Sweet art no more
Nel novembre del 2016 Joè Carrè, figlio di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren, manager dei Sex Pistols, invitava tutti i londinesi a uno spettacolo emblematico: la messa al rogo della sua collezione di memorabilia punk stimata intorno ai 6 milioni di sterline. Mentre il fuoco mangiava i nastri delle registrazioni dei Sex Pistols, gli abiti appartenuti a Johnny Rotten e la famosa bambola con la svastica di Syd Vicious e più di qualche nostalgico forse versava una lacrima, Carrè prendeva di mira “Punk London”, il ciclo di eventi celebrativi istituzionali organizzati in occasione del quarantesimo anniversario di Anarchy in the UK. Qualche mese prima uno degli street artist più famosi al mondo, il marchigiano Blu, procedeva alla distruzione programmatica di tutti i suoi murales a Bologna, in risposta polemica all'allestimento della mostra "Street Art. Banksy & Co.", che esibiva circa 250 opere di writer provenienti da tutto il mondo e anche opere staccate da diversi muri cittadini. Un'azione forte che fa tutt'uno con la sua arte e che, rullo alla mano, letteralmente cancellava l'immagine di Bologna come la più vasta galleria a cielo aperto delle sue opere. Il realismo di Blu costruito per ampie metafore surreali, immediate, contrarie a tutto – alla violenza dell'evoluzione umana, al profitto, al pensiero omologante – difficilmente poteva coniugarsi con la tendenza che vede sempre più le istituzioni museali da una parte interessate al valore artistico e culturale della sreet art dall'altra attirate dall'idea di appropriarsi di opere che tolte dalla strada vengono trasformate di fatto in pezzi da museo.
La musealizzazione della street art è un argomento complesso e un dibattito caldo anche per gli addetti ai lavori. Al di là del gesto provocatorio di Blu c'è infatti un'intera comunità artistica che si interroga e si divide in base a implicazioni economiche ed etico-sociali. Si interroga sul senso da dare a una forma espressiva che, partendo dalle strade della città e i suoi angoli più nascosti, ha svoltato il secondo millennio conquistando il gusto comune, influenzandolo, e nel fare questo ha inevitabilmente perso la spontaneità della controcultura da cui è partita per diventare fenomeno pop. E si divide come ogni corrente artistica ha sempre fatto – e come il naturale ciclo dell'arte vuole – sull'opportunità di entrare o meno in un sistema che dando un valore artistico alle opere ne produce anche uno economico. Ogni movimento artistico ha un percorso simile di passaggio dall'avanguardia, con le sue forme di rottura, e in questo caso di illegalità, all'entrata nei canoni e quindi all'istituzionalizzazione: è stato così per gli impressionisti che nella metà dell'800 improvvisamente uscirono en plain air e crearono non più quadri ma i traslati di stati emotivi, succede oggi per la street art.
In questa discussione si è inserito un ciclo di cinque giornate al Pac, Padiglione di arte contemporanea di Milano, che ha provato a fare un nuovo punto sulla street art attraverso incontri, conferenze e workshop dedicati, a dieci anni esatti dalla prima mostra museale organizzata in Italia “Street Art, Sweet Art". Dalla cultura hip hop alla generazione pop up”. Si intendeva partire con l'eredità del passato, dall'intervento proprio di Blu ed Ericailcane sulla facciata del Pac, argomento principe della serata inaugurale, per poi affrontare diverse tematiche, quali salvaguardia e restauro delle opere murali, comunicazione, riqualificazione territoriale e coronare il tutto con un tour a piedi per le strade di Milano alla scoperta dei muri che arricchiscono la bellezza della città. I riflettori però sono stati puntati fin dal primo giorno sui writers convenuti, che si sono presi il loro spazio e lanciando coriandoli sulla platea e lo slogan #occupypac hanno protestato contro il sondaggio lanciato dal Padiglione sulla rimozione o il restauro del murales di Blu ed Ericailcane.
Tra legalità e illegalità, cancellazione e conservazione, gratuità e mercificazione: la street art si muove tra mille forme, arreda sempre più l'urbano quotidiano declinandolo esteticamente e vive una lotta continua tra iconografia e iconoclastia.