#TalkingWith Hervé Barmasse
«Rischiando ho compreso l’essenziale, il valore della vita. Perché è solo quando metti in gioco la cosa più cara che hai, che ne comprendi il suo significato più profondo». Ha le idee chiare Hervé Barmasse, alpinista, scalatore di successo, uno degli ultimi eredi dei grandi alpinisti del passato. Nato e cresciuto ai piedi del Cervino, in una famiglia in cui il mestiere di guida alpina si tramanda da generazioni, si avvicina all’alpinismo un po’ per caso. Promessa dello sci, a quindici anni è costretto ad abbandonare lo sport agonistico dopo un terribile incidente. Un segno del destino che lo riavvicina alla sua montagna, il Cervino, e gli apre nuove strade. Atleta del Global Team The North Face®, con le sue scalate e avventure estreme, Hervè Barmasse interpreta un alpinismo ispirato al rispetto per l’ambiente e per l’uomo.
La montagna è la protagonista indiscussa della tua vita. Come ti sei avvicinato al mondo dell’alpinismo?
Ho vissuto quello che tutti oggi definiremmo uno sliding doors. Mi si è chiusa una porta quando ho avuto un grave incidente sugli sci e a distanza di qualche anno se ne è aperta un’altra, e ho ritrovato una nuova vita scalando le montagne. Un cambiamento brusco e sinceramente non voluto. Prima ero una promessa dello sci, poi un cavallo zoppo con poche prospettive, poi la fortuna mi ha baciato e l’alpinismo mi ha regalato un’altra grande occasione.
Che cosa hai imparato da quella brutta avventura? Quanto ha cambiato la tua vita, il tuo modo di guardare il mondo?
Ero un adolescente che sognava di diventare un campione. Un ragazzino che sognava le Olimpiadi e che troppo presto si è ritrovato con in mano un sogno evanescente e un corpo martoriato da quel grave infortunio. Potevo mollare, lamentarmi o tentare l’impossibile che secondo i medici, subito dopo l’infortunio, era la possibilità di tornare a camminare. Oggi posso dire di essere andato molto oltre le loro aspettative. L’incidente mi ha aiutato a diventare un uomo e vivere le difficoltà della vita come parte di un percorso fatto di esperienze che purtroppo non possono essere sempre positive.
Il tuo bisnonno, tuo nonno e tuo padre sono state guide alpine. Quali valori ti hanno tramandato?
Il rispetto per le persone e per la natura. La montagna è un grande e meraviglioso palcoscenico, ma è come ci comportiamo che fa la differenza. Questo vale per chiunque, alpinisti, muratori, spazzini e politici. Non siamo migliori se scaliamo una montagna. Ma possiamo essere d’esempio se lo facciamo in modo rispettoso.
L’alpinismo è uno sport rischioso e molto faticoso. Cosa ti piace di questo sport? A cosa hai dovuto rinunciare per farlo?
Tutti gli sport sono faticosi. Dell’alpinismo mi piace molto la possibilità di trovare la giusta dimensione dell’uomo che non è quella del dominatore di questo mondo, ma di ospite. Mi regala la possibilità di capire il mio vero valore nelle situazioni più difficili e rischiose, ma anche i miei punti deboli. Mi ha insegnato a fidarmi del mio istinto e non essere distratto dall’inutilità.
Durante le scalate, quali sono i pensieri che attraversano la tua mente?
Quando scali, soprattutto in solitudine, sei molto concentrato su quello che fai. Una decisione sbagliata la paghi a caro prezzo e dunque non sono permessi errori o esitazioni ma solo scelte che per forza devono mostrarsi quelle giuste, altrimenti sei spacciato. La priorità in situazioni estreme è quella di sopravvivere e l’unica mancanza che posso vivere è quella delle mie due bimbe. Per fortuna in montagna non sempre si porta l’asticella del limite così alta da rischiare la propria vita ad ogni uscita. La maggior parte delle volte le giornate sono fatte di condivisione, amicizia e gioia senza grandi rischi.
Quali qualità deve avere un bravo alpinista?
Le virtù più importanti sono “la testa” che precede di gran lunga il fisico e la tecnica nella preparazione di un’ascensione e mentre si scala; poi aggiungerei la pazienza e cosa molto importante saper leggere in una sconfitta un grande insegnamento.
Tra le tue imprese, quale ricordi con maggiore affetto? Quale invece ti è costata più fatica?
Nessuna mi è costata fatica, nessuna scalata la ricordo con rammarico o dolore. Per questo motivo sceglierne alcune tra quelle che mi hanno regalato più soddisfazione è sempre molto difficile.
La montagna è una scuola molto severa che spesso mette a dura prova. In situazioni estreme, qual è il sentimento che prevale?
Sopravvivere…
Hai girato il mondo sfidando le vette più alte. Che cosa ti ha riavvicinato alle tue montagne?
Le Alpi e gli Appennini sono e rimarranno sempre le più belle in assoluto. Una fortuna di cui disponiamo e che ancora non apprezziamo abbastanza. Non basterebbe una vita a scalarle tutte, e non basta una vita per ammirare e contemplare per intero la loro bellezza.
Che cosa pensi del cambiamento climatico?
È una realtà che purtroppo stiamo trascurando. Servono interventi radicali e la consapevolezza che gli alpinisti non possono più tenersi fuori da questa battaglia. Dobbiamo diventare testimoni di solidarietà per la montagna che tanto amiamo e non più sfruttarla unicamente per i nostri interessi. Oggi conta solo come si scalano le montagne e non più arrivare in vetta. In Himalaya il problema è più evidente ma anche sulle nostre montagne c’è tanto da lavorare. Assieme possiamo cambiare e rendere migliore il mondo in cui viviamo.
Cosa si potrebbe fare dal tuo punto di vista?
In Himalaya si potrebbe certificare solo le scalate fatte in stile pulito più comunemente chiamato Alpino, ovvero senza plastificare le montagne. Ma soprattutto promuovere un alpinismo a km zero e riscoprire le nostre montagne. Nel 2011, dunque in tempi non sospetti, con il mio progetto Esploring The Alps avevo promosso questa iniziativa. Forse era un po’ troppo presto ma qualcuno, soprattutto i più giovani, hanno capito il messaggio.
Quale sarà la tua prossima sfida?
Promuovere un alpinismo e un turismo che rispetta il proprio territorio; insegnare alle nuove generazioni a muoversi in montagna con consapevolezza; scalare le montagne più alte del mondo in modo pulito; ricordare che l’alpinismo nasce sulle Alpi e dalle Alpi attraverso le nostre azioni possiamo essere l’esempio per un alpinismo che sposa e adotta nuove soluzioni per risolvere alcuni dei problemi legati al clima.
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