Viaggio in Amazzonia: forest television
Testo Paola Corini
Foto Luca De Santis
Un uomo di nome Ruperto Gomez rispose: “Fratello Jeremy, per comprendere quello che ti interessa devi bere l’ayahuasca”. Rizzai le orecchie. Sapevo che l’ayahuasca era il principale allucinogeno utilizzato dalle popolazioni indigene dell’Amazzonia occidentale. Ruperto, che non perdeva un giro della zucca contenente la birra, aggiunse con tono sicuro di sé: “Alcuni dicono che è qualcosa di misterioso, il che è vero, ma non c’è niente di male. A dire la verità l’ayahuasca è la televisione della foresta. Si possono vedere immagini e imparare cose”. Concluse la frase ridendo, ma nessun altro sorrise; poi aggiunse: “Se vuoi, qualche volta ti posso far vedere”. (Jeremy Narby, Il serpente cosmico, Venexia Editrice, 2006)
Se in qualche cosa ci somigliano ancora gli abitanti delle rive della foresta pluviale amazzonica è nel parlare del tempo con i forestieri. Saper dire dove arrivava il fiume, poter mostrare quale sarà il livello dell’acqua quando El Rio avrà la sua piena potenza. Vanto e accettazione, magia bianca e monito. La foresta è piena di segni dell’impero dell’acqua. Qui i nidi delle termiti sono appollaiati il più in alto, sugli steli magri di piante spilungone, sostegno di bromeliacee in fiore, bradipi, iguane, aquile arpie. La televisione della foresta per tutti è quest’acqua dolce, che nell’inverno australe si mangia le scale scoscese scolpite con il machete nel fango per salire dal molo al villaggio, quell’acqua che ritirandosi restituisce grandi spiagge sabbiose e lagune e che poi, ciclicamente, sale a invadere le piantagioni di manioca, i campi da calcio assurti a piazze dei villaggi, le aie delle case-palafitta dove i polli girano liberi. Polli che al mercato di Iquitos vengono pagati trenta o quaranta dollari l’uno, perché sono ruspanti, “biologici”, sono polli della giungla.
A lungo e ancora la foresta dà riparo e cibo agli uomini della giungla, la natura permette la vita, senza chiedere denari in cambio. Le case dei ribereños continuano ad avere tetti di paglia (i politici sono venuti dalla città a scambiare voti con tettoie piatte di lamiera, asfissianti e semplicemente povere), i frutti porpora di camu camu, l’arancia della foresta, maturi al punto giusto, hanno trenta volte più vitamine di un agrume mediterraneo, le cerimonie di guarigione in tutta l’Amazzonia seguono il fruscio della shacapa, un sonaglio di foglie intrecciate. La natura entra nella vita reale e in quella misteriosa. Poi il fruscio è dietro di noi, tra le palme, un gruppo di ragazze in salopette blu marino e scarpe da tennis, il pallone da baseball, arancione e rugoso, sotto braccio, i nomi di un’Italia cattolica dei ricordi semplici, Maria, Carla, stampati sul retro delle T-shirt, i capelli corvini lucidi, i sorrisi riservati, corrono al campo per la lezione di ginnastica, nonostante siano le undici di mattina e il sole, a quattro gradi dall’equatore, sia trionfante.
Navighiamo upstream, controcorrente, dal punto vasto in cui nasce il Rio delle Amazzoni come somma dei suoi maggiori affluenti, il Maranõn e l’Ucayali, risaliamo da est a ovest, dall’Atlantico alle Ande, fantastichiamo di un lungo viaggio sudamericano, che scorre tutto su acque, dolci di saponina, torbide di tinte ora nero-specchio, ora rosa antico, ora verde militare.
Ogni bambino del molo afferra un comune pesce nero-petrolio, il pesce-che-cammina, e lo mostra a noi turisti. Ogni uomo solitario nella sua lancia di tronco galleggiante alza un piranha luccicante verso di noi turisti. Mettiamo la mano al portafogli in cerca di qualche soles, la moneta locale, ma abbiamo sbagliato tutto, ci stanno solo mostrando la loro cena, il trofeo quotidiano, la pescosità del loro mondo, che provvede ogni giorno a nutrirli sapientemente e che non intendono venderci.
Oggi è domenica, non c’è scuola, si può passare il tempo anche facendo sfrecciare trottole di legno. La squadra del villaggio più vicino viene sulla sua barca allungata per la partita della domenica pomeriggio, non s’incontra maschio che non ami il calcio quassù in Amazzonia. La domenica ci sono pesci speciali come la doncella a marinare nel “leche de tigre” (tiger's milk), il succo dolce di limone peruviano e speziato di cipolla fresca e sacha culantro (il coriandolo selvatico) che invadono l’aria dei mercati della mattina. La domenica il piccolo Martin, la scimmia mascotte del villaggio, attraversa una lunga distanza della foresta inondata per giocare con un amico, un piccolo uacari calvo, la scimmia dal muso dipinto rosso vermiglio, uscita da un film fantasy. Questa porzione magica di Amazzonia è il Perù e solo dopo diventa Colombia e Brasile, ma ancora non lo sanno in molti.
Oggi una coppia è di ritorno dalla riserva, il carico di pesce della settimana nella giungla frutterà un buon guadagno al mercato di Iquitos. Festeggeranno in città, berranno Coca-Cola e birra fermentata. Abbandoneranno la loro canoa artigianale al porto e il mattino seguente prenderanno un taxi d'acqua, con pochi dollari americani avranno un'amaca per riposare, un juane -un cartoccio con riso, olive, uova, carne di gallina e spezie avvolto in una foglia di bijao- fresco di giornata a mo' di picnic e all'incirca sedici ore per ritornare da Iquitos al loro villaggio.
L’Expedition Cruise di Aqua Expeditions ci ha portato con sé per sette giorni dalla città di Iquitos, non raggiungibile via strada, ma solo per via aerea o fluviale, fino alla Riserva nazionale Pacaya-Samiria, nell’Amazzonia settentrionale del Perù, un modello di conservazione delle meraviglie di flora e fauna di bosco tropicale umido. A bordo della nave, il menù pensato da chef Pedro Miguel Schiaffino - ogni anno nella classifica dei migliori al mondo, compilata da San Pellegrino - attinge completamente alla ricchezza d’ingredienti autoctoni della cucina amazzonica, tra bacche, frutti fermentati, grandi pesci, spezie e erbe selvatiche.
Per approfondimenti www.aquaexpeditions.com, www.meravigliapaper.com