Hommes

Libertà vs rigore

Lo scorso giugno il debutto con la prima prova al maschile del brand che porta il suo nome. Marco De Vincenzo racconta perché la sua moda rompe schemi che lui non ha mai infranto nella vita
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«La verità è che a me piace complicarmi la vita». Marco de Vincenzo scoppia a ridere quando gli tocca ammettere che lanciare il menswear con la Primavera-Estate 2020: «È stata una bella gatta da pelare». Il debutto in passerella è avvenuto nel giugno scorso a Firenze, a Pitti Immagine Uomo dove, grazie a una trasposizione non letterale dell’estetica tipica della sua linea donna, lo stilista ha sviluppato un pensiero concreto e coerente. Originario di Messina, De Vincenzo ha scoperto fin da piccolo di saper disegnare e, quando era adolescente, di volerlo fare per creare vestiti. Entra nel mondo della moda dalla porta principale, approdando da Fendi subito dopo il diploma all’Istituto Europeo di Design. Head Designer della pelletteria della Maison romana da 18 anni, lo stilista divide il suo tempo tra Roma e Milano, dove dieci anni fa ha fondato il suo brand.

Che cosa ti ha convinto che era il momento giusto per lanciare la linea maschine? 
L’ho fatto per le stesse ragioni per cui a suo tempo ho creato il mio marchio. All’epoca avevo appena compiuto trent’anni, ero un dipendente felice a cui Silvia Venturini Fendi lasciava il massimo della libertà d’azione, eppure non mi bastava. Nel momento in cui avverto fortissima dentro di me una necessità interiore so di doverla assecondare. Allo stesso modo, il menswear è arrivato quando ho capito di averne voglia e bisogno. Non ho pensato alle risorse in più che ci avrei dovuto mettere, ho ascoltato l’istinto. Del resto, il settore è talmente difficile oggi che, se non proteggi la tua passione, non ne vale la pena.

E come si fa a proteggerla? 
Bisogna non mollare quando, come è successo a me, ti ritrovi tuo malgrado ad avere debiti e senti che gli altri sono più forti di te. Ho vissuto situazioni di grande difficoltà e ho cercato di raccontarmi che in fondo potevo infischiarmene del marchio e dedicarmi solamente a Fendi. Per fortuna non ci sono cascato. Mollare un progetto come questo sarebbe stata una grande fatica, qualcosa che avrebbe potuto snaturarmi e disilludermi. Ho visto dei colleghi che non ce l’hanno fatta e mi accorgo che, pur essendosi reinventati, hanno una ferita interiore che rimane aperta. 

Chi è l'uomo per cui hai immaginato gli abiti presentati a Firenze?
Nel tempo ho molto cambiato il mio rapporto con l’estetica maschile, con ciò che ritengo sexy o virile. Arrivo da una piccola città del sud e mi ci è voluto del tempo per scrollarmi di dosso certi pregiudizi. Oggi però mi sento completamente libero e non giudicante. Mi piacciono gli uomini che scelgono di giocare con certi aspetti del guardaroba femminile e spero che il concetto di fluidità introdotto da Alessandro Michele da Gucci prenda sempre più piede. La mia collezione risente di quel rigore caratteriale che da sempre mi contraddistingue. Io sono quello che ribelle non lo è stato mai, invidio i miei colleghi che, oltre a disegnare vestiti li sanno anche usare per raccontare chi sono. A me sembra sempre di avere esagerato con quello che indosso, ma in generale apprezzo tantissimo chi riesce ad integrare nella propria immagine dettagli eccessivi se considerati da un punto di vista tradizionale. Vedere Marc Jacobs in passerella con i platform rossi a tacco alto mi mette di buon umore. 

Quali altri stilisti ti piacciono? 
Sono un Prada-maniac, a ogni settimana della moda aspetto lo show con la trepidazione di scoprire che cosa si sarà inventata. Di Miuccia Prada ammiro la capacità di mettersi sempre in discussione. Poi amo moltissimo Dries Van Noten, Christopher Kane e Comme des Garçons. Ma per dirla tutta, io sono un malato di moda, passo le mie giornate a guardare quello che si crea in giro.

C'è un pezzo particolarmente rappresentativo della tua Primavera Estate 2020?
A livello di silhouette, penso al jeans a vita alta, apprezzatissimo. Di base è un semplice cinque tasche, ma ho voluto esagerare un po’ con le proporzioni. Sono andato fuori schema quanto basta per stupire e fare venire voglia di indossarlo. Sul fronte dei materiali, invece, penso al plissé. L’ho utilizzato in modo inaspettato su buona parte della collezione, per esempio goffrando del tulle che poi ho accoppiato al fresco di lana per dare vita a un check inusuale. L’obiettivo è dare un deciso impatto iniziale che a una visione più attenta e ravvicinata rivela all’occhio qualcosa che non ti aspetti. 

 

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