The Fendi Set: un libro racconta la prima collezione haute couture di Fendi by Kim Jones
Nikolai von Bismarck racconta il libro da collezione realizzato con Kim Jones sulla genesi estetica e concettuale della prima collezione couture di Fendi.
Con Kim Jones Nikolai von Bismarck aveva già realizzato un libro, “The Dior Sessions”: ritratti in bianco e nero di impianto classico, con luci e sfondi teatrali, di attori, artisti, fashion designer, fotografi, a tracciare una mappatura del mondo di riferimento del direttore artistico del menswear Dior, da Julian Schnabel a David Bailey, da Kenzo Takada a Marc Jacobs e Virgil Abloh, da Ben Kingsley a Eddie Redmayne e Asap Rocky. “The Fendi set”, il libro che segna la loro nuova collaborazione, è radicalmente diverso. Per impianto concettuale, flusso narrativo creato dalle immagini, tecniche e stile fotografico. L’obiettivo? Raccontare la prima collezione Couture di Fendi (che ha segnato il debutto di Kim Jones come direttore artistico womenswear e couture) nella sua genesi concettuale – l’ossessione di Jones per i protagonisti del Bloomsbury set e il loro stile di vita –, nella sua realizzazione materiale – gli abiti della collezione scattati sulle protagoniste dello show, Demi Moore, Bella Hadid, Christy Turlington... e nell’incontro con le diverse generazioni di una dinastia matriarcale come Fendi, da Anna a Leonetta, da Silvia a Delfina. Un libro con la patina di un album vittoriano, costruito con vari tipi di carta e di tecniche tipografiche in un montaggio che mette in sequenza facsimili di lettere e pagine di diario degli appartenenti al gruppo con gli still life, i paesaggi e i ritratti di von Bismarck, dove la decorazione grafica delle copertine dei libri della Hogarth Press, la casa editrice fondata dalla Woolf e dal marito Leonard, viene ripresa sui fondali dei ritratti. Un libro concepito come un abito couture, con un’enfasi particolare su texture, tattilità, fluidità. «Kim Jones è cresciuto nel culto di Bloomsbury, ma credo che abbia sentito fin dall’inizio che questo tema andava preservato per una collezione womenswear. Il mio ruolo nel progetto è stato di espanderne la visione, uscendo dall’ossessione del fare tutto subito e velocemente tipica della moda», sottolinea il fotografo. Jones era ancora ragazzino quando, trasferitosi a Lewes con la famiglia, era stato folgorato dalla scoperta del gruppo di creativi vissuto nelle vicinanze: Virginia Woolf, sua sorella, la pittrice Vanessa Bell, i pittori Duncan Grant e Roger Fry, lo scrittore Clive Bell. Ad affascinarlo, oltre ai lavori della Hogarth Press e del collettivo di design Omega che riuniva Bell, Grant e Fry, anche l’appassionata relazione della Woolf con Vita Sackville-West, all’origine di “Orlando”, il libro del 1928 diventato di culto dopo la trasposizione cinematografica del ’92 di Sally Potter con Tilda Swinton.
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Diventato da adulto un collezionista di opere e cataloghi del gruppo, Jones aveva scoperto delle raccolte di lavori di Bell e Grant degli anni ’30 dipinti in Sussex e a Roma, con bellissime prefazioni di Virginia Woolf. Da qui l’idea di un percorso dall’Inghilterra alla Roma delle Fendi, colpito anche dalla coincidenza temporale tra la pubblicazione de “La signora Dalloway” e l’anno di fondazione della casa di moda romana, il 1925. «Sono cresciuto in Inghilterra, ovviamente avevo visto Tilda in “Orlando”, ovviamente avevo letto qualche romanzo della Woolf», racconta von Bismarck. «Ma per questo progetto mi sono immerso in una marea di documentari, e ho riletto tutti i libri. Ho voluto creare immagini poetiche, che avessero la consistenza eterea di un sogno, figure evanescenti come fantasmi, nei colori soffusi, “spenti”, tipici delle palette di Duncan Grant e Clive Bell. A volte le immagini sono dark, altre sfocate, ho sperimentato con un’infinità di tecniche tanto più preziose perché scomparse o destinate a scomparire in tempi brevissimi. Quando Kim mi ha inizialmente esposto il progetto il link con Roma mi sembrava debole, poi ho trascorso un’intera settimana con lui, Silvia Venturini Fendi e Amanda Harlech (che ha curato lo styling delle Fendi, nda), isolati nel mezzo del Covid, e ho cominciato a vedere le consonanze, il loro coté Bloomsbury: sono persone estremamente cortesi, interessanti, con una profonda cultura. Un giorno siamo andati a visitare il cimitero di Keats e Shelley, e una di loro ha detto “Erano gli eroi di Virginia”. E per me è stato il momento del déclic. All’improvviso tutto si connetteva. A Roma ho visitato tutti i posti di cui Vanessa, Duncan e Virginia parlavano nelle lettere, ho cercato di vederli coi loro occhi, volevo che sembrassero foto della scrittrice ritrovate dopo anni in un cassetto, per cui ho eliminato ogni traccia di contemporaneità. I miei scatti preferiti? Bella Hadid in un abito “liquido” che le si muove intorno come un flusso d’acqua, le statue italiane, i fiori, un ritratto di Delfina. E naturalmente gli interni inglesi, alcuni miracolosamente intatti, dalla casa di famiglia di Vita Sackville-West, ispirazione di quella fictional di “Orlando”, a Sissinghurst dove Vita viveva col marito, allo studio di Vanessa Bell e Duncan Grant epicentro della loro vita bohemienne, fino alla casa degli Woolf».