Design

Stefano Boeri: archistar in versione Green

Convinto sostenitore di progetti urbanistici che contrastino il cambiamento climatico, Stefano Boeri sta trasformando anche la Triennale
nature outdoors landscape scenery aerial view urban neighborhood building

l suo Bosco Verticale di Milano ha festeggiato cinque anni entrando nella lista mondiale dei 50 grattacieli più iconici degli ultimi dieci lustri e sono già in programma o in cantiere edifici simili a Parigi, Losanna, Tirana, Nanjing. E ancora, nel deserto di New Cairo, «tre cubi verdi realizzati a temperature estreme è una bella sfida ma assorbiranno 7 tonnellate di anidride carbonica all’anno» e a Eindhoven, in Olanda, con la prima versione in social housing del Bosco: «125 alloggi a prezzi accessibili per i giovani, pronti a fine 2020». Nel frattempo l’architetto Stefano Boeri, fedele al motto che, «bisogna forestare le città e far crescere nuove città-foresta se vogliamo arrestare il cambiamento climatico», ha disegnato una città Maya versione 4.0 a cento chilometri da Cancun ed è volato il 23 settembre scorso al Summit sul clima promosso dalle Nazioni Unite a New York per lanciare il progetto di una “grande muraglia verde delle città”. Boeri, 63 anni, titolare dell’omonimo studio internazionale di architettura con un centinaio di collaboratori tra Italia, Cina e Albania, ammette che il riconoscimento assegnato dal Council on Tall Buildings and Urban Habitat al Bosco Verticale «è anche un premio all’idea che la natura vivente può diventare una componente non solo decorativa ma essenziale dell’architettura ed è diventato simbolo di una tendenza alla forestazione urbana che oggi è molto forte. Su una superficie ridotta ho concentrato l’equivalente di tre ettari di bosco che riducono calore e polveri sottili». I tre “cubi verdi” in Nord Africa, un hotel e due palazzine residenziali con 350 alberi e oltre 14mila arbusti e sempreverdi, saranno pronti entro il 2022. «Il progetto ha suscitato grande curiosità e mi hanno invitato a ragionare sull’operazione più vasta di una “Greener Cairo”, che prevede la conversione ecologica di migliaia di edifici, con tetti e facciate verdi. Forse siamo riusciti a dimostrare che attraverso il solare e il ciclo dell’acqua si può creare edilizia green anche in mezzo al deserto senza grandi consumi». L’archistar del verde realizzerà entro il 2026, per l’imprenditore pakistano Yusuf Amdani, una Silicon Valley in Messico. Sarà «una città-foresta, dove le imprese dell’alta tecnologia potranno aprire centri di ricerca e sviluppo trovando giovani specializzati a costi contenuti», ci saranno dipartimenti universitari, laboratori, aziende che investono sulla sostenibilità ambientale. Una grande città con tecnologie smart, «dove potranno vivere 130mila persone circondate da 7,5 milioni di piante, tutti gli edifici avranno tetti verdi, sarà autosufficiente dal punto di vista energetico, si useranno droni, ci si muoverà solo con auto elettriche o attraverso un sistema di canali navigabili. E con gli idrovolanti, bastano 100 metri di acqua per atterrare». Ritorno al futuro. Alle Nazioni Unite Boeri ha incrociato la sedicenne svedese Greta Thunberg, la fondatrice di Fridays for future che ha scosso i leader del mondo. «È un fenomeno potentissimo, quando è salita sul palco i politici si sono bloccati, è calato il silenzio». L’architetto è stato invece portavoce del progetto Great Green Wall of Cities a cui lavora da anni con (tra gli altri) la Fao e C40 (Cities Climate Leadership Group). «Le metropoli sono prima causa e vittime dei cambiamenti climatici, ma possono essere protagoniste di mutamenti», creando ampie zone verdi dentro e intorno alle città. Il progetto punta infatti a creare 500mila nuove foreste urbane nei pressi di 90 città dall’Africa all’Asia centrale e vuole “contagiare” altri continenti a partire dall’Europa. In Italia, Milano fa da capofila con il progetto ForestaMi che Boeri lancia con il sindaco Beppe Sala: obiettivo tre milioni di alberi entro il 2030 («esteso al Paese potrebbe portare a 22 milioni di pian- te in tempi brevi»). Ci sono «tanti sponsor sensibili, verrà creata un’agenzia o una fondazione per il crowfunding». Gucci ha già dato un contributo “vegetale”, il presidente Marco Bizzarri ha piantato personalmente il primo dei 200 alberi donati dalla griffe al parco Nord. Da febbraio 2018 Boeri è anche presidente della Fondazione Triennale di Milano. Tra le novità del 2020 di cui va orgoglioso c’è l’avvio di una collaborazione di otto anni con la Fondation Cartier pour l’art contemporain di Parigi che prevede una programmazione condivisa delle mostre. Appena nominato aveva scommesso che una parte della Triennale potesse ospitare finalmente il primo Museo della moda di cui si parla da decenni ma oggi ammette che «non è facile. Forse si potrebbe decidere di rinunciare una volta per tutte all’idea della grande sede unica e lavorare invece su un museo diffuso, una rete di spazi visitabili dai turisti, archivi veri e propri o atelier, magazzini. Triennale e Camera della Moda potrebbero fare da regia. Milano è una città piccola rispetto a Parigi, se i turisti potessero ammirare schizzi e creazioni di Armani, Prada, Ferrè si sposterebbero volentieri tra varie location. In Triennale personalmente mi piacerebbe ospitare una mostra dedicata a un grande personaggio come Romeo Gigli».

1 / 2

Tags

Articoli consigliati