Interviste

Linda Caridi

Un percorso tra cinema e monologhi teatrali per un fiore d’acciaio che unisce grazia e determinazione. È stata la poetica Lei di “Ricordi”, la rivedremo in un ruolo ispirato al magistrato antimafia Marzia Sabella.
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Linda Caridi si esprime con un mix di grazia ed entusiasmo non trattenuto, con un’eleganza naturale di gesti, di postura, che fa capire come possa non temere il monologo teatrale, non spaventarsi di fronte all’immensità della scena tutta per sé.

L’Officiel Italia: Come sei diventata attrice?

Linda Caridi: Ho cominciato giocando da bambina a travestirmi, imitando papà e mamma, poi ho frequentato un laboratorio di teatro al liceo a Milano. Erano 14 ore a settimana, ma la mia fame di dedizione era tale da decidere di iscrivermi alla Paolo Grassi.  Sono stati tre anni molto densi, fatti di 10 ore al giorno in accademia, che però mi hanno dato una struttura: ti sembra che niente vada bene finchè all’improvviso arrivi all’essenziale. Il cinema allora era un sogno proibito e mi sembrava molto lontano. Poi ho portato in scena un monologo teatrale, “Blu”, regista Giampiero Judica, e tra il pubblico c’era la responsabile del casting di “Antonia”, opera prima di Ferdinando Cito Filomarino sulla poetessa milanese Antonia Pozzi. È stato un lungo processo, iniziato con un provino all’abbazia di Chiaravalle dove lei si è suicidata. Prima del film, conoscevo solo una sua poesia, oggi è entrata nelle antologie scolastiche. Mi risuonano ancora i suoi versi: “Piccole cose mi scalpellano. Miserie mi corrodono”.

 

LOI: È diverso interpretare un personaggio fittizio o una figura reale?

LC: Completamente. C’è una responsabilità verso la realtà, immagini cui attingere, diari, lettere e in questo caso anche un corpo poetico in cui entrare. Quando ho interpretato Denise, la figlia di Lea Garofalo (testimone di giustizia vittima della ’ndrangheta, nda) nel film televisivo dedicatole, Marco Tullio Giordana ci ha subito trasferito il peso civico del film. Non l’ho mai incontrata (vive sotto protezione) e ho sentito soltanto la sua voce contraffatta, ma so da Libera - l’associazione antimafia di don Luigi Ciotti - che aveva letto la sceneggiatura. È stato diverso lavorare sul ruolo di Felicia Vitale nel film tv “Felicia Impastato”, perchè la famiglia di Peppino Impastato (il giornalista assassinato da Cosa nostra nel ’78) ha scelto di esporsi fin dall’inizio. Abbiamo incontrato i suoi, siamo stati a Cinisi dove c’è Casa Memoria, loro hanno seguito le riprese e con Felicia siamo rimaste amiche: è importante far comprendere alla gente la mentalità mafiosa, le sue dinamiche di violenza e prevaricazione.

 

LOI: E poi hai fatto “Ricordi”. E “Lacci”.

LC: “Ricordi” è stato una farfalla rispetto al resto! Al primo provino con Valerio Mieli sono rimasta folgorata dalla sua gioia bambina: Valerio non cammina, saltella, è un’anima zampillante! Il secondo provino, con Luca Marinelli, l’ho fatto il giorno in cui lui aveva ritirato il David di Donatello: ero terrorizzata! Poi c’è stata una settimana di prove collettive per creare la memoria che il film scompone e disordina, in uno studio dei suoi processi e dello scatenarsi dei filoni dei ricordi. Con “Lacci” mi sono ritrovata in un universo di mostri sacri, è stato emozionante sentirsi “dentro” il mondo dei professionisti.

 

LOI: Continui con il teatro?

LC: Sto lavorando su “Il bambolo”, monologo leggero e scanzonato con un bambolo gonfiabile sull’abbandono, l’anoressia, l’abuso. Il monologo è un esperimento di tenuta temporale, non mi fa paura, anzi,  è una dimensione che mi piace molto perché posso viverla tanto con il corpo.

