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"Italian Style" lo racconta Stefano Canali

Dalle origini del saper fare italiano a importanti traguardi tecnologici fino a una strategia di sostenibilità, Canali è simbolo di competenza, stile e responsabilità.

Canali la collezione autunno inverno 2023
Canali la collezione autunno inverno 2023

La storia di Canali è molto più di un “family affair”, è storia di molte decadi di esperienza che si intreccia con l’evoluzione della moda maschile, e che racconta un brand emblema del made in Italy. Il marchio nato nel 1934 a Sovico, in Brianza, e guidato oggi dalla terza generazione della famiglia, è molto apprezzato all’estero, ed è amato da molti uomini di Stato. Tanto che Obama, il giorno della vittoria alle elezioni del primo mandato, venne immortalato con un braccio alzato e la giacca aperta che lasciava intravedere l’etichetta Canali. Uno stile classico con twist, spesso scelto anche dalle star mondiali per red carpet e occasioni ufficiali: da Michael Douglas a Matthew McConaughey, da Chris Pine passando per Patrick J.Adams di “Suits” in Canali al matrimonio di Harry e Meghan ai più recenti Chris Hemsworth e Michael B. Jordan. Concetti come “sophisticated casual”, ovvero l’arte del vestirsi con eleganza anche con capi informali con la giacca sfoderata “Kei” ad esempio, piuttosto che la “shacket”, un ibrido tra giacca e camicia, sono solo alcune delle innovazioni di stile. Il nuovo corso del brand si concentra su un approccio sostenibile, con la volontà di migliorare a tutto tondo il proprio modo di fare business, in un circolo virtuoso di strategie imprenditoriali che guardano al futuro della moda, dell’ambiente e delle persone. Ne parliamo con Stefano Canali, Ceo del brand.

L’OFFICIEL ITALIA: Quali sono stati i capi e i momenti più importanti in 90 anni di storia?
STEFANO CANALI:
Ci sono alcuni momenti epocali, legati ad altrettanti cambiamenti nella produzione, che hanno segnato la storia dell’azienda. Il primo è la Seconda Guerra Mondiale che ha praticamente azzerato la produzione del laboratorio artigianale che all’epoca contava cento dipendenti. Il secondo è stato nel 1958 con l’ingresso della seconda generazione di Canali, quando l’azienda si specializza nella produzione di impermeabili, capo prediletto, versatile, utile e reso famoso dalle pellicole cinematografiche del tempo. Il soprabito allora era l’unico capo d’abbigliamento che poteva essere utilizzato da un uomo per proteggere l’abito, il passe-partout per ogni occasione. A partire dagli anni ’70 è l’abito che diventa il prodotto di punta dell’azienda. Un “key piece” fondamentale per il guardaroba maschile — rispettando, migliorando e innovando le tecniche sartoriali tradizionali. Oggi come allora gli abiti Canali sono costruiti utilizzando oltre sei modellature diverse, con oltre duecento passaggi fra imbastitura e cucitura, al fine di garantire il massimo comfort e vestibilità. Il terzo momento è stato sicuramente durante la pandemia. In questo periodo di sospensione c’è stata una concentrazione su altri segmenti di collezione per poter venire incontro alle nuove esigenze del vestire, unendo formal e casual.

Nella prima foto: l'esterno della sede di Canali a Milano. Nella seconda foto: Un dettaglio di un capo con etichetta. Nella terza foto: lo store di Canali a New York


LOI: Come è cambiato il modo di vestire e come si è evoluto il brand?
SC:
C’è stata una trasformazione delle categorie che fanno parte del mondo Canali, quello che è successo è che non solo il capospalla ha continuato a evolvere verso una costruzione sempre più leggera con utilizzo di materiali sempre più performanti, ma i confini tra occasione d’uso specifici e il mondo dello sport sono sempre meno delimitati, nasce così il concetto di Smartorial. Ci piace vedere le collezioni in un’ottica lifestyle, dove il mix and match guida le esigenze e il gusto individuale: puoi indossare la giacca con le sneaker o i 5 tasche, o puoi abbinarla a un pantalone formale, magari in un raffinato double di cashmere. 

LOI: Il cliente chiede informazioni sempre più dettagliate sui capi?
SC: Sì e noi cerchiamo di anticiparle raccontando cosa c’è dietro la costruzione di ognuno, infatti per ogni nostro capo sappiamo da dove arriva la materia prima, come è stata realizzata e da chi, grazie alla nostra filiera corta, verticalizzata e integrata che ci consente di abbracciare un’idea di business che per sua stessa natura è virtuosa perché, oltre che più snella ed efficiente da un punto di vista logistico, è connessa al destino delle persone e del territorio in cui opera. In passato ci hanno definito come “un diamante grezzo” un segreto ben custodito, ma oggi pensiamo sia importante distinguersi e far capire la differenza tra un capo sartoriale quindi modellato e uno di realizzazione puramente industriale. Parliamo di tecnica, dettaglio, finissaggio che puoi capire solo dopo aver indossato Canali.

