Zero: l'intervista a Giuseppe Dave Seke
Giuseppe Dave Seke, è il protagonista della serie Netflix "Zero". Dopo aver lasciato il suo lavoro da magazziniere si è buttato a capofitto nella recitazione e ci ha raccontato che fantastica storia è la -sua- vita (fino a qui).
Photography Andrea Bianchera
Styling Tommaso Rosati
"Zero" è una delle ultime serie italiane del colosso dello streaming Netflix, rilasciata lo scorso aprile. L’intento è quello di un prodotto completamente nuovo e disinibito dove la parola d’ordine è diversity. I protagonisti sono cinque giovani ragazzi neri, del Barrio a Milano, alle prese con i problemi della vita quotidiana e quelli legati alla propria identità. Malgrado interessi e personalità differenti, un elemento in comune: l’appartenenza allo stesso quartiere e l’identità non bianca. Ciò che la serie propone è una decostruzione degli stereotipi e una rappresentazione più inclusiva della comunità tanto quanto quella del prodotto televisivo. A prestare il volto e la voce a Zero, il giovane Giuseppe Dave Seke che racconta a L’Officiel Italia come è stato far parte del progetto e quali cambiamenti abbia comportato.
L'Officiel Italia: Sei molto giovane, fare l’attore rientrava nei piani?
GIUSEPPE DAVE SEKE: Il mio sogno nel cassetto era di fare qualcosa di artistico, un lavoro dove potessi liberare le mie emozioni. Mi sono avvicinato al mondo della musica e facevo il magazziniere per sostenere tutte le spese e cercare di concretizzarla al massimo, ma le cose non sono andate. Un giorno il mio produttore mi inviò il post di Antonio Dikele Distefano (l’autore del romanzo da cui è tratta “Zero") in cui cercavano attori, anche senza esperienza, per una nuova serie Netflix. Ci ho provato...
LOI: Come hai scoperto dai essere stato preso per la parte?
GDS: È stato strano perchè non avevo mai considerato l’idea concretamente. Anche ai provini ero scettico, ma lì qualcosa è successo, non saprei dirti cosa con esattezza ma qualcosa l’ho sentito e ho iniziato a crederci. Dopo aver mandato un video di presentazione, ricevetti delle mail per delle call back e dopo un paio di settimane mi chiamarono e comunicarono di essere stato scelto per il ruolo di Omar. Non ci potevo credere! Ho vissuto i primi 30 secondi di gioia assoluta seguiti da 12 ore di: “E adesso??” e “Ce la farò?”.
LOI:Chi è stata la prima persona a cui l’hai detto?
GDS: Uno dei miei più cari amici. Era felicissimo e molto emozionato, come se fosse lui al mio posto. È stato bello.
LOI: Netflix, è stata la prima ad aver prodotto in Italia, un serie con un cast quasi completamene nero. Ti sei sentito una qualche forma di responsabilità?
GDS: Ho vissuto tutta l’esperienza con grande consapevolezza, condivisa anche dal resto del cast. Sapevamo che la serie avrebbe avuto un certo impatto sociale e questo ci ha motivato moltissimo.
LOI: In che rapporto sei con gli altri protagonisti della serie?
GDS: I ragazzi sono fantastici! É stato tutto molto spontaneo e siamo diventati amici anche nella realtà. Abbiamo passato tre mesi in albergo, sotto lockdown, e quando non eravamo lì eravamo sul set e ci siamo sostenuti a vicenda. Posso dirti che è stata l’esperienza più bella della mia vita ed è anche grazie a loro.
LOI: Durante le riprese, hai avuto dei momenti di sconforto?
GDS: Non ho mai pensato “non ce la posso fare”, piuttosto “ma perchè non ce la faccio?”. Volevo dare il massimo e sono stato severo con me stesso. Ho imparato però, che anche sbagliare fa parte del gioco.
