Musica

Perché MATA di M.I.A. Matangi è un risveglio di coscienza

L'attesa è finita. Mia Matangi è tornata con 13 tracce non solo da ballare. In questo nuovo album c'è l'essenza di lotta e autocritica che farebbe benissimo a tutti noi. 

MATA è il nuovo di album di M.I.A. Matangi
MATA è il nuovo di album di M.I.A. Matangi

Sono trascorsi 6 anni dall’ultimo lavoro, AIM. Era il 2016 e sì, una vita fa. Certamente un tempo necessario, un periodo utile a prendere le distanze, rigenerarsi e mettere a fuoco i propri orizzonti personali che, nel caso di M.I.A., pseudonimo di Mathangi Maya Arulpragasam, sono molteplici, affollati e rumorosi. Mata, realizzato per Island Records, è dunque il nuovo album, sesto della carriera dell’artista attivista originaria dello Sri Lanka. Probabilmente la sintesi ragionata del M.I.A pensiero, un flusso consapevole di concetti forti rivolti a destabilizzare il collettivo massificato: le disuguaglianze, la monocultura, il consumismo, l’immigrazione controllata dall’Occidente, la manipolazione della realtà da parte dei media e la cultura frammentata e bipolare dell’Internet. In sanscrito Mata significa Madre, ma anche meta e martire. Per questo il nuovo disco di M.I.A. è un invito al risveglio delle coscienze attraverso un confronto al contrario, non con il mondo esterno, ma con quello più profondo e personale.

Scorri verso il basso per scoprire tutto di Mata, l'ultimo disco di M.I.A.

brown hair hair person
Attivismo, indipendenza e liberazione artistica sono alla base del lavoro di Maya Arulpragasam

Cambia ma ricorda chi sei, diventa parte di una comunità più ampia per non agire più solo come un individuo. Non gira tutto intorno a te.

Dall'intervista a M.I.A al The Zane Lowe Show sul canale Apple Music

In questo viaggio interiore con il proprio Io contemporaneo, paralizzato da continui stimoli e incongruenze, ingiustizie e non-sense, M.I.A mette al centro del dibattito la contrapposizione della spiritualità all’ego, il nemico numero uno, nell'infaticabile ricerca della verità. Lo si capisce in The One, primo singolo uscito in primavera, in cui la si vede trascendere nei colori di una gigante ninfea rosa in mezzo al lago verde da cui chant-rappa rilassata “sono ciò che i figli imiteranno cercando di intercettare il messaggio per farli crescere”. E lo si definisce anche in Popular, un pezzo critico sulla influencing culture e il self branding a mezzo social. Nel videoclip diretto da Arnaud Bresson M.A.I. è la versione avatar robotica di M.I.A., di zebra vestita e bucket hat d’ordinanza, da cui assorbe ogni atteggiamento dell’originale con l’intento di aumentare successo e visibilità. L'effetto è devastante: nel finale si scopre chi avrà la meglio.

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L’estetica altermoderna di M.I.A in Mata

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Animazione per F.I.A.S.O.M. Pt. 2 (Courtesy Instagram)

Il vissuto di M.I.A., nata in Inghilterra da genitori tamil, rientrata subito dopo in Sri Lanka per poi fuggire dalla guerra civile e rientrare nel Regno Unito da rifugiata, ha fatto sì che l’approccio al contenuto del suo lavoro d’artista - è diplomata alla Central Saint Martins di Londra in belle arti - sia un mash-up di linguaggi provenienti dal “fuori”, low-fi, randomici e liberi così come lo è il suono. Lo si capisce molto bene nel documentario realizzato con footage girati da M.I.A stessa e uscito nel 2018 M.I.A. - La cattiva ragazza della musica (Matangi / Maya / M.I.A.) con la regia di Stephen Loveridge. Se la decontestualizzazione è l'esperienza vissuta di un immigrato, anche per una come lei a smuovere i pensieri è l'istinto naturale di un'identità diasporica. Così l'approccio artistico è guidato dagli effetti destabilizzanti dell'online che a inizio del nuovo millennio hanno travolto e sedotto tutti. Il suo è un pastiche meticciato di bhangra, sound del Punjab mescolato all’elettronica occidentale, che si lascia trascinare dal groove giamaicano trapiantato a Londra, dal rap e dal punk (in ΛΛ Λ Y Λ ,2010). Dal clash dei registratori di cassa di Paper Planes (Kala, 2007) alle sirene d’allarme, in Mata tornano le voci tamil con Navz-47 nella traccia dance Puththi, mentre i cori di bambini in 100% Sustainable, voci bianche quasi a cappella registrate in qualità raw, sono pronte a intenerire e a risvegliare antichi ricordi in chi le ascolta. In questo modo le contaminazioni di M.I.A., pre internet e post assuefazione, continuano ad essere pura avanguardia della comunicazione transmediale: il messaggio, l’intenzione e il suono sono veicolati attraverso una visione unitaria. Nel 2012 il curatore Shwetal Patel definì il lavoro di M.I.A un gesamtkunstwerk vivente per aver trasceso il suo background in molti modi: da artista visuale a cantante non c'è differenza e questo fa di lei un'autentica pop star globale. 

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L'opera di Maya Arulpragasam esposta alla Biennale di Kochi-Muziris nel 2012 (Courtesy Kerala, India, Fondazione Kochi Biennale)

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