Rupert Friend: Wes Anderson e i film in uscita. Next step? Il passaggio alla regia
Heartthrob di tanti film in costume all’inizio della carriera, killer con un preciso codice morale in “Homeland”, oggi fa parte della famiglia cinematografica allargata di Wes Anderson.
Text by FABIA DI DRUSCO
Photography CHARLIE GRAY
Styling JOSEPH EPISCOPO
Il debutto sul grande schermo è nel 2004 ne “Il libertino”, protagonista Johnny Depp nel ruolo del conte di Rochester, emblema della depravazione aristocratica alla corte di Carlo II d’Inghilterra. In fase di montaggio le scene sexy con Depp vengono tagliate, e Rupert Friend appare solo in pochi frames, ma è l’inizio di una serie di film in costume dove la bellezza dell’attore poco più che ventenne si impone. Nonostante l’opportunismo del suo personaggio in “Orgoglio e pregiudizio” di Joe Wright, quale adolescente dell’epoca non invidia Keira Knightley, che sul set ha iniziato con lui una relazione che durerà cinque anni, e che i due, nonostante lei sia all’epoca oggetto di una ossessione collettiva, riusciranno a mantenere privata? Poi è il principe Albert in “The young Victoria” con Emily Blunt, e il viziato e malinconico toyboy ante litteram Chéri nel film omonimo di Stephen Frears tratto dal romanzo di Colette, a fianco di Michelle Pfeiffer. Se l’aspetto fisico è la ragione più eclatante per cui viene scelto, è la sua “naturalissima, quieta dignità di attore”, come la definisce Emily Blunt su “Interview”, a dare spessore ai suoi ruoli. Nel 2012, la svolta: chiamato inizialmente a girare un episodio nella seconda stagione di “Homeland”, Friend intriga con la sua interpretazione di Peter Quinn, e conquista una fanbase di fedelissimi che nelle successive quattro stagioni lo seguono di episodio in episodio sperando in un lieto fine con Carrie Mathison, l’agente bipolare della Cia interpretata da Claire Danes.
Rupert Friend è bravissimo a dare credibilità a un personaggio complesso, sopravvissuto a vari traumi, fino alla sesta stagione, dove diventa l’inquietante ombra di sé stesso, compromesso nelle sue funzioni fisiche e mentali dalla decisione di Carrie di svegliarlo anzitempo dal coma. Nel frattempo l’attore britannico si stabilisce in America, dove nel 2016 sposa l’atleta paralimpica Aimee Mullins, figura di culto per i fashionisti per aver sfilato nella S/S 1999 di Alexander McQueen, dove indossava protesi per le gambe di legno scolpito a fiori scambiate dal pubblico per stivali di ispirazione vittoriana che avevano fatto impazzire le fashion editor presenti allo show. Dal 2021, che segna l’uscita nelle sale di “The French Dispatch”, Friend è entrato nel circolo degli attori che collaborano costantemente con Wes Anderson, realizzando con lui cinque film, più uno in the making. Oltre allo short pubblicitario di tre minuti celebrativo dei 100 anni della Meisterstück di Montblanc, dove il regista appare sulla vetta del Monte Bianco con lo stesso Friend e un altro dei suoi attori feticcio, Jason Schwartzman.
L’OFFICIEL ITALIA: Perchè hai deciso di diventare un attore?
RUPERT FRIEND: È l’unico lavoro che ti dà la possibilità di vivere molte vite. Sapevo con certezza fin da bambino che non avrei mai potuto fare lo stesso lavoro, chiuso nello stesso posto, circondato dalle stesse persone per anni. Ero un bambino curioso, mi terrorizzava pensare di dover scegliere una carriera per tutta la vita. Mi interessavano troppe cose, viaggiare, incontrare persone, esplorare il mondo, diventare qualcun altro. Quando ho iniziato ero davvero naïf, il lavoro mi interessava principalmente a livello di esperienze personali da vivere, il che è ancora vero, anche se ora sono sempre più motivato dal desiderio di collaborare con persone interessanti
LOI: Come è iniziato il tuo rapporto con Wes Anderson?
RF: Con “The French Dispatch”. Quando sono arrivato sul set in Francia tutti erano già andati via, il film era finito, c’erano solo Wes e il direttore della fotografia. E ho realizzato che anche se dovevo girare una sola scena mi avevano aspettato. Ero terrorizzato ma al tempo stesso affascinato perché l’attesa mi è sembrata un chiaro indicatore dell’importanza che Wes dà ai dettagli: per lui non c’è niente di troppo piccolo o insignificante, nulla è accidentale, il suo gusto, la sua estetica sono esemplari. Ci siamo ritrovati a parlare per tutta una notte e abbiamo realizzato di avere molti interessi in comune, siamo diventati amici. Quando abbiamo cominciato a girare “Asteroid City” la sua assoluta certezza che io potessi essere convincente nel ruolo di un cowboy mi ha fatto sentire sicuro. Si è instaurata tra noi una confidenza, una fiducia reciproca, e per quanto mi riguarda adoro il processo di fare un film insieme, con le sfide e le soddisfazioni che questo comporta. Mi sono sentito molto onorato di girare con lui i corti ispirati ai racconti di Roald Dahl, autore che ha sempre avuto un significato molto speciale per me. Non potevo augurarmi un match migliore di regista e scrittore. Sarò anche nel suo prossimo film, ma non posso dire altro.
LOI: Prima di conoscerlo, qual’era il tuo film preferito?
RF: Uno di quelli senza attori, “Fantastic Mr. Fox”.