 

LOI: Sogni nel cassetto?

LC: Vorrei uscire dalla dolcezza che mi attribuiscono ed esplorare la sensualità. Adorerei lavorare con Alice Rohrwacher, i fratelli D’Innocenzo, con Xavier Dolan per la sua emotività prorompente. Parlo il francese e prima del Covid stavo per andare in Francia… chissà. Il mio sogno impossibile: aver potuto lavorare con Valentina Pedicini (scomparsa lo scorso novembre, nda). Ero in giuria coi fratelli D’Innocenzo e Betta Olmi nell’edizione telematica dello ShorTS International Film festival di  Trieste che ha premiato il suo film “Faith”. Un film molto duro, a cui gli altri volevano attribuire il premio, ma su cui io avevo delle domande da fare. Non sapevo che fosse malata, e mi ha disarmata con la sua curiosità dolce e la sua totale accoglienza.

 

LOI: La tua co-star ideale?

LC: John Cazale (l’attore de “Il Padrino” e “Il Cacciatore”, scomparso nel ’78 nda) per tutto quello che ho sentito raccontare di lui: sul set riusciva a instaurare una specie di rovesciamento creativo sugli altri, un ingranaggio virtuoso, e io soffro quando invece sento troppo sul lavoro la pressione delle varie individualità.

 

LOI: Come vivi la moda?

LC: Come l’incontro di un’opera con un corpo: può esaltare la tua identità come essere la via alla trasfigurazione. Per quanto riguarda il mio stile personale mi piace spaziare:  adoro gli anni ’20, il look androgino ma anche l’esplosione che sconfina nel circense.

 

LOI: Che rapporto hai con le donne?

LC: Non ho sorelle di sangue e ricerco costantemente figure femminili, perché troppo spesso di fronte alla mia struttura apparentemente dolce gli uomini assumono atteggiamenti paternalistici. Trovo ci sia una grande facilità a incontrarsi con le donne, mi piace ascoltare la loro esperienza, dissacrare miti, stereotipi, come la maternità e il confronto generazionale.

 

LOI: Per te l’accademia è stata fondamentale. Hai mai pensato d’insegnare?

LC: L’insegnamento mi è caro perché noi donne siamo maestre pragmatiche, e mi piace trasmettere in maniera accogliente quello che so alle donne più giovani. Ho una piccola esperienza d’insegnamento in un laboratorio all’interno dell’ospedale Niguarda, nel reparto disturbi del  comportamento alimentare. Credo che le dinamiche teatrali possano essere davvero rivitalizzanti e che la relazione tra sguardo, gesto, racconto, immagine, possa avere un effetto sul guarire le persone.

 

LOI: I tuoi ultimi lavori?

LC: “Supereroi” di Paolo Genovese, protagonisti Alessandro Borghi e Jasmine Trinca, che uscirà alla riapertura delle sale cinematografiche. E ho appena finito di girare la terza stagione de “Il cacciatore”, la serie ispirata alla storia del magistrato Alfonso Sabella con Francesco Montanari. Io interpreto un’ispettrice che ricorda il magistrato palermitano Marzia Sabella.

 

LOI: Il tuo ruolo ideale?

LC: Medea. Perché nessuno me l’offrirebbe mai.

TALENT Linda Caridi
FOTOGRAFO Gianmarco Chieregato 
STYLING Giulio Martinelli 
TEXT Fabia Di Drusco
HAIR Giannandrea Marongiu
HAIR ASSISTANT Alessandro Rocchi
MAKE UP Nicoletta Pinna @SIMONEBELLIAGENCY e Manola Spaziani @SIMONEBELLIAGENCY
MAKE UP ASSISTANT Raffaele Schioppo
PHOTO ASSISTANTS Gerardo Gaetani e Gianni Franzo
STYILIST ASSISTANTS Adele Barraco e Terry Lospalluto
PRODUCTION PSUITE19

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