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Un ritratto di Stefano Canali


LOI: Perché la scelta di comunicare adesso il vostro impegno nella sostenibilità?
SC: Pensiamo che i tempi siano maturi. Per questo abbiamo denominato il nostro progetto CAre, che in inglese significa “prendersi cura”. Rappresenta una sintesi tra le iniziali del nostro nome e re, una sillaba che ricorre nei principi che animano le nostre azioni virtuose, responsabili e di restituzione nei confronti delle persone e del pianeta. Ridurre la nostra impronta ambientale, soprattutto in termini di emissioni, è l’obiettivo prioritario che ha già determinato una serie di iniziative, dal risparmio energetico con messa a punto di nuovi sistemi a proposte di circolarità e di servizi per estendere la vita del guardaroba dei nostri clienti. Con CAre non solo trasformiamo la nostra visione di responsabilità in un programma concreto di azioni ma, attraverso la sua condivisione, abbiamo l’ambizione di sensibilizzare e rendere più consapevoli rispetto a un tema di importanza primaria. Abbiamo anche iniziato una sperimentazione nell’utilizzo di tessuti di origine riciclata o organica nella capsule presentata all’interno della F/W 23. Poi certo sarà il cliente a fare la differenza con le sue scelte, e la reazione che avrà nei confronti di queste proposte accelererà o manterrà lo sviluppo di questi materiali. Circolarità, un pilastro per ridurre l’impatto ambientale, significa utilizzare tessuti riciclati che però abbiano una PEF a loro volta che certifichi che il processo complessivo sia meno impattante rispetto all’impatto derivante dalla produzione di un tessuto vergine.

(Clicca qui per scoprire di più sul progetto CAre)

Il progetto allinterno del quale Canali ha deciso di ricondurre tutte le iniziative di sostenibilità si chiama Care

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Canali progetto Care


LOI: Come siete arrivati a scegliere la misurazione OEF e PEF, rilasciate dalla Commissione Europea?
SC: Volevamo avere un modo per poter misurare il nostro operato secondo processi di valutazione riconosciuti. Da qui la scelta di adottare come metodologia di misurazione la OEF (Organization Environmental Footprint)  e la PEF (Product Environmental Footprint), rilasciate dalla Commissione Europea, due strumenti concatenati: analizzano in profondità l’impronta ambientale di tutta la filiera, a monte e a valle del prodotto e dell’azienda. Un processo articolato che misura l’impatto del fare impresa su sedici indicatori, tra cui il carbon footprint, che ha molta importanza perché ritenuto alla base dei cambiamenti climatici che stiamo tutti purtroppo sperimentando. La mappatura e certificazione ha richiesto quasi due anni di lavoro. Ciò che è emerso è che un capo Canali ha benchmark di durabilità superiori alla media di settore mentre il suo impatto, considerato l’intero ciclo di vita del capo, è nettamente inferiore.

LOI: Sei parte del CDA di Retex Green, ci spieghi la mission del consorzio?
SC: Retex Green si occuperà di gestire il fine vita dei capi, l’invenduto e tutto quello che è scarto, test per il consumo e il post consumo, attraverso soggetti terzi selezionati in maniera molto trasparente e molto precisa, che valuteranno la qualità e la possibilità dei capi di essere rivenduti come second-hand, oppure per riciclare i tessuti, i materiali e i componenti creando nuovi materiali a partite da quelli esistenti. Ciò che non potrà essere venduto o gestito per riciclo potrà essere utilizzato per la termo-valorizzazione, quindi produzione di energia. E quello che non potrà finire nelle caselle precedente, sarà gestito in discarica in maniera controllata. Il tutto poi finalizzato a reinvestire quanto verrà guadagnato in ricerca e sviluppo legati alla innovazione tecnologica nella creazione di tessuti riciclati. Ciò che noi abbiamo rafforzato per dare più vite ai nostri capi è il servizio di cura e riparazione nei principali negozi del mondo, che consente a un nostro cliente di riportare un capo in suo possesso per allargarlo, stringerlo, sostituire un bottone o fare un rammendo, in generale garantire una maggior durata.

LOI: Quanto è rilevante il made in Italy quando si parla di sostenibilità?
SC: Stiamo assistendo ad un’evoluzione del made in Italy che passa da mera rappresentazione di alta qualità a rappresentazione di sostenibilità, sia dal punto di vista ambientale, perché un prodotto fatto in Italia con una costruzione sartoriale pensata fin dalle origini consente a un capo di essere modificato nel tempo, riparato, dunque di durare più a lungo, aspetto cardine nel tema sostenibilità, sia delle persone, perché un prodotto fatto in Italia è realizzato infatti da artigiani che hanno una tutela piena dal punto di vista legale, previdenziale e sanitario. Mantenere la produzione interamente in Italia da quasi 90 anni non è stato facile, è una scelta onerosa e complicata ma ci permette di rispettare i nostri valori e di raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti mantenendoli nel tempo.

Interno della sede di Filottrano (AN).

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