LOI: Il tuo film preferito tra quelli che hai realizzato?
RF: “Morto Stalin, se ne fa un altro”, perché è stato il primo film in cui un regista, Armando Iannucci, si è preso il rischio di affidarmi un ruolo comico.
LOI: Cosa cerchi nei ruoli che ti offrono?
RF: La possibilità di sperimentare. Più diversi tra loro sono i progetti che mi offrono, meglio è. Non mi interessa ripetermi.
LOI: Veniamo a “Homeland”...
RF: La particolarità di “Homeland” è stata che la sceneggiatura veniva scritta durante le riprese, in tempo quasi reale. A differenza del solito, non avevo un personaggio di cui sapevo fin dall’inizio come sarebbe andato a finire. Ero stato chiamato per un episodio, una cosa da 10 giorni, e sono stato coinvolto per cinque anni.
LOI: Nelle sesta stagione ti sei trovato a incarnare un personaggio che dopo il coma era fisicamente e mentalmente alterato, è stata più difficile?
RF: No, a quel punto io e Peter Quinn avevamo condiviso lo stesso corpo per anni, era una parte di me. Un uomo cui è stato fatto di tutto: hanno tentato di annegarlo, gli hanno sparato, è stato picchiato, avvelenato, e che pure mantiene una sua incrollabile dirittura morale. Un giorno ne stavo parlando con una delle showrunner della serie, e lei mi ha detto che Quinn era il suo uomo ideale. Le ho chiesto come potesse pensarlo di un killer pagato per uccidere e lei mi ha risposto che quello che contava veramente era il suo codice morale profondamente umano
LOI: Quando ti rivedremo al cinema?
RF: Quest’anno ho due film in uscita, uno diretto da Michel Franco con Jessica Chastain, che come puoi immaginare dal regista (Michel Franco è l’autore di “Memory”, sempre con la Chastain, nda) e dal coinvolgimento di un’attrice straordinaria come Jessica non è certo un film facile, ma potente, profondo. L’altro è un film con un cast corale, tra “Il grande freddo” ed “Ex Machina”, che credo si rivelerà interessante.
LOI: Con quali altri registi ti piacerebbe lavorare?
RP: Darren Aronofsky, ho trovato “The Whale” di una bellezza assoluta, Paul Thomas Anderson, per ogni cosa che fa, Jonathan Glazer, che trovo fantastico per i commercial della Guinness quanto per “Sexy Beast” e naturalmente per “La zona di interesse”.
LOI: Sei un ambassador per Montblanc… Com’è la tua scrittura? Hai una bella grafia? E che rapporto hai con il brand?
RF: La mia grafia… Direi che mi rappresenta: è passionale, impulsiva, non sempre leggibile. Mi piace scrivere a mano, mi piace la sensazione della mano sulla pagina invece che delle dita sulla tastiera. Credo si scriva in un modo diverso, perché c’è un rapporto diretto, fisiologico, tra mano e cuore. Scrivere a mano cambia il tuo modo di scrivere, come ben sa chiunque scrive una lettera a mano. Montblanc mi piace perchè mi corrisponde: amo molto la montagna, amo il contatto con la natura, e mi piace stare a casa e scrivere. Ho scritto fin da quando ero piccolo, per dare un senso al mondo. Sono dieci anni che scrivo sceneggiature, il covid ha scombinato i miei piani, ma ora sono sul punto di passare dall’altra parte della cinepresa, di dare una vita alle mie parole. Ho scritto cinque sceneggiature e tre sono sufficentemente buone per essere realizzate. Per insegnare a me stesso a scrivere sceneggiature ho iniziato alla fine dei miei vent’anni ad adattare romanzi classici. È stato difficilissimo, ma credo di aver raggiunto nel tempo la fluidità necessaria. Adesso sto lavorando sul casting, mentre un produttore/scrittore in Inghilterra mi sta insegnando tanto sulla struttura, che è un’altra disciplina rispetto al dialogo, che invece, da attore, mi viene facile, naturale. Mi spiace essere vago, ma è difficile parlare di una cosa non ancora viva.
LOI: Hai parlato di sceneggiatura, ma se ho capito bene quando parlavi di passare dall’altro lato della cinepresa, c’è ancora uno step ulteriore da compiere per arrivare alla regia.
RF: Ma ho già diretto uno short anni fa, con Colin Firth (“Steve”, dove oltre a Firth recitava anche Keira Knightley, nda), ho già provato la gioia di vedere un’idea materializzarsi, di vedere il lavoro di co-creazione di un personaggio fatto da un attore
LOI: Una domanda personale: perché hai scelto di trasferirti negli USA?
RF: Non è stata una decisione, piuttosto un’evoluzione organica: quando sono arrivato in America per girare “Homeland” non sapevo se sarei rimasto dieci giorni o dieci anni, dopo la mia prima stagione in North Carolina sono andato a New York, ho affittato un appartamento e mi sono messo a scrivere. Tra i vantaggi della scrittura c’è che posso scrivere in qualsiasi posto mi piaccia, se suonassi il pianoforte sarebbe più complicato. Poi ho incontrato mia moglie e al quel punto non volevo più andarmene. Come dicono i gospel gnostici, se segui la tua passione, se cerchi di realizzare quello in cui credi, se riconosci quello che c’è di speciale in te (e tutti abbiamo qualcosa di speciale), la tua passione, che sia l’astrofisica o la meditazione, ti salverà, mentre se non lo farai diventerai amareggiato, rabbioso, dannoso per gli altri e finirai per distruggerti.
GROOMER Jennifer Brent @ Tracey Mattingly Agency