LOI: La serie inizia con un monologo di Omar, aka Zero: “Niente, io non c’entro mai niente con niente.” Ti sei mai detto questa frase?
GDS: Si, ma non in quanto nero ma in quanto giovane. Penso sia un problema generazionale. Spesso mi sono chiesto: “E che faccio adesso?”, senza trovare una risposta. Guardavo gli altri che sembravano sempre più a fuoco a di me, sopratutto durante l’adolescenza, e mi sentivo uno “zero”, una nullità... Quando poi trovi la tua strada capisci che è una fase della vita.
LOI: Ci sono degli aspetti di Omar in cui ti sei ritrovato?
GDS: Inizialmente no, perché il mio personaggio mi era stato descritto come: chiuso, introverso e appassionato di manga. Leggendo il copione ho scoperto che abbiamo tanto in comune. Entrambi, ad esempio, ci facciamo tantissime domande e cerchiamo le risposte in quello che ci circonda. È un ottimo osservatore e determinato a raggiungere i suoi obiettivi. In questo siamo molto simili.
LOI: Zero ha il dono dell’invisibilità. Se tu potessi avere un super potere?
GDS: Se fossi invisibile farei tutto quello che mi passa per la testa! Mi divertirei un sacco e farei tantissimi scherzi ai miei amici! Ma se dovessi scegliere vorrei saper volare, per staccare e prendermi una pausa e andarmene lontano...
LOI: Sei di Padova e ti sei trasferito a Milano durante le riprese. Che impressione ti ha fatto la città?
GDS: Grande, grandissima, enorme! È una città veloce dove tutti si danno molto da fare. Si respira una bella energia e se incontri le persone giuste, sembra che tutto si possa realizzare.
LOI: Tu e gli altri protagonisti avete dato un volto al quartiere del Barrio di Milano, che per i più fino a qualche mese fa era semplicemente il titolo della canzone di Mahmood. Quanto è importante che i giovani oggi “ci mettano la faccia”?
GDS: Sono molto legato al mio quartiere di Padova. Se oggi sono qui e ho queste possibilità è anche grazie a quel posto, che in un certo senso mi ha cresciuto. Metterci la faccia è indispensabile. Se anziché ripetere che un luogo non ha nulla da dare, ci domandassimo: “Cosa posso fare io nel mio piccolo?”, forse le cose sarebbero un po’ diverse. Sono fiducioso, la mia generazione sta aprendo gli occhi e questo non si può fermare.
LOI: In “Zero”, la musica scandisce i vari episodi ed è parte integrante del racconto. Hai un passato da rapper. Raccontami un po’…
GDS: La musica è come l’ossigeno. Senza non vivo. Dà ritmo alle mie giornate. Mi sveglio la mattina e una delle prime cose che faccio è mettere un pezzo da canticchiare. Sarò di parte ma per me niente è come il rap. É un linguaggio autentico, molto diretto e senza escamotage. Da bambino ho ascoltato il primo brano di Tupac e me ne sono innamorato!
LOI: La canzone in cima alla tua playlist in questo momento?
GDS: "Changes" di Tupac. Mi accompagna dappertutto. Se sono felice ascolto “Changes”, se sono triste ascolto “Changes”, qualunque cosa è sempre “Changes”! E calza sempre bene!
LOI: Hai anche incontrato Marracash, che si è occupato della colonna sonora della serie. Com’è andata?
GDS: É stato strano. Mi sono detto: “Mi comporterò da persona normale”. Marracash è Marracash, tutti lo conoscono! Mi sembrava scontato fargli dei complimenti per la musica, che peraltro tutti gli faranno. Lui spacca ed è una persona umile. É stato come se ci conoscessimo da molto più tempo. Abbiamo anche scoperto di aver entrambi fatto il magazziniere e ci siamo raccontati una serie di aneddoti che solo chi ha vissuto il magazzino conosce. Nonostante abbia un successo pazzesco si ricorda da dove è venuto. Per me è un esempio e sono onorato di averlo incontrato.