l’ispirazione tratta da un’opera o l’invito a partecipare allo sviluppo di una capsule collection, i brand considerano il mondo dell’arte come un’infinita risorsa per la creazione delle proprie tendenze. Ma un confine tra appropriazione, ispirazione e scambio esiste. Eccome. Drew spiega, «la differenza tra appropriazione culturale e scambio avviene all’interno di dinamiche commerciali. Ogni conversazione sull’appropriazione culturale è prima di tutto una conversazione sul potere. Quando un brand di fast fashion si appropria del lavoro di un giovane artista perché l’ha trovato su Instagram e produce una collezione pensando che rispecchi la propria estetica, siamo di fronte a un grosso problema. Il lavoro e l’idea creativa dell’artista non vengono retribuiti, non vengono nemmeno riconosciute la proprietà intellettuale e il diritto d’autore dell’opera. Possiamo pensare anche ai casi in cui vengono sfruttati elementi stilistici di comunità di minoranze emarginate.
Questi elementi, introdotti all’interno della produzione di massa, sono utilizzati come se fossero costumi, estraniati completamente dal loro contesto culturale, senza chiedersi che valore o significato abbia una piuma, un colore o un accessorio per una cultura. La moda agisce molto velocemente, ma prima di indossare un determinato abito è giusto sapere da dove proviene, in che tipo di cerimonia o contesto viene utilizzato da parte della cultura di provenienza. Tutti questi fattori si inseriscono in un atteggiamento di sfruttamento da parte di poteri istituzionali che prendono a prestito elementi culturali senza fare le corrette ricerche e senza retribuire in modo adeguato. Esiste sì un confine, soprattutto quando si parla di comunità discriminate». L’originalità è dunque un atto creativo o un atto di unicità? Drew risponde con la grazia e la determinazione che la caratterizzano: «Una persona creativa può essere tale quando è onesta e fedele alla propria visione, l’autenticità viene da sé.
Credo che trarre ispirazione, saperlo riconoscere, citare le proprie fonti e aprire una conversazione a riguardo possa creare l’occasione per qualcosa di unico e personale». La curatrice conclude con fiducia, «spero di vedere un progresso fatto di ottimismo universale. È bello vedere quanto le persone siano ispirate dall’ottimismo». A proposito del futuro, uscirà prossimamente (in data ancora da confermare) con un’antologia sull’esperienza afro-americana contemporanea, “Black Futures”, scritto in collaborazione con Jenna Wortham, giornalista del New York Times. Il libro includerà testi e opere dei più importanti pensatori e artisti afro-americani e africani di oggi, tra cui Deana Lawson, Zanele Muholi e Akinola Davies.
Hair stylist: Taichi Saito.
Make up artist: Bob Scott @ TheWallGroup.