Milano Fashion Week primavera estate 2024 tra debutti hot e semplicità al top
Debutti eccellenti, a cominciare da De Sarno in Gucci. E poi tante collezioni che puntano a vestibilità e vendibilità, più che a stupire.
Cosa resterà della Milano Fashion Week per le collezioni donna primavera estate 2024? Probabilmente più di quanto ci sia sembrato a caldo, sebbene molti abbiano storto il naso di fronte a tanta portabilità.
Se parliamo di tendenze in senso stretto, niente di ciò che si è visto in passerella ha avuto un effetto dirompente. C’è chi ha tirato dritto per la sua strada di semplificazioni scomposte e ricomposte alla Matthieu Blazy da Bottega Veneta; di rigore sperimentale tipo Jil Sander oppure Ferragamo, o, all’opposto, di stampe a tutto colore e sexyness di Fausto Puglisi chez Roberto Cavalli; di ironia avant-garde di Sunnei (che divertente il momento-palette alzate in stile Ballando con le stelle); di techno-grinta in puro Ferrari style; di femminilità ladylike di Alberta Ferretti o Ermanno Scervino.
Questo giro l’ossessione era la prima volta di Sabato De Sarno da Gucci, un debutto tormentato dalle bizze del tempo - goodbye sfilata in via Brera, ci siamo ritrovati nell’hub di via Mecenate. E da critiche immeritate, innanzitutto perché un inizio è per definizione un qualcosa che comincia a prendere forma che non è ANCORA del tutto completato, proprio come la parola scelta dal brand per il mantra della comunicazione e delle attivazioni pre-sfilata. Poi perché è evidente che il designer sia stato chiamato dal marchio a interpretare una richiesta che parte dal mercato e non dalla fashion people alla continua ricerca dell’effetto wow. Per chi non se ne fosse accorto, LVMH sta pompando e non poco Loro Piana, brand votato all’eccellenza assoluta (e non è un’iperbole da cartella stampa) dei materiali, delle rifiniture e dei dettagli di una moda sussurrata per scelta, la cui presentazione per la primavera estate 2024 ha fatto un salto quantico in tutti i sensi, dal setting, all’ampiezza delle proposte, indossabili nella vita di tutti i giorni, a patto di avere un conto in banca ben fornito.
Le visioni funamboliche di Alessandro Michele ai tempi di Gucci, con tutto ciò che quell’imprinting ha significato per il mondo della moda, ci hanno riempito gli occhi e forse un po’ drogati. L’assuefazione allo stupefacente da un lato ci ha fatto sfiorare l’overdose, mentre dall’altro rende ora certi refrattari alla quotidianità. Che poi, quegli abiti smanicati di Prada, essenziali nella forma e impalpabili nel tessuto erano da urlo senza strafare. Così come la funzionalità sofisticata di Calcaterra, capace di scrollarsi di dosso certi acuti concettuali del passato divendando più vendibile.
De Sarno non era il solo ad aver probabilmente passato notti in bianco alla Blanco, co-creatore di Blanco Dolce & Gabbana Special Collection, presentata dall’artista con un mini-concerto. Peter Hawkings, dopo oltre vent’anni al fianco di Tom Ford ha preso le redini creative della griffe nel segno della continuità. A Simone Bellotti, nuovo direttore creativo di Bally, è toccato invece il compito di abbassare i toni decisamente più maliziosi del suo predecessore, Rhuigi Villaseñor rimasto in carica nemmeno un anno, e lo ha fatto con successo. Quando a The Attico, la novità non era il cambio di guardia, ma la prima sfilata in assoluto, un esperimento forse non del tutto riuscito da parte delle fondatrici Gilda Ambrosio e Giorgia Tordini.
Ci sono anche stati due addii, quello di Walter Chiapponi, che saluta Tod’s con una sfilata impeccabile, E quello di Fabio Zambernardi da Prada, dopo 40 anni al fianco della signora Miuccia. È stata proprio lei a volerlo con sè e Raf Simons per l’applauso finale. Un momento che la schiera di giovani influencers internazionali magari ha faticato a capire. Ma per gli addetti ai lavori che negli anni hanno ammirato il suo talento sempre dietro le quinte, è stato un tuffo al cuore.
Da tempo non si vedevano a Milano così tante superstar internazionali da Scarlett Johansson, Rosalìa, Benedict Cumberbatch da Prada, a Demi Moore e Naomi Watts da Fendi, Cate Blanchett da Giorgio Armani, Ryan Gosling e Julia Roberts da Gucci, Sharon Stone da Tod’s (e la lista potrebbe continuare), per non parlare di Marisa Berenson protagonista dello show di Antonio Marras delle ex super models, Linda Evangelista, Kate Moss e Claudia Schiffer in passerella per Versace, mentre Naomi Campbell ha strappato applausi calorosissimi in pedana da Dolce & Gabbana.
L’emozione più sincera però l’ha suscitata Donatella Versace sul palco della Scala, nel ricevere dalle mani di Marco Mengoni l’Humanitarian Award For Equity and Inclusivity, nell’ambito dei CNMI Sustainable Fashion Awards 2023, organizzati dalla Camera Nazionale della Moda Italiana, in collaborazione con la Ethical Fashion Initiative dell’Agenzia delle Nazioni Unite ITC e la Ellen MacArthur Foundation, con il supporto del Comune di Milano.
Donatella, che tanto ha vissuto, sofferto, amato, lottato resta autentica nel suo essere larger than life. «Qui in Italia, non è mai stato così importante per noi sostenere le voci delle minoranze», ha spiegato. «Il nostro governo sta cercando di togliere i diritti delle persone di vivere come desiderano, stanno limitando le nostre libertà. La libertà di camminare per strada a testa alta e senza paura, indipendentemente dall’identità. La libertà di costruire una famiglia e vivere come si desidera. La libertà di amare chi si vuole. Dobbiamo tutti lottare per la libertà. In un momento in cui le persone transgender subiscono ancora terribili violenze, in un momento in cui i figli delle coppie dello stesso sesso non vengono considerati come loro figli, in un momento in cui le voci delle minoranze vengono attaccate da nuove leggi». Parole che in bocca ad altri sarebbero retoriche, con lei diventano vere.